Colombani su Avvenire, la finanza sostenibile è decisiva, ma attenzione al marketing sulla transizione ecologica

“La finanza sostenibile è decisiva, ma attenzione al marketing sulla transizione ecologica” è il titolo con cui Avvenire pubblica una lunga intervista del giornalista Ernesto Fraore al segretario generale di First Cisl, Riccardo Colombani, in uno speciale del quotidiano nazionale sul tema “Investimenti e clima”.

“La sostenibilità – si legge su Avvenire – è la nuova stella polare della finanza ed i criteri Esg (Enviroment, social, governance) la sua bussola. Ma la rotta, diversamente da quel che appare, è piena di insidie che di rado vengono rilevate dai radar dell’opinione pubblica. «La trasformazione dei modelli sociali ed economici è improcrastinabile ma se vogliamo una transizione giusta serve un approccio olistico al problema. Politiche parziali e meri enunciati determinerebbero distruzione di capacità produttiva e calo dell’occupazione», sostiene il segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani, che ne discuterà oggi a Roma con i vertici di Abi e Ania e con Stefano Zamagni, Presidente della Pontificia Accademia di Scienze Sociali, in un convegno organizzato dal sindacato dei bancari e degli assicurativi della Cisl”. Segue il testo dell’intervista:

Quali soggetti potrebbero essere penalizzati?

Tutte le imprese che faticano ad adeguarsi ai nuovi standard. È un problema che tocca da vicino il nostro Paese. In Italia le piccole e medie imprese danno lavoro a milioni di persone e sono quasi del tutto dipendenti dal settore bancario, ma non possiedono nella maggior parte dei casi la struttura e le competenze per integrare i criteri Esg nel loro business. Questo le espone ad una restrizione del credito, un pericolo da evitare assolutamente nella fase di rallentamento dell’economia prevista per il prossimo anno. C’è un rischio di transizione che va gestito con intelligenza, a cominciare dalle autorità di regolazione.

Lo speciale di Avvenire

La Bce non si stanca di ammonire le banche a ricomprendere i rischi di transizione climatica nella valutazione del merito di credito. È la strada giusta?

L’obiettivo regolamentare è indubbiamente giusto. Dipende però dai metodi con cui viene perseguito. Il cambiamento climatico è una minaccia esistenziale e rappresenta una forte turbativa per i sistemi economici e sociali in tutto il mondo. Gli stress test diffusi nel luglio scorso rivelano che le banche hanno ancora molto lavoro da fare. Ma la regolazione non può accelerare il processo introducendo un approccio meccanicistico, imponendo alle banche requisiti di capitale sempre più alti che avrebbero l’effetto di penalizzare molte imprese sul fronte del credito. Quello di cui abbiamo bisogno è un approccio flessibile, graduale e integrale. In caso contrario andremmo incontro ad un esito paradossale: la ricerca esasperata della stabilità del sistema finanziario finirebbe per caricare sulle banche il compito di determinare la politica industriale. È un rischio paventato di recente, a ragione, anche dall’Abi. La politica deve governare, sia a livello europeo che nazionale, la transizione per assicurare che la regolazione bancaria sia inserita in un disegno normativo organico e coerente con gli obiettivi.

La grande finanza ha sposato con entusiasmo la causa della transizione ambientale. Ma è tutto oro quello che riluce?

Non c’è dubbio che il ruolo della finanza rivesta grande importanza nella transizione verso un modello economico sostenibile. La Cop 27, che si è tenuta da poco in Egitto, ha ribadito quanto era emerso un anno fa a Glasgow, e cioè che l’impegno degli intermediari finanziari è fondamentale per centrare gli obiettivi degli Accordi di Parigi. Dobbiamo guardarci però dalla retorica. È chiaro che l’emissione di strumenti finanziari dalla denominazione accattivante (green bond, social bond, etc…) appare non di rado orientata più al marketing che alla sostenibilità ambientale e sociale. Non a caso proprio nel corso della Cop 27 un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha presentato un catalogo di raccomandazioni contro il greenwashing. Per garantire che l’allocazione del risparmio sia coerente con gli obiettivi di sostenibilità vanno definite in modo trasparente le tassonomie che orientano la costruzione dei prodotti finanziari.

Che cosa si può fare, in concreto, per spingere il sistema economico verso la sostenibilità?

Credo che le politiche del risparmio possano rivestire un ruolo importante. Durante il nostro congresso abbiamo proposto di dare vita ad un Fondo nazionale di investimento nell’economia reale, gestito con forme di partenariato pubblico-privato. Il tema dell’impiego del risparmio a favore della crescita economica si è poi imposto sui media e nella discussione tra gli addetti ai lavori. Di certo uno strumento come il Fondo avrebbe l’effetto non solo di far crescere gli investimenti, allineando la quota di risparmio che gli italiani destinano all’economia nazionale a quella degli altri grandi paesi europei, ma anche di incentivare le imprese a comportamenti virtuosi. L’articolo 47 della Costituzione non solo tutela il risparmio, ma promuove anche il suo investimento nei complessi produttivi del Paese. La vera sostenibilità passa dalla partecipazione.

Per chi lavora in banca e nelle assicurazioni che cosa cambia?

Prima di tutto deve cambiare la cultura d’impresa. L’implementazione delle competenze riguardo al rischio climatico è indispensabile ma la valorizzazione delle persone non può limitarsi alla formazione. Solo se l’industria finanziaria si apre a forme di partecipazione dei lavoratori può realizzarsi il cambiamento sul piano culturale che è necessario ad affermare i criteri di sostenibilità ambientale, sociale e di governance.

 

Qui lo speciale di Avvenire: