Colombani su Avvenire: educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale fondamentali per una crescita sostenibile ed inclusiva

Su Avvenire, in occasione della Giornata mondiale del risparmio, il segretario generale First Cisl, Riccardo Colombani, evidenzia come l’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale sia ancora molto debole in Italia. Per questo motivo diventa cruciale coinvolgere le aziende in programmi formativi per i cittadini. L’articolo integrale:

Educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale: fondamentali per una crescita sostenibile ed inclusiva

Dopo l’introduzione nel nostro ordinamento della disciplina dell’educazione finanziaria, assicurativa e previdenziale, avvenuta con la conversione in legge del Decreto-legge 237/2016, sono stati senza dubbio compiuti dei passi avanti, soprattutto grazie alle funzioni svolte dal Comitato per la programmazione ed il coordinamento delle attività ed anche per i numerosi contributi pervenuti in questi anni da soggetti diversi.

Ma l’educazione finanziaria, comunque, resta il tallone d’Achille dei risparmiatori italiani. La graduatoria stilata dall’Organisation for Economic Co-operation and Development (Oecd)/International Network on Financial Education (Infe) 2023 è impietosa: occupiamo la 36esima posizione su 39 Paesi coinvolti nell’indagine. Un limite della legge è costituito dalla definizione della sola educazione finanziaria. Mancano infatti le definizioni di educazione assicurativa e previdenziale. Ma lo stesso limite, visto il richiamo della legge alla definizione di educazione finanziaria dell’Oecd, potrebbe consentirci di intraprendere la strada giusta, in virtù del ruolo che potrebbero avere gli intermediari finanziari ed assicurativi nel processo di aumento della consapevolezza dei cittadini nelle materie in commento, attraverso modelli di servizio non condizionati dalla marginalità economica sul singolo prodotto o contratto concluso.

Insomma, serve una consulenza basata su consigli oggettivi, fondata sulle esigenze dei destinatari e davvero improntata al miglior interesse dei clienti. A tal fine, è fondamentale la formazione di lavoratrici e lavoratori, che non può ridursi a mero addestramento di carattere commerciale, bensì deve trattarsi di un investimento permanente, nel quadro di una cultura d’impresa che metta al centro la qualità del servizio, senza tener conto dell’entità della ricchezza del cliente.

Purtroppo, l’industria bancaria sta in prevalenza puntando sul wealth management. Non mi riferisco evidentemente al sistema del credito cooperativo e alle poche banche popolari rimaste. Vista la probabile ulteriore discesa dei tassi di interesse di politica monetaria, con conseguente diminuzione del margine di gestione del denaro, l’obiettivo delle banche è l’aumento delle commissioni. Di per sé è legittimo, essendo le banche imprese, ma è necessario coniugare utile e utilità sociale. Tanto più, tenendo conto che le banche italiane sono già molto performanti, sia in termini di redditività complessiva che riguardo alle commissioni, rispetto alle banche europee. Nel 2023 le commissioni per il sistema bancario italiano sono state pari a quasi l’1% del totale dell’attivo, contro lo 0,63% medio delle banche europee e lo 0,52% delle banche tedesche. Si tratta di differenze molto significative, che peraltro si ripetono da almeno tre lustri. Anche riguardo al peso delle commissioni sul totale dei ricavi le banche italiane escono meglio della media delle europee e delle tedesche: nel 2023 il 31,4%, contro il 26,6% e il 24%, rispettivamente.

Ciò nonostante, le banche Italiane stanno pianificando le modalità per incrementare il livello delle commissioni. In particolare, credo sia opportuno porre attenzione allo sviluppo di modelli di banca assicurazione attraverso la formazione di conglomerati finanziari a matrice bancaria, con il probabile intento di spingere sul collocamento di prodotti finanziari assicurativi o, comunque, su contratti di assicurazione che determinano rischi e assorbimento di capitale limitati. La regolamentazione europea, con il cosiddetto Danish compromise, favorisce l’acquisizione di società di assicurazione da parte delle banche perché l’impatto sull’assorbimento del capitale è favorevole. L’industria si sta rapidamente muovendo sulla base di disposizioni di carattere regolamentare emanate dalle Autorità competenti, sfruttando ogni possibilità per ottimizzare il grado di assorbimento di capitale.

Il modello di banca assicurazione non è sbagliato in sé, ma rischia di essere quasi esclusivamente utilizzato per la conclusione di contratti di assicurazione dei rami vita. Il Paese ha invece tanto bisogno di uscire dal drammatico problema della sotto assicurazione contro i danni. Sarebbe davvero importante l’assunzione di rischi di assicurazione relativi ai rami danni e la corrispondente, maturata, esigenza da parte dei cittadini. Basti pensare alle alluvioni, inondazioni e frane, sempre più frequenti ed intense. Servirebbe un enforcement sull’educazione assicurativa, così come su quella previdenziale. Su quest’ultimo fronte, il secondo pilastro stenta a decollare. Sono davvero forti le preoccupazioni per le nuove generazioni e per la coesione sociale.

Inoltre, gli intermediari potrebbero anche realizzare programmi educativi gratuiti per la clientela, magari allargandoli all’utilizzo delle nuove tecnologie, cercando di coinvolgere, in particolare, la clientela anziana, che è già oggi vittima di emarginazione sociale ed economica. Sì tratterebbe di investimenti dal ritorno certo per gli intermediari, in termini di maggiore utilizzo dei canali distributivi non tradizionali e di aumento della reputazione.

L’articolo di Avvenire: