Parla con me e con Giovanna Fulgoni

Giovanna sorride, Giovanna sgrana gli occhi, Giovanna sfoggia lentiggini, Giovanna Fulgoni sa stupirsi e stupire.

Giovanna sa disegnare l’anima. Trovi Giovanna nel suo laboratorio che condivide con il suo compagno. La calma, la sapienza di chi ha l’umiltà di non vedere quanto sa addentrarsi nelle persone.

Il suo grande dolore, che tra queste righe è stato solo accennato, la porta comunque a voler cercare di rendere il mondo un posto migliore, un posto più bello. Anche per chi non è più qui fisicamente, anzi con quella forza che la porta a trasferire l’anima, soprattutto delle donne, nei suoi quadri, proprio per chi li guarda da un’altra prospettiva.

Giovanna, se la incroci nella tua vita non la dimentichi… perché è ossigeno.

Ciao Giovannabenvenuta in questo nostro piccolo spazio de L’otto mensilmente, da anni gentilmente ospitato da First Cisl Emilia Romagna.

Ti abbiamo invitata perché tu ci possa raccontare un po’ di te attraverso una brevissima intervista; tuttavia, prima di iniziare con le domande vere e proprie, vogliamo che ti presenti al pubblico attraverso un piccolo riassunto sulla tua vita: raccontaci chi sei, che studi hai fatto e di cosa di occupi oggi.
Sono una restauratrice artistica, pittrice e scultrice, pollice verde, adoro la cucina, gli animali e tutto il creato. Quando sono in crisi dormo con il cane e leggo libri di fisica astronomica per sentirmi così piccola ed insignificante da non sentire più così grave il peso dei miei problemi. Sono nata in un contesto moral-cattolico, cresciuta in una famiglia severa. Ho sbagliato clamorosamente la prima tranche dei miei studi per poi fortunatamente rimediare in età adulta. Ho avuto un matrimonio infelice dove la sensazione era di essere un bel cane al guinzaglio di un uomo che si fa poche domande. Abitavamo con tutta la sua famiglia perché non accettò mai di separarsene. La mia unica figlia è morta 8 anni fa in un incidente d’auto, aveva 23 anni e cominciava appena a capire il perché me ne fossi andata da quella comune che era la casa dove io facevo il cane di lusso. Ora convivo con un uomo che si fa domande e che cerca risposte profonde, è stato per 12 anni il mio migliore amico, ha condiviso i miei dolori estremi e i miei successi lavorativi con il massimo rispetto; è un uomo sardo, orgoglioso, testardo, generoso, che mi vuole veramente bene. C’è.

Passiamo ora allo specifico di questa monografia: l’intervista. Ti faremo alcune essenziali domande affinché attraverso le tue risposte si possa continuare a tracciare un solco positivo all’interno della società, grazie al quale poter proseguire la nostra semina di buone intenzioni e di azioni efficaci per la costruzione di una cultura fondata sul rispetto di genere e priva di qualsiasi forma di violenza, soprattutto nei confronti delle donne.

1) Quale è stata la gioia più grande che hai provato nella tua vita?
Quando al lavoro nella grotta di San Paolo in Turchia, l’ultimo giorno della campagna di scavo e restauro, ho scoperto in una parete una figurina affrescata in punta di pennello rimuovendo uno strato di calce e incrostazioni. In seguito, si è rivelato essere Elia sul carro, dipinto con la tecnica fine tipica dell’antichità classica, ma già con un tema cristiano (IV secolo d C, una rarità). Sapevo da subito che era un colpo grosso. L’emozione fu fortissima, incontenibile.

2) E invece quale è stato il dolore che più ti ha segnato profondamente l’animo?
La risposta è difficile perché non si tratta di un accadimento specifico, ma piuttosto della lenta presa di coscienza di una intangibilità. Provo: essere cresciuta in una famiglia dura e severa, dove l’amore va conquistato attraverso il compimento di gesti di dovere. Nulla è gratis, neanche l’affetto della famiglia. Ci ho messo anni a capire che il disagio più profondo derivava da questo.

3) Questo dolore come ha condizionato la tua vita? Come sei riuscita a trasformare questo dolore in voglia di farcela?
Come dicevo si è trattato di un forte condizionamento occulto, per il quale ho passato gli anni dell’adolescenza studiando faticosamente materie per me insulse e inutili e di conseguenza ho intrapreso strade lavorative del tutto inadatte, arrivando anche ad infilarmi mio malgrado nell’azienda di famiglia dove mi sono sempre sentita lo scemo del villaggio. Tutto questo disagio cominciò poi a tradursi in malattie di vario tipo. Finii alla neuro dove il Prof. Manzoni fu talmente all’altezza del mio caso che cominciò ad aprirmi gli occhi. Già l’avevo intuito ed ebbi la conferma che per stare bene con me stessa dovevo prima di tutto riconoscermi e poi smettere di travestirmi goffamente da ragioniere. Non possiamo pretendere da un criceto la voce del gallo. E viceversa. Mi sono licenziata, mi sono iscritta agli esami di accesso a due diverse scuole di restauro. Incredibile, ce l’ho fatta: diciannovesimo posto al monastero di San Gallo nella scuola di Botticino (BS), 24 posti in tutto. I compagni erano tutti di accademia e licei artistici! Finalmente io ero al mondo con le mie capacità. Ecco fatto! Era così semplice, bastava crederci un po’ in queste mani. Il brutto anatroccolo era volato via con i cigni.

4) Quanti sacrifici hai dovuto fare per essere la donna che sei ora? E per ricoprire il ruolo che oggi hai nella società (civile… lavorativa…)?
I sacrifici ci sono stati, ma meravigliosi; non più piega ai capelli, non più una bella casa, ma una lavanderia con un tendone per coprire la vetrina, un bagno di un metro quadrato dove la turca si trasformava in doccia, un fornellino da campo, un freddo da mandar via i pinguini fuori dalla porta. Gli anni più belli passati a studiare ciò che mi interessava, senza più il timore di dover affrontare una vita di sacrifici che già stavo facendo con piacere. E cominciò il successo. Ebbi il primo contratto prima di terminare il secondo anno di studi ed il primo affido diretto prima della laurea. Mi muovevo nel mio campo e sapevo cosa dire, scrivere e fare.

5) Se volessi con una parola definire la situazione della donna oggi nel mondo, quale useresti? E per quale motivo useresti questa parola?
Direi situazione in netto miglioramento per il semplice fatto che schiacciare le donne fin da bambine non è più di moda, addirittura è criminoso. Certo, manca ancora la parità che sarebbe solo normale, ma non dimentichiamo che fino a poco tempo fa si usava chiuderci nei conventi, obbligarci a sposare un cugino, impedirci di studiare, darci fuoco sui roghi dell’inquisizione, e tante altre amene attività riservate a noi.

6) In che modo la società deve cambiare, affinché si concretizzi un pensiero collettivo di progresso civile e culturale grazie al quale la donna sia finalmente libera, emancipata e mai più soggiogata al potere e alle volontà maschili?
Ormai sta per avvenire, la strada è aperta e gli elementi di base ci sono. Tuttavia, si dovrebbe lavorare un po’ più seriamente sul problema dei maltrattamenti in famiglia, perché questo settore è in evoluzione lentissima. Non è normale che dopo aver sporto più volte denuncia, il finale sia ancora all’obitorio.

7) Quale consiglio vorresti dare ad una donna che sta vivendo una situazione di difficoltà?
Dipende dai gradi di difficoltà: per prima cosa leggere attentamente il seguente volume (che a me avrebbe risparmiato anni di fatica e disagio anche grave): “Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Pinkola Estes, specialmente nel caso si abbiano figlie femmine.

Se una donna si accorge di essere manipolata, deve sparire il prima possibile dall’ambiente inquinato e per questo tema consiglio il libro “La manipolazione affettiva” di Isabelle Nazare Aga. Massima attenzione ai manipolatori, perché non vi è ancora una legislazione in merito, cioè, per quanto ne so, non è riconosciuto come crimine (come il cannibalismo). È praticamente impossibile in sede di giudizio far valere le ragioni della parte lesa (se non ci sono referti di ortopedia del Pronto Soccorso o almeno un livido da esibire, chi ti crede? E se ti crede, cosa può fare?). È il classico caso nel quale la miglior difesa è la fuga e l’orgoglio viene dopo.

Se ci sono figli in campo occorrono aiuti effettivi e competenti, mi rivolgerei agli uffici di ascolto, assistenti sociali, amicizie di comprovata lealtà. In questa casistica non sono in grado di offrire suggerimenti.

Giovanna, ti ringraziamo per il prezioso tempo che ci hai dedicato. Ti auguriamo che tutti i tuoi sogni si possano realizzare sia in ambito personale che lavorativo. Prima di lasciarci però, a chiosa finale di questo nostro incontro virtuale, vorremmo che tu facessi un appello contro la violenza sulle donne.
La mamma diceva: chi vuole vada, chi non vuole mandi. Prendiamoci la fatica e l’onore di fare noi per prime qualcosa per noi stesse: dedichiamo tempo, ma soprattutto energie, a capire chi siamo e dove vogliamo andare, non facciamoci prendere da offerte palliative che non fanno che allontanarci dal nostro obiettivo; non facciamoci ingannare da soluzioni di comodo o di cervello, perché le risposte più sane le abbiamo dentro la pancia, quelle decenti stanno nel cuore. La pancia è il grillo parlante ed è l’unica che può darci un indirizzo che alla fine ci darà la soddisfazione che meritiamo. Mettiamo tutto il nostro impegno nel percorrere questa strada e non facciamoci spaventare da qualche disagio momentaneo, il successo arriverà se ci crediamo abbastanza. È un fatto ineluttabile. Allontaniamoci subito noi per prime da personalità manipolatrici, dai distruttori, dagli invidiosi. Facciamo tutto questo con pazienza, con amore, con determinazione.

L’amore comunica amore così come il sorriso sortisce un altro sorriso.

Il resto lo dedico a quelli che amano invece il ghigno la prevaricazione, l’egoismo e l’odio: chi non riesce a fare luce è pregato di non fare ombra.