Smart working, Sole 24 ore, contratto individuale non sostituisca quello collettivo

«Prima e dopo il lockdown lo smart working si è rivelato uno strumento prezioso sia per i lavoratori che per le banche». Cristina Casadei, de Il Sole 24 ORE, usa le parole del segretario generale di First Cisl, Riccardo Colombani, per l’attacco del suo articolo dal titolo “Il contratto individuale non si sostituisce a quello collettivo”. La giornalista scrive che sono stati chiamati a “raccolta il segretario generale aggiunto della Cisl, Luigi Sbarra, Giampiero Falasca (giuslavorista DLA Piper), Francesco Seghezzi (presidente Fondazione Adapt) e la sottosegretaria al ministero del Lavoro Francesca Puglisi per discutere di che cosa fare adesso di questo prezioso strumento”.

Il quotidiano finanziario rimarca “i numeri raccolti dall’ufficio studi della First” che evidenziano “quanto ci sia da fare nel nostro paese sul versante della digitalizzazione e delle competenze digitali. Oltre al diverso ricorso che è stato fatto nei diversi settori prima e dopo il lockdown. Se prendiamo il credito e le assicurazioni, per esempio, si è passati dal 12,4% di personale impiegato nel lavoro a distanza del periodo gennaio-febbraio, al 26,1% del periodo marzo-aprile, al 16,5% del periodo maggio-giugno. La crescita esponenziale ha avuto, tra i suoi effetti, quello di riaccendere il dibattito sulla regolazione di uno strumento che è entrato molto lentamente nel mondo del lavoro italiano”.

Il segretario generale di First Cisl, Riccardo Colombani, è chiaro nel ribadire che «nell’ottica di una possibile riforma della legge 81/2017, il ruolo della politica e delle parti sodali dovrà essere centrale (…) Per il sindacato è fondamentale che il contratto individuale tra datore di lavoro e lavoratore non si sostituisca alla contrattazione collettiva, che deve continuare a costituire la fonte normativa prevalente del rapporto di lavoro, pena la sua destrutturazione». Riccardo Colombani comprende bene che adesso «si profila la necessità di registrarne al meglio l’utilizzo per evitare possibili distorsioni. Un passo importante lo abbiamo già fatto, primi in Italia, introducendo una regolamentazione collettiva di settore ed estendendo il diritto alla disconnessione a tutti i lavoratori».

Alla tavola rotonda organizzata da First Cisl il giuslavorista di DLA Piper Giampiero Falasca sottolinea: «chi è in smartworking l’orario di lavoro ce lo ha sempre e di questo dobbiamo tenere conto (…) Vogliamo che si affermi un modello di lavoro in cui i lavoratori sono soli? – chiede il giuslavorista – Un sano lavoro agile parte dal luogo di lavoro fisico».

Il Sole 24 ORE ricorda che le parti sociali si confronteranno sul tema il 24 settembre al ministero del Lavoro. A rappresentare il governo, all’iniziativa di First Cisl, è stata Francesca Puglisi, sottosegretario al Ministero del lavoro e delle politiche sociali che da la sua visione su cosa “dovrebbe fare un governo di fronte a un cambiamento che «è già in atto e che non va imbragato – dice il sottosegretario – Il nostro Paese deve sicuramente superare il digital divide perché noi abbiamo un paese spaccato in due. Proprio per questo le risorse del Recovery fund serviranno anche per dotare tutto il paese delle infrastrutture per consentire a tutti di lavorare e studiare in modo agile. Inoltre il nostro paese deve investire sulle competenze digitali in modo diffuso»”.

“Sulla normativa – si legge ancora nel quotidiano finanziario – e sui temi che hanno alimentato il dibattito in questi mesi, Puglisi osserva che «nella legge 81 del 2017 molti temi di cui si parla oggi sono presenti. Per esempio il diritto alla disconnessione è già previsto. Ciò che oggi serve è una legge leggera, non basarsi solo su accordi individuali ma accompagnare il cambiamento con la contrattazione nazionale e soprattutto con la contrattazione decentrata, affinché vengano rispettati i modelli organizzativi che devono cambiare, tenendo però conto che ogni impresa ha un modello diverso dall’altro».

Nel suo articolo Cristina Casadei riporta le osservazioni di Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt, per il quale «non bisogna coltivare una visione salvifica dello smart working. In Italia solo il 35% della forza lavoro può avervi accesso (…) senza dubbio questa modalità di lavorare – osserva il presidente Fondazione Adapt – va gestita con la contrattazione a tutti i livelli: nazionale, aziendale ma anche territoriale. Quest’ultima dimensione appare fondamentale per costruire un ecosistema, fatto di servizi, scuola, pubblica amministrazione, che sia in grado di contenere le possibili ricadute negative di un impiego esteso dello smart working».

Il segretario aggiunto della Cisl Luigi Sbarra ha fatto la sintesi auspicando che il governo «riaccenda l’auricolare collegandosi con le forze sociali del paese per non sprecare questa opportunità che ci arriva con i 209 miliardi del Recovery fund che, se ben programmati e spesi, ci possono aiutare a recuperare terreno sulla digitalizzazione e sulla sostenibilità ambientale e sociale (…) è ora di riportare il lavoro agile nel perimetro della contrattazione collettiva, nazionale e decentrata. Il governo lasci perdere la nuova legge sullo smart working – ribadisce Luigi Sbarra – ed esca dalla logica della normativa di emergenza riportando il tema alla contrattazione collettiva. È un’intrusione e conviene che pensi alle sue cose come la formulazione di progetti credibili per le risorse europee del Recovery Fund o la predisposizione della Nadef».