La strage di Ustica è uno degli eventi più tragici e oscuri della storia italiana del secondo dopoguerra. Il 27 giugno 1980, il volo Itavia 870, partito da Bologna e diretto a Palermo, scomparve dai radar alle ore 20:59, precipitando nel mar Tirreno vicino all’isola di Ustica. Morirono tutte le 81 persone a bordo: 64 adulti, 13 bambini e 4 membri dell’equipaggio.
A distanza di oltre quarant’anni, la verità sulla strage di Ustica resta incompleta. L’ipotesi più accreditata parla di un missile lanciato durante un’operazione militare nei cieli italiani, ma le responsabilità dirette non sono mai state chiarite. Depistaggi, omertà e documenti scomparsi hanno ostacolato la giustizia.
Negli anni, “Ustica” è diventata una parola-simbolo del rapporto spesso opaco tra potere, verità e giustizia in Italia. Non è solo il nome di un luogo geografico, ma quello di una ferita collettiva.
Ogni anno, il 27 giugno, Bologna si raccoglie nel silenzio e nella memoria, ricordando le 81 vite spezzate nella strage di Ustica: uomini, donne, bambini, famiglie intere che non sono mai arrivate a destinazione. A loro è dedicato il “Museo per la Memoria di Ustica”, dove i resti del DC-9 ricomposti parlano al cuore più di qualunque parola. Ogni pezzo di quel relitto è il simbolo di un’assenza, di un dolore che non ha mai trovato piena giustizia.
I familiari delle vittime, in questi oltre quarant’anni, non hanno mai smesso di chiedere la verità: non solo per conoscere i responsabili, ma per restituire dignità ai loro cari e senso a una tragedia che è diventata simbolo del diritto negato. La loro battaglia non è solo privata: è la voce di un Paese che rifiuta l’oblio, che chiede trasparenza, giustizia e memoria.
La strage di Ustica non è solo una pagina oscura della nostra storia, è una ferita ancora aperta. E finché non sarà fatta piena luce, continuerà a ricordarci che senza verità non può esistere una democrazia piena, né un’autentica giustizia.