“Non è un paese per mamme”

“Non è un paese per mamme” , scrive la giornalista e scrittrice Paola Setti.

E’ diventato sempre più difficile conciliare la vita lavorativa con la famiglia a meno di non esser ricchi, o dotati di nonni che si occupano della loro crescita con il risultato di ritrovarsi poi con i figli già grandi e senza averli visti crescere.

Ancora oggi, anno 2020 il mondo del lavoro penalizza le madri lavoratrici.

Metà delle quali rinuncerebbe ad un aumento per ricevere migliori condizioni lavorative.

Condizioni che oggi si potrebbero ricevere potenziando degli strumenti già esistenti come i congedi e lo smart working.

Questa riflessione è maggiormente rafforzata dopo l’esperienza del Coronavirus e dovrebbe essere colta come un’occasione di stimolo alle politiche di conciliazione lavoro famiglia.

Più della metà delle lavoratrici italiane incontra ostacoli alla carriera legati alla maternità, alla nascita di un figlio. Benché questa sia una fase della vita di una donna che andrebbe invece tutelata e maggiormente valorizzata.

Ogni anno sono oltre 24 mila le italiane che lasciano il lavoro per le difficoltà di conciliarlo con la famiglia. Una scelta a volte imposta o subdolamente indotta dal datore di lavoro, nonostante le leggi a sostegno della maternità, a partire dalla Costituzione. Altre volte volontaria, ma raramente vissuta con serenità.

Quelle che il lavoro non lo perdono invece, lo mantengono pagando un prezzo altissimo in termini di tempo con i propri figli e di tempo per sé.

 La scrittrice conferma  «siamo un paese di mammoni che però non ama le mamme». Per lo meno, non le mamme che lavorano, si potrebbe aggiungere.

Da una ricerca effettuata i dati sono ancora allarmanti, solo per citarne alcuni: tra la percentuale delle donne che ha incontrato ostacoli nella vita lavorativa legati alla maternità, di queste, il 29% ha rimandato la scelta di avere figli a causa del datore di lavoro ed il 16% ha dichiarato di non aver avuto un figlio per paura di perdere il posto, 6% ha subito un licenziamento a causa di una gravidanza.

Le principali richieste delle intervistate sono quelle di poter avere migliori politiche a sostegno della famiglia da parte del proprio datore di lavoro, incluso un congedo di paternità più lungo e maggior supporto per i neo-genitori.

 Questo stato di emergenza dato dal Coronavirus potrebbe però rappresentare un’occasione per la conciliazione lavoro-famiglia.

Sono tante le donne che attualmente lavorano da casa in modalità smart working.

Ricordiamo a questo proposito che il dl Rilancio prevede il diritto allo smart working per i genitori di figli fino a 14 anni fino alla fine dell’emergenza (quindi, fino al 31 luglio).

Altri dati sulla conciliazione lavoro famiglia ai tempi del Covid 19: una donna su cinque dichiara di poter usufruire di turni e orari di lavoro flessibili e il 18% di essere in congedo retribuito. Solo il 4% afferma che il proprio datore di lavoro sta offrendo sostegno attraverso assegni familiari e/o sussidi per spese sanitarie. Sul fronte del congedo parentale, ricordiamo che anche qui c’è una novità normativa, con 30 giorni aggiuntivi (retribuiti al 50%) utilizzabili cumulativamente dai due genitori fino a quando non riapriranno le scuole.

Aver potenziato questi strumenti, sottolinea la scrittrice, «è un lato positivo di questa terribile pandemia. La quarantena ha pesato ancora di più sulle spalle delle mamme, che si sono ritrovate con un carico doppio sulle spalle, senza il supporto della scuola».

Ed è proprio da questa emergenza che possiamo intravedere il cambiamento e in sostanza metterci tutti in condizione di gestire lavoro e famiglia senza rinunciare alla carriera oppure alla genitorialità.

Fra gli strumenti su cui puntare: l’allungamento del congedo di paternità, un valido aiuto alle mamme e garantirebbe il diritto, oggi molto precario, dei papà al loro ruolo di genitori. Senza contare il cambiamento dal punto di vista culturale: ai colloqui di lavoro solo alle donne viene domandato se hanno l’intenzione di avere figli, perché si dà per scontato che saranno meno produttive nel momento in cui dovranno occuparsene, anche usufruendo del congedo obbligatorio. Se il congedo e la cura dei figli riguardassero anche i papà si ridurrebbe di molto la discriminazione di genere sui luoghi di lavoro.

EVIDENZIAMO CHE NELLA GIORNATA ODIERNA ABBIAMO INVIATO UNA MAIL ALL’AZIENDA  per avere delle risposte legate al diritto previsto  dall’art. 90  del Decreto Legge 9 maggio 2020, diritto per il dipendente di svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza di accordi individuali.   

VI TERREMO AGGIORNATI