13 giugno. La vita ai tempi del Covid-19

Quando pensiamo alla normalità immaginiamo qualcosa di statico, qualcosa che è e non diviene.

Eppure la normalità del secolo scorso, quando era normale che le donne non votassero e non lavorassero, non è certo la normalità di oggi.

La normalità, come la vita, è un continuo fluire, cambiare, scorrere.

La normalità, come la vita, somiglia più al panta rei di Eraclito che all’Essere immutabile e ineluttabile che è e non può non essere di Parmenide.

È pur vero che la normalità, così come la vita, il più delle volte si muove in modo lento, graduale, talvolta addirittura impercettibile. Altre volte i cambiamenti avvengono in modo traumatico, repentino, rivoluzionario.

E così quell’acqua che fluisce e che ci trova sempre diversi come nell’immagine eraclitea, talvolta si trasforma in uno tsunami che ci travolge, portandoci a fondo e togliendoci il respiro. È quello che ci è accaduto con la pandemia da coronavirus.

La normalità della vita che cambia, all’improvviso, diventa quasi anormale o, meglio, normale in modo nuovo, normale in un modo a cui non siamo ancora abituati.

Migliore o peggiore, ancora impossibile da dirsi.

Spesso i tempi andati che ricordiamo con romantica nostalgia non erano certo fatti di una normalità migliore di quella di oggi, spesso erano solo migliori nella misura in cui noi eravamo più giovani.

Quella che ci ha sconvolti e ci sconvolge ancora oggi è una tragedia immane di cui non abbiamo smesso di contare le vittime e che manifesterà ancora terribili conseguenze. Il sindaco di Milano, Beppe Sala, sostiene che ci vorranno due o tre anni alla nostra città per ritornare alla condizione ante covid e che il tasso di disoccupazione potrebbe salire in modo vertiginoso, addirittura raddoppiare. Grande preoccupazione su questo tema è stata espressa anche dalla CISL milanese.

Parlare di miglioramenti in questo momento può apparire quasi offensivo. In questa fase di passaggio ci sentiamo smarriti eppure non ci manca la voglia di riemergere.

Ogni cambiamento, anche il più traumatico, può portare con sé l’occasione di una correzione in meglio. Ciò che si trasforma può essere modificato.

La fase eccezionale che stiamo vivendo ha richiesto interventi eccezionali su cui siamo ancora concentrati ma dobbiamo costringerci già ora a immaginare gli scenari della futura normalità.

La normalità dell’era covid è fatta di distanze e pochi contatti, di scarsa mobilità, di consegne a domicilio, di poca gente a Milano (anche adesso a fine lockdown), di uso spinto del digitale, di poche relazioni, di scuole chiuse che sono rimaste chiuse e non si sa se e come riapriranno, di videoconferenze, di spazio che riguadagna dominio su un tempo che invece è stato ritrovato, di crisi del modello di sharing.

Fino a pochi mesi fa la condivisione sembrava essere il futuro dell’economia: abbiamo condiviso beni come case e mezzi di trasporto rendendo gli spostamenti più accessibili ed ecologici. Abbiamo condiviso postazioni e strumenti di lavoro. “Share” è stato sinonimo di flessibilità ma era soprattutto la possibilità di un cambio di mentalità: dalla cultura del possesso a quella della condivisione. Fra il pubblico (di tutti) e il privato (solo mio) era emersa una nuova forma mista che la sharing economy sembrava favorire: mio nel momento in cui mi serve ma che lascio a te quando può esserti utile. Questo ha costretto gli utenti a cercare soluzioni condivise, a incrociare i bisogni. Non solo riduzione dei consumi e di macchine in circolazione ma anche un nuovo modo di ripensarsi collettivamente.

Nel nostro fare sindacato tentiamo continuamente di contrastare una cultura individualista con una comunitaria. L’idea della condivisione, anche se non nel senso della sharing economy, non è nuova al sindacato. Anzi. Gli accordi che abbiamo sottoscritto e gli strumenti di welfare che abbiamo introdotto nel tempo sono andati proprio nella direzione di unirci, sviluppare quel senso di collettività che si basa più sul sostegno reciproco e sul non lasciare indietro nessuno  che sulla mera risposta al fabbisogno del singolo.

In questa fase in cui, lo diciamo continuamente, siamo tutti sulla stessa barca e possiamo salvarci solo insieme, però, la netta sensazione è che qualcuno stia tentando di accaparrarsi le scialuppe come nel Titanic mentre affondava. Noi vogliamo remare in un’altra direzione.

È quello che stiamo vedendo accadere anche con lo smartworking (che, ricordiamolo, smartworking in questa fase non è). Il lavoro da remoto sta diventando tema dominate non solo delle discussioni aziendali e sindacali ma anche dell’informazione mainstream. Nato per rispondere ad esigenze di conciliazione e di riduzione della mobilità sta diventando l’ennesima occasione per molte aziende di ridurre i costi e tentare forzature organizzative che sono l’esatto contrario di ciò che è flessibile, smart, agile. Qual è il vero obiettivo del lavoro da remoto? Quale quello delle aziende e quale quello dei lavoratori? A nostro avviso dovrebbe innanzitutto migliorare la qualità della vita di lavoratori e delle loro famiglie ma siamo davvero certi che sia sostenuto da interventi organizzativi che favoriscano migliori condizioni o, al contrario, quello si sta offrendo uno scambio fra conciliazione e benessere organizzativo?

Da tutte queste domande è nata da parte della Segreteria della FIRST CISL di Milano Metropoli l’esigenza di un’indagine che ha già visto un’altissima partecipazione da parte dei nostri delegati a conferma di una forte sensibilità sul tema. Chi non ha partecipato, è invitato a farlo entro il 15 giugno.

Intanto in città ha riaperto la pinacoteca di Brera che si può visitare gratuitamente per tutta l’estate, previo appuntamento https://pinacotecabrera.org/news-pinacoteca/la-pinacoteca-di-brera-riapre-martedi-9-giugno/

Riaprono anche le biblioteche comunali

https://www.comune.milano.it/-/la-fase-due-delle-biblioteche-aprono-altre-5-rionali-oltre-3000-prenotazioni-in-soli-3-giorni-milano-da-leggere-supera-i-100mila-download

La Comunicazione First Cisl di Milano Metropoli