Parla con me e con Roberta Stifano

25 novembre 2020, giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donneL’otto mensilmente ritorna, dopo i mesi di lockdown, volutamente proprio oggi, per riprendere il proprio impegno civile, sociale e culturale di denuncia e di opposizione alle violazioni dei diritti umani e contro la dignità subite dal genere femminile.

Violazioni ancora troppo radicate nella nostra società e, parlano purtroppo i fatti riportati quasi giornalmente dai media di tutto il mondo, ostacolo grave nel raggiungere obiettivi di pace e sicurezza, per tutti.

Ne parlano i media, ma non è mai abbastanza. Noi abbiamo deciso di parlarne direttamente con le donne che hanno vissuto questa drammatica realtà, attraverso una nuova monografia, titolata Parla con me.

Sette domande che abbiamo inviato a donne forti e coraggiose, capaci sia di rielaborare la loro condizione di donna e sia di costruirsi – e in taluni casi di rifarsi letteralmente – una vita frutto di impegno e di sacrificio, anche laddove la stessa condizione di partenza pareva per molti un ostacolo impervio e insormontabile. Sette risposte che racchiudono tanto dolore, quanta voglia di superare il trauma, affinché le donne che non hanno il coraggio di ribellarsi, di denunciare e di farsi ascoltare possano avere un modello, un esempio ed un punto di partenza.

La nostra nuova rassegna comincia oggi e si svilupperà, come di consuetudine, lungo tutti “gli otto del mese” che seguiranno, proponendo di volta in volta l’intervista fatta ad una donna, una donna come tante, non un’eroina, ma donna normale, che si è fatta emblema e portatrice della lotta contro ogni tipo di violenza subita dalle donne.

La nostra prima intervistata è Roberta Stifano in arte Dada, una pittrice che, come dice lei stessa, è finalmente rinata dopo aver vissuto all’ombra di un uomo che, contrariamente a quanto affermava, di certo non l’amava. Grazie anche alla mostra da lei realizzata Dal tunnel. L’arte come rinascita: il percorso-esperienza di Roberta Stifano (accessibile, tramite piattaforma zoom, ID riunione: 961 4407 6694, domenica 29 novembre 2020, ore 16:30), tramite la quale diviene fiera portavoce e testimone diretta per sensibilizzare sul fenomeno della violenza di genere e per educare la società ad un impegno maggiore e più radicato sul tema in oggetto.

I suoi quadri esprimono una nuova bellezza, quello della donna che risorge, uscendo da quel lungo tunnel di orrori e cattiverie patite ingiustamente e che, consapevole ora di una nuova identità e di una nuova missione, è pronta e decisa a combattere, affinché ciò che ha subito non capiti ad altre e sia per lei stessa una cura.

Che questa nostra rassegna sia la forza per far comprendere a ognuno di noi quanto può e deve fare per rendere giustizia a tutte le donne che sono costrette a lottare giornalmente per avere la possibilità di essere e di esistere.

Un grazie commosso alle donne che si sono messe a nudo, senza vergogna, con una forza capace di creare un mondo migliore, partendo proprio dal loro dolore. La donna sa creare, non solo partorire.

Ciao Roberta, benvenuta in questo nostro piccolo spazio de L’otto mensilmente, da anni gentilmente promosso e sostenuto da First Cisl Emilia Romagna.

Ti abbiamo invitata perché tu ci possa raccontare un po’ di te attraverso una brevissima intervista; tuttavia, prima di iniziare con le domande vere e proprie, vogliamo che ti presenti al pubblico attraverso un piccolo riassunto sulla tua vita: raccontaci chi sei, che studi hai fatto e di cosa di occupi oggi.
Mi chiamo Roberta. Sono diplomata come geometra, però avrei voluto frequentare la scuola d’arte o il Liceo Artistico, ma, visto che era distante da casa, mio padre, di mentalità antica, ritenne che fosse sconveniente per una ragazza andare a studiare lontano e così scelse per me una scuola vicino casa. Inoltre, la professione di geometra era utile anche per lui, perché era un imprenditore edile.

Una volta terminate le superiori, avrei voluto fare l’Accademia di Belle Arti di Brera Milano, ma a venti anni restai incinta del mio primo figlio, quindi dovetti abbandonare questo sogno, ma ho frequentato corsi serali d’arte, storia dell’arte, teoria del colore e tecniche varie di disegno quali acquarello, olio, acrilico, creta, materia a figura dal vero. In pratica l’arte non mi ha mai abbandonata.

Come lavoro faccio l’assistente amministrativa in una scuola, ma in parallelo, porto avanti la mia attività artistica.

Passiamo ora allo specifico di questa monografia: l’intervista. Ti faremo alcune essenziali domande affinché attraverso le tue risposte si possa continuare a tracciare un solco positivo all’interno della società, grazie al quale poter proseguire la nostra semina di buone intenzioni e di azioni efficaci per la costruzione di una cultura fondata sul rispetto di genere e priva di qualsiasi forma di violenza, soprattutto nei confronti delle donne.

1) Quale è stata la gioia più grande che hai provato nella tua vita?
Sicuramente essere diventata madre di due splendidi bambini, oggi uomini e tanti altri momenti, ma ho nel cuore un ricordo particolarmente emozionante, ritrovare in un momento importante della mia vita e cioè alla presentazione del mio progetto artistico “Dal Tunnel…” , contro la violenza sulle donne, presentato sui Navigli a Milano, l’avvocatessa, che mi aveva aiutato a ribellarmi al mio matrimonio violento, che mi aveva sostenuta moralmente e psicologicamente, perché totalmente annientata e spaventata in quanto il mio ex marito mi aveva seguito, mi aveva perseguitato, non aveva accettato la separazione, non mi dava il mantenimento per i figli.

Quando conobbi l’avvocatessa, quindi, ero tesa, costantemente preoccupata, perché dovevo mantenere due figli e avevo pochi soldi a disposizione. Ero irriconoscibile, insicura, scossa molto tirata. Tutto questo succedeva dal 2003 al 2006, fino al processo, poi perdo le tracce dell’avvocato, in quanto si era trasferita in un’altra città.

La ritrovo alla mia mostra; io artista, donna completamente cambiata, che ha elaborato la violenza attraverso l’aiuto di uno psicologo, ma soprattutto attraverso il discorso “diretto tra me e me”, come dico io, con l’arte, i colori, le forme. Lei non sapeva che ero io, non ci pensava più a me e io non avrei mai immaginato di ritrovarmela li: lei fiera orgogliosa di me di come ero rinata.

Quella luce nei suoi occhi non la dimenticherò mai ed è il ricordo più bello ed indimenticabile, perché, pensai, se lei vede una nuova Roberta, vuol dire che sono stata brava, che esisto. Oggi fa parte del mio progetto, tratta degli aspetti legali del tema violenza alle donne / violenza psicologica.

2) E invece quale è stato il dolore che più ti ha segnato profondamente l’animo?
Anche qui i dolori sono tanti tipo la perdita di mia madre, ma sicuramente il dolore più grande è stato il tradimento e l’abbandono di una persona che diceva di amarmi e che mi aveva dato il coraggio di uscire dall’amore malato del mio matrimonio. Quando capii che era finita, sentì una grande fitta al cuore, urlai un urlo straziante profondo, mi piegai su me stessa e mi sentii male, tanto male, perché fu come vivere un tradimento profondo. Il tradimento dell’anima.

3) Questo dolore come ha condizionato la tua vita? Come sei riuscita a trasformare questo dolore in voglia di farcela?
Per un certo periodo si, stetti male, mi trascinavo come un sacco vuoto, ma poi un giorno lessi una frase che fu come una doccia fredda: “qualsiasi cosa ti sia successo, qualsiasi male ti sia stato fatto, non rimuginarci sopra, ma pensa solo che sia ESPERIENZA DI VITA”… esperienza di vita, doveva accadere… incominciai a guardarmi intorno e a frequentare danze popolari, a intrecciare amicizie, a invitare amici a casa, condividendo serate aperitivo organizzate sul mio terrazzo o cene tra musica, musicisti, artisti e poi l’arte, il disegno, i colori. Tutto ciò era per me parlare e urlare tutto il mio dolore. E spesso mi sono sussurrata che “se c’è una possibilità di essere felice, la voglio trovare”.

4) Quanti sacrifici hai dovuto fare per essere la donna che sei ora? E per ricoprire il ruolo che oggi hai nella società (civile… lavorativa…)?
Ho fatto tanti sacrifici, tantissimi, mi sono privata di tante cose come, ad esempio, vivere in una umile casa, avere una macchina di terza mano, fare pochi viaggi (sono diventata una camminatrice): i figli erano la priorità e sono stata brava: ho due bravi ragazzi che sono il mio orgoglio.

5) Se volessi con una parola definire la situazione della donna oggi nel mondo, quale useresti? E per quale motivo useresti questa parola?
Definire la donna con una parola è riduttivo, ma userei l’espressione DONNA CORAGGIO, la donna è veramente coraggiosa perché intraprendente, ha forza d’animo, perché è combattiva, perché si mette in gioco sempre, perché ama veramente, perché vive di veri principi.

Perché uso questa parola? Perché in generale, ma in questo momento sociale in particolare, dove si vive di apparenze, ad essere vere donne, ci vuole coraggio.

6) In che modo la società deve cambiare, affinché si concretizzi un pensiero collettivo di progresso civile e culturale in relazione grazie al quale la donna sia finalmente libera, emancipata e mai più soggiogata al potere e alle volontà maschili?
Una buona educazione in famiglia, dove ci deve essere uno scambio di ruoli: tutti fanno tutto e non, ad esempio, solo perché sei donna devi lavare i piatti, fare i letti ecc. ecc., o dove la donna è solo considerata un oggetto sessuale.

La società deve cambiare anche dalla scuola, mettendo in atto una buona ed equa educazione civica e sociale.

7) Quale consiglio vorresti dare ad una donna che sta vivendo una situazione di difficoltà?
Di reagire, di ritrovare sé stessa, di credere in sé stessa, di non accontentarsi di un amore malato o che la rende infelice. Di ribellarsi al primo schiaffo, di non trascurare atteggiamenti manipolatori e né tanto meno i campanelli di allarme che lancia il proprio corpo attraverso i mal di testa, mal di pancia, mal di stomaco, le coliti… per finire fino agli attacchi di panico. Perché le prime a farci violenza, negando l’evidenza dei fatti e diventando succubi di uomini/donne malate, siamo proprio noi stesse.

L’amore è semplice, è corrispondenza altrimenti non è amore, ma un massacro.

Suggerisco anche di non alimentare odi in famiglia, come ad esempio, parlare male del padre o della madre, dispetti, estorcere soldi, e così via. Lavorare su sé stesse, in amore e coerenza per i figli e per sé stesse, affinché la vita di tutti non diventi una faida, affinché l’amore e la serenità si riappropri della mente di tutti

Documentarsi, capire cosa vuol dire vivere una relazione di dipendenza affettiva o vivere con un manipolatore o manipolatrice, affidarsi ad esperti e se necessario e confrontarsi in gruppi di mutuo aiuto.

Non abbandonare mai la speranza.

Roberta, ti ringraziamo per il prezioso tempo che ci hai dedicato. Ti auguriamo che tutti i tuoi sogni si possano realizzare sia in ambito personale che lavorativo. Prima di lasciarci però, a chiosa finale di questo nostro incontro virtuale, vorremmo che tu facessi un appello contro la violenza sulle donne.
Denunciate. Reagite alla violenza contro le donne. La violenza non è un trauma incancellabile. Le violenze vanno denunciate. Il mio appello va a tutte quelle persone, uomini e donne, che vivono una relazione violenta sia fisica che psicologica. A loro suggerisco di andarsene, perché uscire da queste relazioni è l’unica vera salvezza.

Ricominciare, anche tra mille difficoltà, fisiche, psicologiche, finanziare, ecc. Farlo è una conquista, è una dimostrazione di forza per prima cosa verso sé stesse, oltre che una rivincita verso l’abusante. Riacquistiamo l’autostima che ci è stata tolta. Riprendere in mano la propria vita sarà duro, difficile, ma niente a confronto di rimanere in una relazione malata…

Inoltre, a mio avviso, ricominciare, andare via da una relazione malata è dare un vero esempio etico e di dignità ai nostri figli. Perché i figli crescendo acquisteranno la loro coscienza e maturità e capiranno, riconosceranno il vero problema. Ricordiamoci sempre che queste persone malate, sono i loro padri/madri, eviterei di distruggerli ulteriormente ai loro occhi, tanto è tutto dannatamente evidente, piuttosto teniamoli a distanza attivando con una giusta vigilanza… il cuore e l’anima dei nostri figli soffre perché hanno bisogno di amore e serenità, quindi cerchiamo di preservarli per quanto possibile. Dobbiamo essere un punto di riferimento per i nostri figli e non ulteriore motivo di ansie.

Concludo dicendo che la donna che vive una relazione violenta deve avere la forza di ricominciare da zero, ricomincia da sé stessa, perché ogni sua piccola conquista sarà una rivincita… inviterei le donne vittime di violenza a non sprecare tempo in inutile vendette, ma piuttosto a impiegare i pensieri e il tempo a ricostruire la propria DIGNITÀ perduta.

Col tempo arriverà, ritornerà il sorriso, un vero sorriso, gli occhi saranno luminosi e non spenti, il fisico e la mente rinasceranno rigogliosi e pieni di idee, verrà fuori quella donna nuova o forse semplicemente la donna che “c’è sempre stata”, tornerà a risplendere.

È importante che le donne in difficoltà chiedano aiuto nelle istituzioni, ci sono associazioni valide e molto attente all’argomento che mettono a disposizione avvocati e psicologi a tutela di donne vittime di violenza.

La libertà non ha prezzo ed è bellissimo sentirsi libera dal male che ti mortifica l’anima ogni giorno, penso e difendo questo, la dignità e la libertà. Queste sono le parole chiave è il motivo della mia lotta contro la violenza fisica e psicologica, sicuramente perché l’ho patita, ma anche perché nei giorni di apertura della mia mostra sono stata testimone di racconti agghiaccianti, che mi ferivano profondamente, riaprendo ferite antiche, dimenticate, che purtroppo sono riemerse, ma che mi hanno fatto capire quanto è importante portare in giro la mia testimonianza di persona che ha subito violenza sia fisica che psicologica. Grazie per avermi dato questa opportunità. Roberta.

 

L’impegno First non finisce qui: ricordiamo che, in collaborazione con la Fondazione Fiba, la Struttura nazionale Donne e Politiche di parità e di genere ha organizzato un seminario in videoconferenza, “Minimizzare fa male. La giusta importanza da riconoscere al linguaggio e alle immagini utilizzati anche sui social“, che si terrà la mattina del 27 novembre.