Bcc, allarme regole default, contrattazione da rilanciare

Anche la galassia del credito cooperativo scende in campo contro le nuove regole europee sul default della clientela e sugli accantonamenti per i crediti deteriorati, il cosiddetto calendar provisioning. Federcasse e i sindacati del credito (First Cisl, Fabi, Fisac Cgil, Uilca e Sincra Ugl) hanno messo nero su bianco i loro timori in una dichiarazione congiunta che sottolinea come “in uno scenario pesantemente condizionato dagli effetti della pandemia, tali normative risultano sproporzionate, inadeguate ed inopportune, mettono a rischio l’accesso al credito di imprese e famiglie e compromettono quindi, in tal modo, le prospettive di recupero dell’economia italiana ed europea”; è quanto si legge in un articolo pubblicato sul quotidiano Conquiste del Lavoro, dal titolo “Bcc, allarme regole default. Contrattazione da rilanciare”, a firma Carlo D’Onofrio.

I firmatari chiedono perciò “specifiche modifiche ed adattamenti di tali norme, che consentano all’industria bancaria tutta di offrire il massimo supporto all’economia reale in questa fase di grave emergenza sanitaria ed alle Banche di comunità di sostenere i territori di riferimento in piena coerenza coni loro valori fondanti”.

Sotto accusa le linee guida varate dall’Eba (European Banking Authority) secondo cui dal 1 gennaio per finire in default e subire la conseguente segnalazione alla centrale rischi come cattivi pagatori basterà uno sconfinamento minimo (100 euro per i privati, 500 per le imprese), protratto per oltre 90 giorni consecutivi. Diversa la questione del calendar provisioning. La normativa approvata dalla Bce impone che le banche svalutino del 100%, in modo automatico e in soli tre anni, i crediti deteriorati non garantiti. La norma, studiata per impedire il riformarsi di una massa di Npl (non performing loans) come quella che nel 2015 aveva minacciato seriamente la stabilità del sistema bancario (italiano in primis), rischia di rivelarsi in tempi di pandemia e di recessione galoppante un boomerang per i bilanci degli istituti di credito e per la sopravvivenza di tante imprese. Con conseguenze sociali che è facile immaginare. Rischia inoltre di emergere una contraddizione evidente — a farlo notare è stata First Cisl con il segretario generale Riccardo Colombani — tra un’Europa della condivisione e della solidarietà, che con il Recovery Fund ha rafforzato la sua dimensione politica, e un’Europa delle autorità di vigilanza, che con la stretta imposta da Eba e Bce sembra muoversi, paradossalmente, in senso opposto.

Tornando al credito cooperativo, restavivo il dibattito attorno alla riforma che nel 2016 ne ha ridisegnato completamente la mappa raccogliendo le Bcc in due gruppi (Iccrea e Cassa Centrale Banca) e un Ips (Institutional protection scheme) ritagliato sulle casse Raiffeisen dell’Alto Adige. Il consolidamento non ha avuto gli effetti sperati e ora sono in molti, tra cui i sindacati, a chiedere una riforma della riforma. Anche il premier Conte, parlando ad ottobre davanti all’assemblea di Confcooperative, aveva aperto a modifiche. Per ora non se ne hanno tracce, ma è chiaro che il tema è destinato a riproporsi. Da parte sua First Cisl ritiene che per “una revisione della riforma del credito cooperativo sia indispensabile coinvolgere tutti gli stakeholder, dai soci, alle associazioni, alle istituzioni locali”, afferma Colombani, secondo cui “è essenziale creare le condizioni affinché le lavoratrici e i lavoratori, dalle aree professionali ai dirigenti, possano esprimere e rappresentare con orgoglio la diversità del modello cooperativo, che non può e non deve omologarsi al resto del sistema bancario”. Per il leader dei bancari Cisl, inoltre, “il rilancio della contrattazione collettiva nazionale, compreso il contratto dei dirigenti scaduto da troppo tempo, deve rappresentare il nuovo inizio”.

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