Romani, pressioni commerciali, solo 10 banche hanno un accordo

“Milano Finanza” si occupa delle pressioni commerciali nelle banche e degli effetti che hanno avuto nelle crisi bancarie. “Banche: Romani (First-Cisl), pressioni commerciali alert”, questo il titolo del servizio che riprende le considerazioni del segretario Generale di First Cisl, Giulio Romani il quale afferma che “tutte le crisi bancarie italiane degli ultimi anni sono state precedute da due campanelli d’allarme, strettamente correlati, che non sono mai stati colti dalla politica e dalla vigilanza: si tratta delle pressioni commerciali dei manager nei confronti del personale e del sistema spropositato di compensi dei vertici, garantiti dai volumi realizzati attraverso la spinta al collocamento di prodotti tossici e l’erogazione di crediti privi di garanzie”.

Le dichiarazioni di Giulio Romani muovono dalla verifica dell’applicazione dell’accordo in tema di politiche commerciali e di organizzazione del lavoro firmato in Abi l’8 febbraio del 2017. “Purtroppo, i compensi manageriali non sono ancora regolati per legge e il ricorso alle pressioni – fa notare ancora Romani – non è cessato e questo getta una luce sinistra sul futuro. A circa un anno e mezzo al protocollo Abi solo 10 banche hanno sottoscritto un accordo applicativo che consenta ai lavoratori e al sindacato di intervenire, anche a tutela dei clienti, in caso di comportamenti distorsivi dell’attività commerciale, e appena un altro paio sono in dirittura d’arrivo. Tra le big 5, UniCredit, Intesa Sanpaolo e Ubi hanno sostanzialmente definito come attualizzare i meccanismi pregressi, senza delineare particolari innovazioni. Nell’accordo di Mps si è  scongiurato il rischio di una deriva che sembrava voler introdurre l’obbligo di raggiungere gli obiettivi quantitativi commerciali fissati dalla banca. Il Banco Bpm si è impegnato solo da pochi giorni, a fronte di una minaccia di sciopero, a definire la materia entro ottobre”.

A parere del segretario generale di First Cisl, Giulio Romani “il caso più eclatante di violazione del protocollo nazionale è quello della Popolare di Bari, dove le pesanti pressioni sul personale sono state condite perfino da minacce per spingere la vendita di prodotti ad alta marginalità, facendoci ripiombare nell’incubo di un film già visto. La banca pugliese è inadempiente perfino alle decisioni dell’Arbitro per le Controversie Finanziarie, già a quota 6 per un ammontare di 106 mila euro, con progressivo decadimento di reputazione. Eppure nel 2017, a fronte di un utile di 1 milione di euro, i componenti della famiglia Jacobini al vertice della Popolare barese non hanno avuto problemi a intascare 1,6 milioni di compensi: il padre Marco, presidente, ha incassato 768 mila euro e i figli Gianluca, condirettore generale, e Luigi, vice direttore generale, hanno ricevuto rispettivamente 438 e 436 mila euro. Il pericolo è che da questa aggressività commerciale – conclude Romani – possano derivare gravi conseguenze al destino del lavoro e al futuro di famiglie e imprese del Mezzogiorno, stanti le quote di mercato della banca nelle regioni meridionali, intorno al 6%, con picchi del 16% sugli impieghi in Abruzzo e Basilicata. Per fortuna esistono esperienze di grande positività come quella di Deutsche Bank, il cui recente accordo concretizza un più efficace sistema di whistleblowing interno, dal momento che ora è previsto che le notizie di possibili violazioni vengano inoltrate dai lavoratori al sindacato, che assume l’esclusiva responsabilità di istruire la segnalazione, a protezione del segnalante”.