La libertà di pensiero: Ipazia d’Alessandria e Malala Yousafzai

In questo secondo numero de Ogni giorno è un buon 8 marzo, presentiamo Ipazia d’Alessandria e Malala Yousafzai, due donne che hanno sfidato il potere in nome di un bene collettivo: la libertà di pensiero.

Tale libertà è un diritto inalienabile decretato dalla Dichiarazione Universale del 1948 e principio cardine sul quale si fondano le Costituzioni di tutti i sistemi democratici: vale a dire la legge difende l’espressione di sé stessi, purché in essa non sia veicolato un messaggio che possa limitare la libertà altrui oppure promuovere la propaganda all’odio, alla violenza e alla discriminazione.

Quanto è ovvio questo concetto: oggi possiamo dire e affermare sempre ed in qualunque momento ciò che vogliamo senza limitazioni esterne. Ma siamo sicuri che sia davvero così?

Ipazia nasce intorno al 370 d.C. e viene avviata dal padre allo studio delle scienze e della filosofia e, giovanissima, inizia la propria attività di divulgazione e di insegnamento del sapere, fino ad assumere la direzione della scuola neoplatonica, divenendo ben presto un’autorità e un punto di riferimento.

Malala Yousafzai nasce in Pakistan nel 1997 e già all’età di 11 anni è preoccupata per le sorti del proprio paese: nel settembre del 1998, a Peshawar, durante un discorso pubblico si chiede, coraggiosamente, come possa la dittatura talebana togliere il diritto fondamentale allo studio e all’istruzione.

Ipazia insegna anche per le strade, spinta dalla convinzione che la conoscenza debba essere un bene accessibile a tutti: per questo motivo è rispettata e amata dalla pagana comunità alessandrina, tanto che persino le autorità pubbliche si rivolgono a lei per ricevere consigli ed assistenza.

Malala comincia così a curare un blog attraverso il quale documenta il dilagante dispotismo instauratosi nel suo paese, fortemente contrario all’emancipazione femminile e denuncia l’agire militare dei talebani che preferiscono fornire alle nuove generazioni una pistola piuttosto che una penna.

Agli occhi del potere religioso emergente tuttavia Ipazia rappresenta un ostacolo per il processo di conversione dei pagani: il sapere che divulga infatti favorisce lo sviluppo del pensiero ellenico-scientifico inviso dalle autorità cristiane che, al contrario, cercano in ogni modo di estirparlo per radicalizzare la cultura attraverso l’indottrinamento biblico neotestamentario.

I talebani decidono di intervenire perché Malala li sta sfidando apertamente, tant’é che il suo blog è ormai oggetto di discussione in occidente. Un simile atteggiamento è inaccettabile sia perché può diventare un pericoloso precedente, tale da indurre altri attivisti a compiere simili azioni di rivolta, sia perché è l’agire di una donna contro la volontà dell’uomo, inaccettabile per il fanatismo religioso mussulmano.

Il clima è rovente: i cristiani prima bandiscono gli ebrei dalla città, poi cercano di fare lo stesso con i pagani, ma senza riuscirvi. Serve quindi un atto dimostrativo.

La sentenza è severissima: i talebani emettono una minaccia di morte per Malala, sostenendo che la ragazza è il simbolo degli infedeli e dell’oscenità.

Ipazia viene catturata per mezzo di un agguato pianificato da un gruppo di cristiani i quali cominciano a scagliarle contro pietre e cocci. In un agguato dentro un autobus Malala viene colpita alla testa da alcuni proiettili sparati dai sicari talebani.

Ipazia muore lapidata e il suo corpo viene fatto a pezzi e bruciato. Malala viene trasportata in ospedale e operata d’urgenza.

Ipazia come Malala, Malala come Ipazia.

Il desiderio di queste due donne di essere libere di potersi esprimere e di poter comunicare al mondo e con il mondo le accomuna nella battaglia di tutti i giorni a difesa delle libertà fondamentali dell’individuo.

Ma c’è una buona notizia: Malala si è miracolosamente salvata.

Nel 2013 il Parlamento Europeo le ha assegnato il premio Sakharov per la libertà di pensiero e nel 2014 le è stato conferito il Nobel per la pace. Oggi vive in Inghilterra dove studia e continua a battersi affinché non venga negato a nessun bambino e a nessuna bambina il diritto all’istruzione.

Pare scontato poter affermare che nessuno può impedirci di esporre la nostra opinione, tuttavia, come abbiamo visto, la censura è ancora oggi lo strumento del potere per soggiogare le masse.

Le vicissitudini di Ipazia e di Malala di fatto ci insegnano che quanto scritto nel 1948 non può essere dimenticato in qualche burocratico cassetto, ma, essendo il frutto, spesso amaro, di tante battaglie e di tante lotte, deve essere ogni giorno l’ideale a cui tendere per concepire una vera società democratica e paritaria.

Senza paura di chiudere la bocca, perché “se la gente fosse silenziosa, nulla cambierebbe”.

 

In copertina “Morning Melody” di Kim Fujiwara, particolare.