Parla con me e con Pamela Alberti Ripamonti

Nuovo anno, nuovo appuntamento con Parla con me: in questo numero presentiamo l’intervista fatta ad una donna che, consapevole del proprio ruolo di madre e di donna in carriera, si prospetta sempre nuovi obiettivi per non sentirsi mai del tutto realizzata e continua a raggiungere altrettanti traguardi sempre più stimolanti, tanto nel lavoro, quanto nella vita privata.

Per Pamela Alberti Ripamonti l’unione famigliare determina la felicità individuale da un lato, ma anche il benessere collettivo, tuttavia, la società impone alle donne, specialmente se madri, carichi di lavoro eccessivi che andrebbero invece parimenti condivisi. È così che la felicità della donna non si concretizza pienamente e, al contempo, si mantiene la patriarcalità del sistema, senza che si possa intervenire in maniera decisa verso una cesura che riequilibri gli aspetti della vita moderna.

Ciao Pamela benvenuta in questo nostro piccolo spazio de L’otto mensilmente, da anni promosso e sostenuto da First Cisl Emilia Romagna.

Ti abbiamo invitata perché tu ci possa raccontare un po’ di te attraverso una brevissima intervista; tuttavia, prima di iniziare con le domande vere e proprie, vogliamo che ti presenti al pubblico attraverso un piccolo riassunto sulla tua vita: raccontaci chi sei, che studi hai fatto e di cosa di occupi oggi.
Sono una psicologa di 38 anni; finito il mio percorso universitario ho lavorato nell’ambito della prevenzione sia sul tema della coppia coniugale, sia genitoriale, ma anche a livello educativo/scolastico, portando avanti dei progetti contro il bullismo nelle scuole o per altre istituzioni; per molti anni ho fatto anche l’insegnante ed ora sono in un periodo di evoluzione e generatività con nuovissimi progetti, tra cui aprire uno studio tutto mio. Anche se il mio sogno sarebbe farlo diventare, non un semplice studio di consulenza, ma un vero e proprio centro di psicologia, dove si possano incontrare gruppi di aiuto, fare formazione, prevenzione, terapia.

Passiamo ora allo specifico di questa monografia: l’intervista. Ti faremo alcune essenziali domande affinché attraverso le tue risposte si possa continuare a tracciare un solco positivo all’interno della società, grazie al quale poter proseguire la nostra semina di buone intenzioni e di azioni efficaci per la costruzione di una cultura fondata sul rispetto di genere e priva di qualsiasi forma di violenza, soprattutto nei confronti delle donne.

1) Quale è stata la gioia più grande che hai provato nella tua vita?
A mio marito dico spesso: “tutti i giorni con te, tranne quello del nostro matrimonio”.

Il mio concetto di felicità si sintetizza in questo: nelle cose semplici, ma che sono, senza che ce ne rendiamo conto, delle fortune inestimabili.
A volte mi capita di provare una gioia ineffabile quando sto giocando a monopoli con tutta la famiglia la domenica pomeriggio, oppure come quando sabato scorso, lasciando a casa il figlio più piccolo con la babysitter, io e mio marito siamo andati a scuola a piedi per prendere la figlia grande: lei aveva gli occhi che le brillavano e continuava a parlare, a raccontarci della scuola, delle sue amiche, dei giochi che fa con le compagne….

Oppure l’altro giorno si è rotto il riscaldamento a casa di mia madre e, volente o nolente, coronavirus sì o no, doveva per forza venire da noi. Quel guasto si è tramutato in un giorno e mezzo di felicità per tutta la famiglia! I bimbi erano felicissimi! A causa del coronavirus, infatti, ci vediamo pochissimo e a distanza, quindi avere la nonna a casa per un giorno e mezzo, pranzando e cenando tutti insieme, giocando a rubamazzetto, facendo lavoretti, raccontando vecchi aneddoti, ha procurato a tutti grande gioia ed allegria!

Ecco, questa per me è la felicità.

Invece, ripensando al giorno del matrimonio, inteso come l’emblema del grande evento simbolo di felicità dove indossi il vestito della festa e hai tutti gli occhi puntati, la tensione addosso: ecco, ciò per me è l’antitesi della felicità.

Per me la felicità non è nell’eccezione, nella festa, ma nella regola, nella quotidianità.

2) E invece quale è stato il dolore che più ti ha segnato profondamente l’animo?
Ho vissuto molte situazioni difficili, ma indubbiamente quella più devastante per me è stata essere ad un soffio dal perdere il mio bambino di appena tre mesi.

Ci ho messo tanto a rimette insieme i cocci ed ora vedo solo la fortuna enorme che ho ad averlo con me.

Ad avere due splendidi bambini sani.

Spesso le cose brutte che viviamo poi ci fanno vedere tutto secondo una nuova prospettiva.

Quando riusciamo a superare una grande sofferenza, che sia legata ad una malattia, ad un problema, ad una violenza, rinasciamo e diventiamo una versione migliore di noi stessi.

3) Questo dolore come ha condizionato la tua vita? Come sei riuscita a trasformare questo dolore in voglia di farcela?
In quel periodo ho trovato la forza per farmi aiutare da una psicoterapeuta e poi sicuramente c’è di base la mia resilienza e la mia anti-fragilità che hanno fatto il resto.

4) Quanti sacrifici hai dovuto fare per essere la donna che sei ora? E per ricoprire il ruolo che oggi hai nella società (civile… lavorativa…)?
Tanti, mi sono sempre impegnata molto in tutto ciò che faccio, se credo in una cosa ci metto tutta me stessa, ma i sacrifici sono molti!

5) Se volessi con una parola definire la situazione della donna oggi nel mondo, quale useresti? E per quale motivo useresti questa parola?
DONNA MULTITASKING.

Oggi, per la nostra società le donne devono:
– essere MADRI PERFETTE, ma il solo fatto di essere madri, anche non perfette, richiede un sacco di energie, pazienza, fermezza, coerenza, per educare responsabilmente i figli;

– accettare LE RICHIESTE da parte della società, malgrado il poco tempo a disposizione, fa sì che oggi spesso le donne siano messe in condizioni di non dare il massimo nell’educazione dei figli, ma io credo che questo stia portando a dei danni enormi sulle generazioni future, anche se qui il discorso è complesso e coinvolge sicuramente il consumismo e l’impossibilità di essere/avere tutto.

In sintesi, la società si aspetta che una donna, per avere valore, debba contemporaneamente essere sia una madre perfetta, sia una donna in carriera e sia una donna che sappia curarsi e avere un aspetto impeccabile (estetista, parrucchiere, look… per me uno stress assurdo a cui gli uomini chissà perché non sono sottoposti). Ecco, questo ideale di donna è impossibile da raggiungere e coloro le quali tentano di soddisfare questo bisogno della società, non credo riescano a sentirsi felici e appagate, perché, ricercando la perfezione in ogni ambito, rimangono senza un preciso ruolo e sempre in bilico su una fune!

Vorrei che le donne sentissero meno pressioni, che potessero essere meno, ma meglio e che avessero l’opportunità di scegliere chi essere.

6) In che modo la società deve cambiare, affinché si concretizzi un pensiero collettivo di progresso civile e culturale in relazione grazie al quale la donna sia finalmente libera, emancipata e mai più soggiogata al potere e alle volontà maschili?
Un cambiamento così radicale dovrebbe avvenire a partire dalle fondamenta dall’istruzione e dall’educazione.

Ogni istituzione deve sentire su di sé la responsabilità delle idee che porta avanti, in primis del principio di uguaglianza (non solo di genere).

La prima istituzione nella quale deve avvenire ciò è proprio la famiglia che ha il compito di crescere figli che credano realmente nella possibilità di diventare tutto ciò che vogliono.

A un livello più individualistico, poi ricordiamo l’illuminante frase di un famoso psicologo “non esiste carnefice senza vittima”: quindi in qualsiasi situazione c’è una via di uscita e noi abbiamo il potere di uscire da qualsiasi situazione tossica, smettendo di porci come vittime, perché solo così riusciremo a togliere il potere al nostro carnefice.

Solo in questo modo smetteremo realmente di essere delle vittime: chiunque di noi ha la forza di poterlo fare, anche se spesso fatichiamo a rendercene conto.

7) Quale consiglio vorresti dare ad una donna che sta vivendo una situazione di difficoltà?
Il mio consiglio è di non affrontare tutto da sole ma di FARVI AIUTARE.

Di solito queste situazioni, che siano di violenza fisica o psicologica, sono legate a dinamiche complicate che dovrebbero essere osservate anche dall’esterno per non cadere nelle trappole di chi cerca di manipolarvi.

L’aiuto e il supporto di uno specialista potrà sicuramente rendervi più forti.

Potrete trovare l’ascolto di specialisti, ma anche di tante associazioni che possono offrirvi sostegno di diverso genere; ricordate sempre che non siete sole e, quando ne uscirete, sarete persone nuove, che hanno scoperto in loro stesse risorse e forze che nemmeno sapevano di avere.

Potrete così ricominciare da voi stesse, con una marcia in più, con una dignità ritrovata, un’autostima rinforzata e una nuova libertà da assaporare.

Pamela, ti ringraziamo per il prezioso tempo che ci hai dedicato. Ti auguriamo che tutti i tuoi sogni si possano realizzare sia in ambito personale che lavorativo. Prima di lasciarci però, a chiosa finale di questo nostro incontro virtuale, vorremmo che tu facessi un appello contro la violenza sulle donne.
Quello della violenza contro le donne è un tema molto complesso che non può certo esaurirsi qui con un appello, né con una giornata “nazionale per la violenza contro le donne”, né con interventi unidirezionali; si rende, invece, necessario un cambiamento culturale e una presa in carico a 360 gradi.

Come già dicevo, la violenza contro le donne richiede certamente, in primis, che la vittima faccia un percorso su di sé che la porti a riconoscersi come degna di valore e protezione e quindi a denunciare il carnefice mettendo fine alla loro relazione disfunzionale.

Del resto, non si può però prescindere dalla riflessione sul reo. La punizione, la pena, il carcere non risolvono il problema. Come psicologa, mi preme mettere in luce l’altro lato della medaglia: la necessità di un percorso che porti gli autori di comportamenti maltrattanti a riflettere sulla propria storia individuale, su ciò che li ha portati a tali comportamenti (ad esempio la storia familiare, l’esposizione a violenze o maltrattamenti nell’infanzia).

Un punto focale su cui lavorare con queste persone è sicuramente quello della responsabilità; infatti, in genere, si difendono negando, dando la colpa alla compagna o ad altri ancora, minimizzando, e quindi diventa indispensabile lavorare con loro sulla consapevolezza e sull’assunzione di responsabilità per i loro comportamenti.

In sintesi, non credo siano sufficienti – seppur indispensabili – né i percorsi di protezione delle vittime, né quelli afflittivi per il reo; mentre risulta fondamentale per interrompere il circuito della violenza anche farsi carico di un percorso terapeutico con l’autore di violenza.

In generale, tutto ciò sarà potenziato da una cultura in cui la parità di genere venga tutelata e promossa su vari fronti.

Solo così possiamo immaginare un cambiamento significativo e duraturo.