Quell’efferato attacco alla dignità: da oggi tolleranza zero!

Caro collega sindacalista, la violenza di genere sul posto di lavoro è un tema molto ampio, ma anche poco discusso: il ragno che vuole mangiare le formiche operaie, infatti, intreccia ancora pazientemente la sua tela, approfittando delle disattenzioni sociali.

Violenze fisiche, psicologiche e culturali, più o meno gravi, sono all’ordine del giorno, ma non sempre l’azione scatenante è individuabile con facilità, come si potrebbe credere. Con le sue zampette felpate il ragno si muove nell’ombra, pronto ad attaccare la nostra dignità.

Abusi verbali o fisici, insulti, minacce, forme di aggressione fisica, verbale e psicologica sono tutti fenomeni che possono nascere in un ambiente dove la cultura contro la violenza non sia sufficientemente diffusa o regolamentata: pensiamo ad un clima aziendale troppo competitivo e stressante o con un basso livello di controllo del lavoro e delle procedure che lo regolamentano.

Capire quali violenze avvengono in ufficio è estremamente difficile, nonostante il datore di lavoro abbia l’obbligo di preservare l’ambiente da questi atti malsani. A volte sono eventi talmente poco eclatanti o ai quali non diamo peso, sottovalutandoli, a creare relazioni di disuguaglianza, accentuando il malessere.

Una battuta ingenua, un’affermazione bonaria o uno sguardo di troppo possono scatenare reazioni psicologiche devastanti. Le molestie sono invero alla base della violenza: il filo di separazione è sottilissimo, a volte lo spezziamo senza nemmeno rendercene conto. Ed è già troppo tardi: quella pungente sensazione di disagio ha prodotto un turbamento del benessere, causando sofferenze psicofisiche dalle conseguenze inimmaginabili.

Quante persone cercano un rimedio in farmaci più o meno legali? Quante persone sfogano la loro frustrazione su di sé? Quante persone cercano rifugio in fantasiosi mondi illusori creati chimicamente? E nessuno ne parla volentieri. Anzi…

Nel 2018, secondo una indagine Istat, il 43,6% delle lavoratrici ha subito una qualche forma di violenza: un dato impressionante, che ci preoccupa maggiormente considerando che di esse circa l’81% non ne ha mai parlato con nessuno, tantomeno con gli organi preposti.

E non è un problema solo femminile, anzi, riguarda tutti: il 18,8% degli uomini è stato oggetto di prepotenze e soprusi da parte dei colleghi e anche in questo caso è davvero bassa la percentuale di coloro che hanno avuto la forza di denunciarne la gravità.

Le violenze però riguardano principalmente le donne. Per quale motivo? Va da sé che millenni di impronta patriarcale hanno influenzato il credo comune occidentale e lasciato strascichi difficilmente azzerabili. La conseguenza estrema è quella di considerare la donna inferiore, per mentalità e cultura, pertanto facilmente soggiogabile e raramente opponente alla volontà maschile.

Questa convinzione era talmente radicata nel sentimento sociale che a livello legislativo veniva applicato alla donna lo stesso trattamento giuridico riservato ai soggetti incapaci. Lo stesso termine patriarcale fu coniato per soppiantare ciò che fino a quel momento era di esclusivo beneficio della madre terra, sino a valorizzare la giurisdizione prettamente maschile di un territorio, prima, e della famiglia, in seguito.

Ma non solo le nostre radici sono portatrici di false convinzioni: da una parte la personale ambizione al potere e alla supremazia attua meccanismi tipici della possessione in perfetto stile cavalleresco, dall’altra vi è la mancanza di educazione a minare i comportamenti testosteronici.

Così da quando le donne sono entrante di getto nel mondo del lavoro, gli uomini si sono sentiti ulteriormente minacciati: quelle loro regole, valide da sempre, sono state attaccate e compromesse.

Dopo la guerra le donne, che avevano sostituito nelle fabbriche gli uomini partiti con le armi in mano, hanno dovuto difendere il loro diritto al lavoro. Questa emancipazione culturale ha attraversato i decenni, portando dietro di sé conquiste fondamentali, come le leggi di tutela della maternità o sulla parità di genere.

Una battaglia che purtroppo prosegue: l’indipendenza della donna è infatti tuttora messa in discussione, basti pensare alla statistica relativa all’occupazione femminile o alla differenza di retribuzione salariale a parità di mansione svolta!

La donna vuole lavorare per essere finalmente libera da preconcetti e stereotipi, ma anche per realizzare il proprio riscatto da un sistema che spesso e volentieri premia, in molti settori, il sesso opposto. L’obiettivo è trovare nel lavoro la propria identità sociale, affinché si manifesti finalmente un livellamento di genere che porti la società a riconsiderarne le abilità, le qualità e le competenze.

Una battaglia però ancora troppo silenziosa.

In autobus, alle riunioni condominiali o al bar non si parla volentieri di tematiche sulla violenza di genere: non è un trend topic, finché i giornali non riportano in prima pagina l’ennesima fatalità a caratteri cubitali e il giorno successivo la vittima scivola nell’oblio, abbandonata a sé stessa, mentre all’odio si accumula altro odio, fomentando la disperata ricerca del malfattore con la lanterna illuminatrice del privato senso di giustizia.

Se di violenza di genere si parla fin troppo poco, tantomeno si discute di violenza in ambito lavorativo. Sono 1 milione 404 mila le donne italiane ad aver subito qualche forma di violenza di genere sul luogo di lavoro nel 2019, di cui 425 mila negli ultimi tre anni. E sono più di 8 milioni le donne che nel corso della vita hanno subito una qualche forma di molestia.

E non se ne parla soprattutto sul posto di lavoro, perché i lavoratori non si sentono ascoltati e hanno l’erronea convinzione di non poter essere aiutati: questo è il peso che, come sindacato, ci portiamo dentro e che deve essere da stimolo per fare molto di più.

Paura e timore sono i primi elementi a nostro sfavore: dal punto di vista umano serve innanzitutto la nostra vicinanza e la nostra costante presenza per essere efficaci interlocutori. L’obiettivo deve essere duplice: divenire terminali di ascolto e mantenere civile la qualità del lavoro.

Civile è d’altronde una parola poco usata. Snobbata dalla scuola, presuppone l’instaurarsi di un rapporto paritario tra chi convive determinate esperienze, affinché sia preminente la volontà di diffondere lo sviluppo sociale e culturale. In altri termini, abbiamo il compito di preservare le diversità.

Non pare che la nostra società sia poi tanto evoluta in questo senso: non vi è alcuna relazione ugualitaria tra uomo e donna, finché un’occhiatina, un apprezzamento o un coltello lambiranno la dignità femminile. Ecco perché sindacalisti e sindacaliste devono cominciare a parlare della violenza contro le donne, non solo il 25 novembre o alla Festa della Donna.

Per elaborare questo tema si dovrebbero studiare le cause che scatenano azioni criminali: ma la letteratura è tanto ricca di autori, pensieri e filosofie, da perdercisi dentro. Incominciamo pertanto a chiederci: che cosa è il male e perché facciamo del male?

Il male non assume necessariamente lo stesso valore storico e ideologico in tutte le culture, ma di fatto viene percepito come la disposizione di alcune persone a recare danno o tramite erosione empatica (Simon Baron Cohen) o a causa del contesto in cui l’essere umano è a contatto (Philip George Zimbardo).

Che si preferisca una teoria psicosociale piuttosto che l’altra – e la storia ne è piena, da Sant’Agostino sino ai giorni nostri – certo è che tutti noi possiamo fare del male.

Tutti noi possiamo fare del male quando, adottando con consapevolezza di superiorità e presunzione di potere una certa distanza fisica, sociale e culturale dalla vittima, operiamo comportamenti indesiderati dal ricevente per creare un disagio. Vogliamo quindi rimarcare la diversità che percepiamo esistere tra noi e la vittima, sia essa di ruolo, stilistica, valoriale o culturale, gonfiando il petto dall’alto della nostra superbia.

In fin dei conti, facciamo del male per evidenziare la nostra autorità e consolidare la bramosia di governo.

La prevenzione è quindi fondamentale per contrastare questi piccoli o grandi focolai di egocentrismo totalitario: il primo passo da compiere è informare e formare i lavoratori, attraverso referenti aziendali preposti per fare campagne sul tema in oggetto, favorire e far applicare procedure e inchieste e fornire materiale consultivo.

In secondo luogo, è necessario creare uno strumento aziendale che sia idoneo a contrastare la violenza, sostenendo quindi dinamiche datoriali che contrastino i fattori di rischio e che possa intervenire prontamente in seguito ai casi di violenza, sia per fornire sostegno alla vittima, ma anche per sanzionare l’autore del reato.

Infine, la vittima non va abbandonata, né dimenticata, perché punire il colpevole non cancella il reato commesso: gli strascichi rimangono sempre come solchi indelebili. Forse cancella l’ira di parenti e amici, forse l’angoscia della vicina di casa, ma non aiuta la vittima ad uscire dalla propria fragilità e a reinserirsi nel tessuto sociale.

Quando c’è una vittima, abbiamo perso tutti in partenza: la frustrazione di ammettere di non essere risolutivi deve essere lo stimolo, caro collega sindacalista, per armarsi giorno dopo giorno di consapevolezza, di studio e di responsabilità nell’agire contro questa piega che ci rende disumani.

E finalmente gli strumenti stanno arrivando.

8 marzo 2017: l’ABI unitamente ai gruppi sindacali ha sottoscritto un Verbale di accordo sui permessi a favore delle vittime di violenza.

12 febbraio 2019: l’ABI unitamente ai gruppi sindacali ha emesso una Dichiarazione congiunta in materia di molestie e violenze di genere sui luoghi di lavoro.

14 giugno 2019: ANIA unitamente ai gruppi sindacali ha redatto una Dichiarazione congiunta in materia di molestie e violenze di genere sui luoghi di lavoro.

21 giugno 2019: l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, un’agenzia delle Nazioni Unite, ha adottato una nuova convenzione per combattere la violenza e le molestie sul lavoro e ha richiesto agli Stati membri di adoperarsi per assicurare tolleranza zero.

25 novembre 2019: le OO.SS hanno sottoscritto in ABI un Protocollo d’intesa per favorire il rimborso dei crediti da parte delle donne vittime di violenza di genere, un segnale di concreto sostegno alle donne che hanno subito violenza (vedi comunicato).

Caro sindacalista, da oggi sei tu a dar voce alla lotta contro quell’efferato attacco alla dignità della donna: sii promotore attivo di un processo etico che favorisca il benessere psicofisico nell’ambiente lavorativo, affinché la donna possa finalmente realizzare il proprio processo di emancipazione sociale che solo attraverso il lavoro può giungere a pieno compimento e che nessuno deve ostacolare. In sintesi…

…da oggi TOLLERANZA ZERO!

 

 

 

 

In copertina: “Ritratto di Adele Bloch-Bauer”, di Gustav Klimt, particolare.