Colombani su Avvenire, la partecipazione dei lavoratori per una finanza più sostenibile

“La partecipazione genera valore”. Avvenire rilancia il titolo scelto da First Cisl per il suo 2° Congresso nazionale intervistando il segretario generale Riccardo Colombani. Da domani e fino a giovedì sono in programma “una serie di eventi – si legge sul quotidiano romano – che coinvolgeranno esponenti del mondo finanziario, economisti, rappresentanti delle istituzioni. Una scelta impegnativa e controcorrente rispetto al pensiero dominante, che negli ultimi decenni ha affermato il primato dell’individuo sulla società e ribadito che le ragioni del lavoro e del capitale devono restare rigidamente distinte. Una scelta che però, spiega il segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani, alla guida del sindacato dal 2019, si è rivelata naturale perché impressa fin dalle origini nel Dna della Cisl”.

Segue l’intervista al segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani:

Pensa davvero che il momento sia propizio per proporre un cambiamento di questa portata?

Credo di sì. Le crisi che si sono susseguite negli ultimi anni hanno portato in superficie tutte le contraddizioni del nostro modello economico e sociale. La risposta dell’Occidente alla fine della guerra fredda è consistita nel liberare gli “spiriti animali” del capitalismo, col risultato di mettere tra parentesi la solidarietà a vantaggio di un individualismo sempre più spinto. Poi è arrivata la pandemia a ricordarci una verità a lungo taciuta: nessuno ce la fa da solo. Così nelle nostre società si è affacciata una sensibilità nuova, che vede nella relazione con l’altro una ricchezza e non un freno all’appagamento dei propri desideri. Per questo ritengo sia giunto il momento di agire sulle crepe dell’ideologia neoliberista per mettere la persona al centro di un nuovo paradigma. Il coinvolgimento delle lavoratrici e dei lavoratori nelle decisioni delle imprese è lo strumento giusto per realizzare questo obiettivo.

Come dovrebbe tradursi nel contesto economico italiano l’impegno per la partecipazione?

La partecipazione può assumere varie forme. L’articolo 46 della Costituzione, che ha introdotto il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle imprese, non impone soluzioni predefinite. Quel che conta è che il lavoro non sia più considerato un mero fattore della produzione. Negli armi ’50 la Cisl propose di istituire un fondo nazionale di investimento del “risparmio contrattuale” raccolto su base volontaria tra i lavoratori. L’idea della partecipazione finanziaria è valida anche oggi. Per funzionare deve rispettare alcune indicazioni: deve essere volontaria, strutturata, ricorrente, in modo da diluire nel tempo eventuali rischi, e incentivata. Non si tratta, ovviamente, di assumere il controllo delle imprese, ma di creare le condizioni per incidere sulle loro scelte. Alla base deve esserci un patto forte tra lavoro e capitale. La partecipazione dei lavoratori deve avvenire in modo collettivo attraverso il sindacato con l’utilizzo di strumenti giuridici come il voting trust. Per favorire questo processo un intervento legislativo sarebbe determinante. Non serve però una legge di tipo prescrittivo, bensì che preveda un rinvio chiaro alle parti sociali.

Il sistema bancario vive una fase di profonda trasformazione. Il processo di consolidamento, auspicato dalle autorità di regolazione, è la soluzione giusta per l’Italia?

Il nostro sistema bancario è già oggi più concentrato di quelli francese e tedesco. Un’ulteriore accelerazione non farebbe gli interessi dei territori e delle piccole imprese, la dorsale del tessuto produttivo, che hanno sofferto negli ultimi anni per la rarefazione del credito. Le politiche adottate dopo la crisi finanziaria del 2008 hanno privilegiato la stabilità, di sicuro un obiettivo determinante, ma non si sono rivelate in grado di garantire la crescita. E una crescita forte e inclusiva per un Paese come il nostro, che ha alle spalle vent’anni di stagnazione e di ampliamento delle diseguaglianze, è la priorità. Per questo le banche devono rimettere il credito al centro dei loro interessi, abbandonando il modello originate to distribute, concepito per trasferire i rischi fuori dal sistema, in favore del modello tradizionale, originate to hold, in cui il credito viene gestito all’interno delle stesse banche che lo hanno generato. Questa inversione di tendenza deve essere facilitata dalla normativa europea e nazionale.

Il futuro di Mps, dopo il fallimento della trattativa con Unicredit, resta incerto. Quanto può incidere la banca senese sugli assetti del sistema bancario?

Nel 2021 la banca è tornata all’utile e le previsioni fosche degli stress test sono state smentite. Il merito è dei lavoratori, che l’hanno tenuta in piedi con il loro spirito di abnegazione. Per garantire il futuro la priorità è la ricapitalizzazione. Poi, quando si tratterà di passare la parola al mercato, servirà un investitore stabile. Il gruppo Generali sarebbe un candidato ideale: è il primo azionista privato e potrebbe garantire una gestione non ossessionata dai risultati di breve periodo.

Una lunga stagione di prezzi stagnanti, addirittura di deflazione in alcuni anni, è al tramonto. L’inflazione torna a fare paura. Che fare sui salari?

Una svolta restrittiva della politica monetaria va evitata assolutamente: sarebbe letale per la domanda e affosserebbe la crescita. A mutare il quadro sono stati prima il rialzo dei prezzi delle materie prime energetiche, poi la guerra. Quanto ai salari, la loro crescita deve seguire quella della produttività e la contrattazione collettiva, nazionale e aziendale, è lo strumento per realizzare un’equa distribuzione della ricchezza. I piani industriali presentati di recente dai maggiori gruppi bancari, pur prevedendo una frenata dell’emorragia occupazionale, cosa ovviamente positiva, disegnano un’ulteriore compressione del rapporto tra costi operativi e ricavi. Se questo obiettivo fosse raggiunto il risultato sarebbe la definitiva separazione della ricchezza dal lavoro.

Meno credito, più finanza. Oggi le banche fanno la maggior parte dei loro utili con le commissioni. Ma per i lavoratori questo che cosa significa?

Due parole: pressioni commerciali. È un problema che si trascina da anni e che pesa come un macigno sui lavoratori, costretti a perseguire obiettivi di vendita sempre più alti: una prassi che produce spesso criticità sul clima aziendale e nelle relazioni con la clientela. L’accordo sulle politiche commerciali che abbiamo firmato nel 2017 con l’Abi è rimasto di fatto lettera morta. Siamo ad un bivio: o troviamo una soluzione adesso, nel segno della responsabilità che ha sempre contraddistinto le relazioni industriali del settore, o si aprirà una stagione di tensioni e conflitti.

 

La pagina di Avvenire: