Contratto, Colombani: banche italiane solide, il valore va redistribuito ai lavoratori

La tempesta che ha scosso i mercati finanziari nelle ultime settimane ha fatto suonare un campanello d’allarme, ma la solidità delle banche italiane non è in discussione. Non è solo l’opinione, ribadita a più riprese, del governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, ma è anche quella dei sindacati, che hanno un punto di osservazione privilegiato all’interno del sistema. Alla vigilia della trattativa per il rinnovo del contratto nazionale Abi la categoria ha condensato le sue richieste nella piattaforma unitaria, approvata oggi dal Consiglio generale di First Cisl in attesa del via libera delle assemblee dei lavoratori. Per il segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani, intervenuto in apertura dei lavori, il documento rappresenta una sintesi equilibrata e si inserisce perfettamente nel contesto del settore. Nel 2022 “i primi quattro gruppi italiani hanno erogato ai loro azionisti 10,5 miliardi di euro tra dividendi e operazioni di buy back”, al culmine di un’annata che ha visto esplodere gli utili. Numeri che vanno messi a confronto con quelli del costo del lavoro, in costante diminuzione: “Tra il 2006 e il 2021 siamo passati da 26 a 24 miliardi”, ha ricordato Colombani. È evidente che la rivendicazione salariale presentata dai sindacati – questo il centro del ragionamento – appare del tutto proporzionata. Così come la posizione sui livelli occupazionali: “Non accetteremo un’ulteriore riduzione”.

Del resto lo stato di salute complessivo delle banche italiane non può giustificare nuovi tagli. La corsa a smantellare le filiali ha prodotto danni rilevanti sui territori sia sotto il profilo economico che sociale. Danni che hanno generato nelle comunità locali un clima di insofferenza attestato dal successo delle iniziative sulla “desertificazione bancaria” portate avanti da First Cisl: “È un terreno sul quale continueremo a muoverci – ha scandito Colombani – e sul quale sono impegnati anche gli altri sindacati: un fatto, quest’ultimo, senz’altro positivo. Per questo abbiamo deciso di arricchire i contenuti del nostro Osservatorio nazionale sulla desertificazione bancaria”.

Le scosse partite da Silicon Valley Bank si sono propagate all’Europa attraverso Credit Suisse, il cui salvataggio peraltro, ha osservato Colombani, è avvenuto con modalità discutibili, privilegiando gli azionisti rispetto agli obbligazionisti: “Un esempio che l’Unione europea non intende seguire, come ha messo in chiaro giustamente il Presidente dell’Eba Andrea Enria”. Sta di fatto, ha proseguito, che “le crisi bancarie al di là e al di qua dell’Atlantico hanno rivelato che molti banchieri, dopo anni di politica monetaria ultraespansiva, si sono mostrati inclini a sottovalutare il rischio tassi”. Tornando a guardare all’interno dei confini nazionali, le banche italiane possono contare su alcuni punti di forza che rendono del tutto improbabile l’estensione del contagio: “Il rapporto tra prestiti e depositi è più basso della media Ue, mentre la liquidità e i depositi stabili sono saldamente al di sopra”.

Una vittima, per la verità, l’aumento dei tassi l’ha fatta, ma nel settore assicurativo. Il caso Eurovita è stato affrontato con l’amministrazione straordinaria (“provvedimento opportuno”, l’ha definito il leader di First Cisl) e con un piano di salvataggio ancora in via di definizione, al quale parteciperanno le principali compagnie assicurative del Paese. Non basta, però. Il mancato rimborso delle polizze vita Ramo I rappresenta un vulnus potenzialmente dirompente sul piano della fiducia dei risparmiatori. Un pericolo al quale si potrebbe ovviare, ha proposto Colombani, con “l’istituzione di un meccanismo di garanzia sulle polizze vita che dovrebbe basarsi sul vincolo di solidarietà tra le compagnie di assicurazione, così come avviene per il Fondo interbancario di tutela dei depositi”.

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