Digitalizzazione, serve il coinvolgimento dei lavoratori e del sindacato

“L’introduzione di nuove tecnologie porta sempre sconvolgimenti nel mondo del lavoro. È stato così con l’introduzione dell’aratro nel campo dell’agricoltura, delle macchine nel campo dell’industria e della produzione, dell’informatica in ogni settore.

Quest’ultima rivoluzione a cui stiamo assistendo da decenni ha avuto una rapidissima accelerazione in tempi recenti, in particolare in quest’ultimo anno di pandemia in cui, costretti dagli eventi, abbiamo dovuto tutti far ricorso agli strumenti digitali senza i quali, dobbiamo riconoscerlo, non sarebbero state possibili molte delle cose che abbiamo fatto, incluso lavorare da casa nell’interesse della salute pubblica.

La forte digitalizzazione a cui stiamo assistendo, quindi, come accaduto in passato, può migliorare le nostre vite, anche lavorative, spostando sulle macchine i lavori più ripetitivi e a basso valore aggiunto.

Inoltre, può favorire l’internalizzazione di processi e attività che in passato erano stati esternalizzati.

Le macchine e, quindi, anche i computer posso essere strumenti utili se sono al servizio delle persone e del loro lavoro per facilitarne la vita e alleggerire i carichi di lavoro. Le macchine devono essere lo strumento, non il mezzo.

Ma non è quello a cui assistiamo nelle aziende dove le persone rischiano di essere trasformate solo in ingranaggi della macchina stessa perdendo la visibilità sull’intero processo e il senso stesso dell’attività che svolgono.

I processi sono frutto di analisi realizzate dal lavoro di uomini che producono input da dare in pasto alle macchine. Cosa accade, però, quando le cose non vanno come dovrebbero? Di chi sono e su chi si scaricano gli errori se ciascuno di noi non sa più come e da chi viene svolta l’attività? Spesso, purtroppo, si scaricano sull’operatore finale che non ha alcuna responsabilità su quello che accade a monte. Con la digitalizzazione si presentano, quindi, nuovi rischi professionali che devono essere riconosciuti e monitorati perché non ricadano sui lavoratori.

Si stanno modificando le figure professionali: ne scompaiono alcune, ne nascono altre. Basti vedere il peso in continua crescita del settore informatico nelle nostre aziende a discapito dei backoffice e della rete fisica.

Il senso di smarrimento e alienazione, soprattutto ma non solo, fra le persone con una maggiore anzianità è inevitabile.

Abbiamo le competenze richieste dal mondo del lavoro che cambia? Siamo pronti per queste trasformazioni? Potremmo esserlo se i lavoratori venissero adeguatamente formati ma non con un rapido corso online (anche questo digitale) di 1,5 ore in cui si dà un’infarinatura generale e poi, che ci si arrangi. Si deve tornare a fare formazione vera perché la formazione non è uno spreco di soldi e tempo ma è un investimento sui lavoratori e sul lavoro.

Il tempo delle macchine, inoltre, non è quello delle persone. Le macchine sono più rapide e non richiedono riposo ma solo un’opportuna manutenzione. Quello che si verifica è che si chieda alle persone di adattarsi al tempo macchina facendone gli stessi orari (h 24) in maniera spesso invasiva introducendosi nella vita personale, senza riposo (o riposandosi il meno possibile) e utilizzando il tempo risparmiato per lavorare di più, basti vedere cosa sta accadendo con i tempi degli spostamenti per chi lavora smartworking. Il tempo di lavoro deve essere salvaguardato e il diritto alla disconnessione non deve essere un vuoto principio ma essere concretamente declinato nell’individuazione di procedure e strumenti che ne consentano il reale esercizio.

È necessaria una nuova progettazione del lavoro e questo può essere fatto solo tramite il coinvolgimento del sindacato e dei lavoratori che devono essere parte integrante e attiva del processo trasformativo. Vanno condivisi non solo gli obiettivi in merito a formazione e competenze, rischi professionali, carichi di lavoro, diritto alla disconnessione, costi ma anche i percorsi da seguire per realizzarli. Infine, servono degli spazi di verifica che non devono assolutamente essere elusi”.

Maddalena Acquaviti – Segretaria First Cisl Milano Metropoli