5 giugno. La vita ai tempi del Covid-19

Il 20 febbraio si presentò al pronto soccorso di Codogno in provincia di Lodi un giovane uomo in salute, uno sportivo che in quel momento evidenziava serie difficoltà respiratorie. Non era la prima volta che si recava in quel pronto soccorso per via di quei sintomi. Sottoposto la prima volta ad una radiografia, era risultato affetto da una polmonite per la quale non si era reso necessario il ricovero ma era stata ritenuta sufficiente una cura antibiotica. Tuttavia, quella polmonite risultava resistente alla cura ed era rapidamente degenerata tanto da costringere il malato a ripresentarsi in pronto soccorso ed essere quindi condotto in terapia intensiva.

La dottoressa di turno quel giorno ebbe un’intuizione: e se la causa della malattia fosse quel virus che tanti contagi e morti sta causando in Cina? Nulla l’avrebbe lasciato immaginare. Nessun contatto con la Cina, nessun contatto con un malato…ma forse quel collega, risultato poi negativo, che a gennaio era tornato proprio dalla Cina.

La dottoressa si prese la responsabilità di fare qualcosa che il protocollo non prevedeva: sottoporre il paziente al tampone per verificare la presenza del SARS-CoV-2 nel suo organismo.

Il tampone risulterà positivo.

È iniziata così la storia del paziente uno, Mattia (il paziente zero non si conoscerà mai. Gli studi rilevano che il virus potrebbe essere arrivato in Italia, passando dalla Germania, già a metà gennaio), e dell’eroe uno, quella dottoressa che ha avuto l’intuizione che ha modificato il corso degli eventi.

La dottoressa, con molti altri eroi di questa vicenda distintisi nel servizio alla comunità durante l’emergenza del coronavirus, è stata insignita nei giorni scorsi dell’onorificenza di Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente Mattarella (https://www.quirinale.it/elementi/49417).

A partire da quel giorno si iniziò a cercare la presenza del virus. Alla fine del giorno 21 i casi erano 14. Il 28, dopo una sola settimana, i casi rilevati erano già quasi 900 e si erano registrate le prime 50 vittime accertate. Intanto l’area di Codogno e Lodi è stata definita zona rossa e chiusa.

Ma i casi iniziavano a crescere rapidamente in tutta la Lombardia, soprattutto nella bergamasca.

È questo il modo in cui è partita quell’onda enorme che ci ha travolti tutti conducendoci in una realtà dolorosa, impensabile, inimmaginabile, assurda, fino a pochi giorni prima facendoci vivere un dramma collettivo e i tre mesi più incredibili delle nostre vite.

Abbiamo avuto paura. Ci siamo scoperti improvvisamente fragili, impotenti e disarmati. Siamo stati temporaneamente privati della nostra libertà in nome di un interesse superiore: la sicurezza e la salute di ciascuno di noi e dei nostri cari. Ci è stato chiesto un impegno enorme e l’abbiamo mantenuto anche se faticosamente e non senza ripercussioni.

Quello che è accaduto dopo lo sappiamo tutti fin troppo bene anche se ci servirà ancora del tempo per elaborarlo.

Sono trascorsi 2 mesi di lockdown dell’intera nazione. In Italia abbiamo avuto più di 30 mila morti accertati ad oggi (ma potrebbero essere molti di più). Abbiamo visto le immagini dei carri militari portare via i feretri da Bergamo, medici e infermieri piegati dalla stanchezza e dal dolore. Abbiamo fatto tamponi, ascoltato virologi ed epidemiologi, attivato lo smartworking, indossato le mascherine e lavato le mani con gel disinfettanti. E una quantità enorme di documenti: decreti, protocolli, accordi, comunicati, analisi, iniziative.

Il pronto soccorso di Codogno, dopo quel caso, aveva chiuso restando chiuso per tutti questi mesi. Ieri quel pronto soccorso è stato riaperto.

Il 20 febbraio, il giorno che ha cambiato il corso della nostra storia, sembra già un giorno lontanissimo. Siamo entrati tutti in una nuova normalità che non tornerà a breve, e forse mai, quella di prima.

Quest’esperienza ci ha modificati tutti. Ha modificato i nostri rapporti, la nostra percezione della realtà, il nostro modo di muoverci, di lavorare, di consumare. Ha modificato la nostra stessa psiche. E probabilmente ci costringerà a rivedere i nostri modelli produttivi, i nostri tempi di vita e lavoro.

Qui a Milano eravamo in viaggio su una Ferrari a cui è stato tirato il freno a mano mentre andava a 300 km/h. La botta è stata violenta.

In questi mesi ci siamo stretti più vicini per darci forza e, benché il peggio almeno da un punto di vista sanitario sembra essere passato, dovremo darcene ancora perché c’è da ricostruire dalle macerie.

Siamo stati feriti ma, come dice Leonard Cohen in “Anthem”, “There is a crack, a crack in everything. That’s how the light gets in” (C’è una crepa, una crepa in ogni cosa. È così che la luce entra.).

Questa stessa rubrica è nata per volere della Segreteria della FIRST CISL di Milano Metropoli, per portare un po’ di luce attraverso la crepa, per raccontare e condividere questi giorni, per sentirci vicini anche nella lontananza forzata. Il primo appuntamento è stato ormai quasi tre mesi fa, il giorno 11 marzo https://www.firstcisl.it/milanometropoli/2020/03/16/11-marzo-la-vita-ai-tempi-del-covid-19/, e poi ce n’è stato uno il giorno successivo e quello dopo ancora accompagnandoci ogni giorno per quasi tre mesi.

Speriamo di essere riusciti con questo appuntamento quotidiano a farvi sentire la nostra presenza e soprattutto il nostro affetto che non sono mai venuti meno.

Ora che passiamo ad una diversa normalità, anche questa rubrica si trasformerà e diventerà un appuntamento settimanale.

La Segreteria FIRST CISL di Milano Metropoli e tutta la struttura continueranno, comunque, ad esserci ogni giorno come sempre ci sono stati e ci saranno vicino ad ogni sindacalista e ad ogni iscritto.

La Comunicazione FIRST CISL di Milano Metropoli