Leggere o non leggere la corrispondenza del proprio dipendente: questo è il dilemma

Una recente sentenza della Camera Grande della Corte Europea dei Diritti Umani (cd. CEDU) ha stimolato, se mai ce ne fosse stato ulteriore bisogno, l’animato dibattito sui limiti del Datore di lavoro alla lettura della corrispondenza del Dipendente.

In estrema sintesi, in quanto occorrerebbero molte pagine per sviscerare tutti gli aspetti della questione, si può dire quanto segue.

I temi in discussione sono, da un lato, la decisione di una Società privata di licenziare un Dipendente dopo aver controllato le sue comunicazioni elettroniche ed aver acceduto

ai relativi contenuti (nella fattispecie l’utilizzo improprio di un programma di messaggistica, cd. Messenger, verso il fratello e verso la propria moglie), dall’altro, la presunta carenza delle Corti nazionali (in questo caso rumene) nel proteggere il diritto del lavoratore al rispetto per la sua vita privata e la corrispondenza. Dopo (ben) tre decisioni favorevoli alla posizione aziendale (le due Corti rumene, Primo grado e Appello, e una Sezione della CEDU stessa), la Camera Grande (con 11 giudici favorevoli e 6 contrari) ha ribaltato tutto annullando le tre sentenze precedenti e sentenziando che le autorità rumene non avevano adeguatamente protetto il diritto del lavoratore ricorrente al rispetto della sua vita privata e della sua corrispondenza, diritto protetto dall’art. 8 della Convenzione Europea sui Diritti Umani.

A differenza delle Corti di merito, la CEDU ha condannato la Romania e non il Datore di lavoro, perché il suo compito è di verificare che gli Stati firmatari della Convenzione emanino Leggi che rispettino tali diritti. Da ultimo, si segnala che la sentenza non dà luogo ad un risarcimento (neanche nei confronti della Romania), ma “il fatto stesso di aver riscontrato una violazione è in sé stessa una sufficiente soddisfazione per il danno non patrimoniale” subito dal Dipendente.