Dall’altra parte del spinato: Irma Grese e Olga Lengyel (seconda parte)

Il testo che pubblichiamo oggi è volutamente diviso in due parti: la prima è stata pubblicata il giorno 8 gennaio 2020.

 

    Olga Lengyel aveva ripreso a lavorare in infermeria e questo l’aiutava a far passare le giornate più velocemente, perché non aveva tempo per fermarsi a guardare l’orrore. Eppure, sentiva il peso della vita scivolare via. Una triste rassegnazione che la stava divorando l’anima più che la mente, tanto è vero che aveva spesso pensato al suicidio. Anche i sassi del campo avevano ormai capito le sue intenzioni.

Un giorno un amico le aveva detto: <<Non hai il diritto di buttare via la tua vita! Se questa esistenza non ha più attrazione per te, devi continuare a vivere se non altro per cercare di alleviare le sofferenze di chi ti sta accanto. La tua posizione come infermiera è perfetta!>>. Le aveva lanciato un’occhiata di intesa: <<Questa cosa sarà molto pericolosa, ma non è altrettanto pericoloso il nostro pane quotidiano qui?>>.

<<Puoi fare tre cose per noi. Primo: puoi diffondere attentamente tutte le notizie che ti do. Questa cosa è della massima importanza per mantenere il morale dei prigionieri. Secondo: le persone ti porteranno lettere e pacchi. Li consegnerai di nascosto secondo le istruzioni che ti vengono fornite. E se mai verrai interrogata, mai una parola: pensi di essere abbastanza forte da sopportare le loro torture?>>.

Olga Lengyel aveva accettato senza esitare: ora aveva una nuova ragione di vita che potesse alimentare la flebile fiammella della speranza. <<Terzo: dobbiamo osservare tutto ciò che accade qui. Quando la guerra sarà finita, scriveremo tutto ciò che abbiamo visto. Il mondo deve sapere. Deve conoscere la verità!>>.

L’essenziale era avere un obiettivo: aveva quindi cominciato a lavorare segretamente con il movimento di resistenza, rischiando spesso di essere scoperta, torturata ed uccisa con spietatezza. L’essenziale era anche che Irma Grese la tenesse in vita. Un giorno sarebbe stata libera e avrebbe potuto dire al mondo: <<Questo è ciò che ho visto con i miei occhi. Non deve mai essere permesso che accada di nuovo!>>.

 

    Irma Grese venne catturata quando gli inglesi entrarono nel lager per liberare i prigionieri. Per Olga Lengyel, però, l’incubo non era finito: i tedeschi avevano già evacuato i detenuti per cancellare le prove dei campi di concentramento. Olga e altre migliaia di persone furono obbligate a camminare per decine e decine di chilometri senza acqua e cibo verso le navi ancorate nella baia di Lubecca.

Durante la cosiddetta marcia della morte vennero uccisi un grande numero di prigionieri: quanti non tenevano il passo, i moribondi, i deboli, i malati o coloro che erano stremati dalla stanchezza venivano sistematicamente eliminati con un colpo di pistola in testa oppure semplicemente lasciati agonizzanti nel fango o nella neve. Come il marito di Olga.

Olga Lengyel riuscì per fortuna a fuggire dal convoglio e a rifugiarsi nella cittadina di Brzeźce in Polonia, grazie all’aiuto della famiglia di Maria e Ludwik Paszek prima e di Augustyn e Zofia Godziek poi. Rimase qui nascosta fino alla fine della guerra, fingendo di essere una parente venuta per assistere la madre di Augustyn, perché malata. I militari nazisti di stanza a Brzeźce per fortuna credettero a quella versione.

Poi un bel giorno di primavera la guerra finì.

Olga Lengyel, dopo la liberazione, viaggiò verso la Francia ed in seguito si stabilì definitivamente a New York. Irma Grese, accusata di crimini di guerra, di genocidio e di strage, fu condannata a morte tramite impiccagione dal tribunale delle Forze Alleate. Durante il processo non ebbe mai un attimo di pentimento, anzi rimase convinta delle sue azioni e del suo credo nazista: la notte prima della sua esecuzione intonò canzoni naziste sino alle prime luce dell’albaSul patibolo, con un’espressione sprezzante, disse solo: <<Fate presto!>>. 

 

    Oggi è la Giornata della Memoria, ma non basta. Affinché sia ancorata in tutti noi la volontà di non ripetere questi orrori, dobbiamo capire che ogni giorno è il giorno giusto per non dimenticare, ogni minuto è il minuto giusto per evitare che altre porte vengano marchiate dalla svastica nazista e ogni secondo è il secondo giusto per evitare che i più deboli subiscano azioni di violenza: perché l’odio è lì, nascosto nell’ombra, pronto a sfruttare il momento giusto per uscire fuori e scatenarsi. Ed è tanto vicino che quasi non ce ne accorgiamo. Allora non se ne era accorta l’Europa perché, come Olga Lengyel, non aveva avuto tempo per fermarsi e guardarsi attorno. E oggi dove guardano i nostri occhi?

Olga Lengyel tuttavia ha scoperto il nascondiglio del male quando quel suo amico le ha dato una speranza per cui continuare a vivere. In quel momento Olga ha capito e ha agito di conseguenza. Ha rischiato la propria vita per gli altri, partecipando ad attività di resistenza clandestina, contrabbandando esplosivi e medicinali e collaborando alla distruzione di uno dei forni crematori. Ha salvato diverse persone da morte certa inventando diagnosi cliniche in modo tale che i detenuti malati potessero essere ritenuti idonei per lavorare, anziché finire direttamente nelle camere a gas. E l’ha fatto per denunciare ciò che aveva visto, permettendo a noi ora di sentirci liberi di manifestare idee e opinioni, di credere in un dio diverso da quello del nostro compagno di banco, ma anche di continuare la sua battaglia, senza mai abbassare la guardia. 

 

    E dall’altra parte del filo spinato ci sono molte donne che combattono con molte armi e senza resa. Non sono pistole, ma parole. Non sono minacciose, ma riparatrici. Non sono portatrici di guerra, ma di pace. E hanno il compito crudele di raccontare nei minimi dettagli le atrocità che il genere umano ha commesso, affinché lo stomaco delle persone si apra in due, il cuore si spezzi a metà e la mente rifletta il presente sulle scorie del passato.

Dall’altra parte del filo spinato ancora oggi troppe persone, soprattutto donne, sono vittime di odio sociale, etnico e religioso. Volgiamo lo sguardo per esempio in Pakistan dove quasi il 75 percento degli uomini non accetta che le donne abbiano un lavoro retribuito, in Turchia dove le minoranze curde sono costrette a nascondersi, oppure in Israele dove la legge ebraica impedisce alle donne di chiedere il divorzio. Possibile che ancora una volta il mondo non si accorga di nulla?

Questa nostra battaglia culturale deve proseguire, perché troppe persone fanno finta che sia tutta una messa in scena della stampa, delle associazioni o delle donne stesse. Troppe persone sono indifferenti a questi problemi, semplicemente perché sono questioni che si ritengono essere esclusivamente di dominio femminile, oppure di uno stato minore, lontano e magari anche troppo povero da ricavarci qualcosa in cambio.

 

    Olga Lengyel è morta il 15 aprile 2001 all’età di 92 anni. Ci ha lasciato oltre a libri, una biblioteca e a diverse interviste, un’eredità importantissima: insegnare il rispetto alle generazioni future.

E quindi, tu, da quale parte del filo spinato stai?

 

 

 

In copertina: “Massacro in Corea” di Pablo Picasso, particolare.