Colombani su Huffington Post: i lavoratori partecipino al capitale e alla gestione delle aziende, per una crescita solida, duratura e inclusiva

Dare concretezza alla democrazia economica: un Fondo nazionale pubblico-privato per investire nell’economia reale e una legge sulla partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori alla gestione aziendale. Due strumenti che rispondono ai principi degli articoli 46 e 47 della Costituzione, per costruire un modello di sviluppo equo, sostenibile e inclusivo, dove il lavoro non sia più solo un fattore della produzione ma un vero collaboratore nella creazione di valore sociale. Questo è il tema dell’articolo del Segretario generale First Cisl, Riccardo Colombani, pubblicato su Huffington Post:

I lavoratori partecipino al capitale e alla gestione delle aziende, per una crescita solida, duratura e inclusiva

La proposta di creare un Fondo nazionale pubblico-privato (Finer), per favorire l’investimento – volontario e garantito del risparmio delle famiglie nell’economia reale, va nella direzione di creare uno strumento di democrazia economica, previsto dall’articolo 47 della Costituzione; così come nella stessa direzione di democrazia economica andrebbe una legge che sostenga la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori alla gestione delle aziende, che a sua volta darebbe sostanza ad un altro precetto costituzionale, oggi previsto dall’articolo 46. Questo è quanto Paolo Tomassetti, giuslavorista professore all’Università Statale di Milano, ha annotato nel corso della tavola rotonda alla quale ho partecipato in questi giorni a Bergamo e con cui si è chiusa la conferenza internazionale del progetto sostenuto dalla Commissione europea sul tema “Finanziare la transizione verde”, di cui First Cisl è stata capofila.

Non si può che essere d’accordo con Tomassetti, nel ritenere che la partecipazione delle lavoratrici e del lavoratori al capitale delle aziende debba diventare un pilastro fondamentale, posto accanto a quello della creazione del Finer, per spingere il mondo dell’impresa a creare maggior valore a vantaggio dell’intera società e non solo dei propri azionisti: mi preoccupo, in proposito, quando leggo che la valutazione di operazioni societarie straordinarie dipenda esclusivamente dalle prospettive di rendita di almeno il 15%. La partecipazione dei lavoratori alle aziende contribuirebbe a dar peso nella scelta degli investimenti ad altri parametri, oltre a quello della redditività, parametri di natura sociale, di sostenibilità ambientale e trasparenza della governance.

In discussione in Parlamento c’è una legge d’iniziativa popolare della Cisl che prevede la partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori al capitale delle loro aziende. È una legge a sostegno di un sogno, di un tratto identitario, che potrebbe finalmente consentire un’evoluzione del lavoro da fattore a collaboratore della produzione. Perché il lavoro non può essere considerato un semplice fattore della produzione. Lo pretende la stessa Costituzione: non è casuale che l’articolo 46, citato alla tavola rotonda da Tomassetti, parli di un diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione delle aziende a fini di elevazione economica e sociale. Non è un distinguo prettamente lessicale, è un distinguo concettuale profondo, che assegna al lavoro un ruolo pregnante nella gestione aziendale.

Oggi non ci sono le condizioni del 1951, che in Germania permisero di introdurre la cogestione dei lavoratori nelle aziende, e neppure si può pensare ad un modello tipo quello francese che è di partecipazione quasi meramente finanziaria. Dobbiamo trovare una terza via che ci consenta di raggiungere gli obiettivi di quella norma programmatica mai attuata della Costituzione. La proposta di legge della Cisl mette sul piatto la soluzione migliore, prevedendo quattro diverse forme di partecipazione, gestionale, finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori alla gestione delle aziende, forme che possono venire impiegate anche in modo combinato.

Non dobbiamo avere paura di ibridare il capitale con il lavoro. Una partecipazione al capitale di rischio, con una rappresentanza collettiva del lavoro, attraverso meccanismi come il voting trust o altri analoghi, consentirebbe di far venire meno l’alibi paternalistico di un capitalismo che mira a restringere i confini della partecipazione. È fondamentale una rappresentanza collettiva a monte del soggetto lavoro. Che così potrà finalmente contribuire a modificare in modo virtuoso la funzione sociale delle aziende, affinché le imprese producano esternalità positive di natura sociale, per una crescita forte, duratura e inclusiva.

Qui l’articolo su Huffington Post