… a proposito di smart working

“Negli anni come First Cisl – si legge nel documento a firma Maddalena Acquaviti, segretaria First Cisl Milano Metropoli – abbiamo promosso nelle aziende lo sviluppo dello smart working come strumento di flessibilità incontrando spesso resistenze culturali celate dietro motivazioni organizzative.

Quando poi è arrivata la pandemia le aziende si sono dovute attrezzare per introdurre il lavoro da remoto forzato che di flessibile ha ben poco.

Inizialmente per chi ha potuto utilizzarlo è stata una vera manna. Molti, anche nel nostro settore, sono costretti a lavorare in presenza per garantire la continuità del servizio. Chi di noi può lavorare da casa, invece, lo fa in assoluta sicurezza.

È stata un’ottima occasione per mostrare alle aziende che si può lavorare e bene anche fuori sede. Dopo i primi tempi, però, qualcosa stava cambiando.

Qualche collega ha lamentato la mancanza del buono pasto quale elemento seppur indiretto della retribuzione, qualcun altro ha segnalato l’aumento dei costi delle utenze domestiche, altri ci hanno detto di lavorare di più, ben oltre il proprio orario, e di non avere più un momento di stacco (anche la pausa pranzo si consuma rapidamente e spesso davanti al monitor), altri ancora ci hanno raccontato di controlli pressanti sugli stati degli applicativi chiedendone poi conto, i genitori, soprattutto le madri, hanno riferito la difficoltà di gestire i figli a casa in concomitanza con lo smartworking e di non avere più uno spazio proprio né fisico né mentale, qualcun altro si è lamentato di avere pochi o inesistenti contatti con i colleghi e con il proprio responsabile, di far fatica a gestire le call continue e infine di iniziare ad avvertire problemi frequenti alla schiena e agli occhi.

In pratica sono emerse con forza problematiche relative ai costi ma anche alla salute fisica, psichica e relazionale anche in funzione del vissuto e dell’età o della condizione familiare.

In direzione opposta – continua Acquaviti – sono andate le aziende: se prima erano decisamente reticenti rispetto allo smart working dopo l’esperienza forzata sembravano aver completamente cambiato opinione. Improvvisamente sembravano esserne non solo le sostenitrici ma addirittura quasi le promotrici dimentiche di tutte le resistenze e le discussioni affrontate negli anni.

Le aziende si sono rese conto che i bancari continuavano a lavorare con la consueta professionalità da casa come dall’ufficio ma soprattutto hanno visto una nuova occasione di riduzione dei costi che, però, sono stati scaricati sui lavoratori.

Alcuni colleghi hanno, di conseguenza, iniziato a manifestare il timore di perdere la propria sede di lavoro se non il lavoro stesso.

Se lo smartworking può essere l’occasione per rivedere l’organizzazione del lavoro in termini di maggiore flessibilità, l’impressione, invece, è che le aziende non abbiano affatto intenzione di rinunciare a tutte le loro rigidità.

Assistiamo, infatti, a gestioni discutibili di luoghi e tempi di lavoro: in pratica la flessibilità oraria viene accolta positivamente se può far sforare l’orario contrattuale ma non altrettanto se a richiedere flessibilità su ore e giorni è il collega che ha necessità familiari, va bene la flessibilità degli spazi se può tagliare postazioni ma non se il collega ha necessità di lavorare presso il domicilio dei genitori anziani.

Naturalmente in questa fase non si può prescindere dall’emergenza in cui siamo e che richiede massima prudenza ma è necessario iniziare a pensare al prossimo futuro.

A Milano, cuore della pandemia in Italia, stiamo vivendo sulla nostra pelle il dramma della forza distruttrice del virus e quella paura la sentiamo ancora addosso. Stiamo raccogliendo anche le preoccupazioni e le difficoltà dei colleghi fragili/disabili, dei malati oncologici e immunodepressi o dei loro familiari conviventi, le difficoltà dei chi ha problemi di deambulazione a raggiungere la sede di lavoro con una mobilità complicata.

Sindacalmente è una vera sfida.

L’interlocuzione con le aziende soprattutto a inizio della pandemia è stata frequente. In quel frangente abbiamo lavorato insieme per individuare le soluzioni migliori in un contesto emergenziale. Dove si erano costruite delle relazioni sindacali evolute e partecipate si è stati maggiormente in grado di contrastare l’emergenza.

Non dobbiamo disperdere questa interlocuzione che abbiamo costruito pur sapendo che non è e non sarà sempre facile. Anzi già vediamo le aziende intestarsi ogni miglioramento e prendere le distanze. Ma è fondamentale continuare a confrontarsi su temi che hanno un impatto così forte sulla nostra vita anche come lavoratori e cittadini.

Non possiamo negare la difficoltà di entrare in contatto con i colleghi, di organizzare momenti collettivi come le assemblee ma, nonostante questo – conclude Acquaviti – molti iscritti spesso ci hanno detto “meno male che ci siete voi”.

Questo ci fa sentire vicini nonostante la lontananza e l’isolamento e ci dà la conferma di essere sulla strada giusta ma dobbiamo trovare modi nuovi per incontrare le persone e per contattare i colleghi soprattutto quelli che ancora non ci conoscono”.

All.:  “… a proposito di smart working”