Sulla stampa l’idea di smart working di First Cisl, è tema centrale di contrattazione, no a derive sul digitale

Lo Smart working rimane tema di stretta attualità che coinvolge migliaia di lavoratori. Sulla nuova modalità della prestazione professionale è intervenuto il segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani per il quale proprio «Lo smart working deve ritornare al centro della contrattazione»

Giornali e agenzie di stampa hanno rilanciato le considerazioni del leader dei bancari della Cisl che hanno alimentato la tavola rotonda “Dal lavoro emergenziale allo smart working”, organizzata da First Cisl Roma e Rieti il cui direttivo ha eletto Claudio Stroppa nuovo segretario.

La rassegna dei titoli inizia con il lancio Adnkronos: “Su smart working contrattazione al centro, su digitale no derive”. Stessa impostazione per Agi “ Smart working, contrattazione al centro no derive”. Anche per Il Tempo “Smart working torni nella contrattazione”.

«La legge 81 – dice Colombani al quotidiano romano – ha tagliato fuori il sindacato lasciando i lavoratori soli davanti alle aziende: un errore che, al termine della fase emergenziale, andrà corretto».

Il ragionamento sulla problematica prosegue su Adnkronos: «Solo le parti sociali hanno la capacità di costruire le condizioni affinché questa modalità del lavoro subordinato valorizzi la creatività delle persone e non sia invece un semplice espediente per tagliare i costi. Nel settore bancario, grazie al rinnovo del contratto nazionale firmato a fine 2019 – ha ricordato ancora Colombani – abbiamo introdotto per primi una disciplina collettiva sullo smart working e regolato il diritto alla disconnessione. Il nostro obiettivo è garantire che la tecnologia sia realmente al servizio del lavoro, per migliorarne le condizioni, e della clientela, per accrescere l’efficienza dei servizi. Per questo è importante accelerare sulla Cabina di regia sul digitale».

«Dalla pandemia – riporta Agi – usciremo con un modello economico e sociale profondamente mutato. Le banche centrali si occupano di politiche climatiche e i criteri Esg sono considerati fondamentali per le strategie di business. Solo l’organizzazione del lavoro resta legata ai vecchi schemi. L’impressione è che, senza correttivi, si possa affermare un nuovo taylorismo, un taylorismo digitale che vincola rigidamente il lavoratore alle direttive provenienti dal vertice, mortificando competenze e capacità di iniziativa. Dietro l’apparenza si ripropone quindi la scomposizione delle fasi produttive che rappresenta il principio di fondo del taylorismo. Questa modalità di organizzazione del lavoro è sempre più utilizzata dalle banche e si esprime attraverso la portafogliazione della clientela e la standardizzazione della consulenza esercitata su base non indipendente. Il digitale diventa in questo modo uno strumento che rafforza i controlli e spinge verso un’ulteriore burocratizzazione. Si riproduce in altri termini il meccanismo della catena di montaggio tipico dell’industrialismo novecentesco. Con il risultato di rendere ancora più difficili le condizioni di chi lavora in banca: aumentano le pressioni commerciali, legate ad obiettivi di vendita sempre più elevati, e aumenta anche il rischio di incorrere in contestazioni disciplinari».

Ulteriore rischio paventato dal segretario generale di First Cisl, Riccardo Colombani, «è che si inasprisca la stretta del credito già in atto verso le imprese minori, che scontano la progressiva ritirata delle banche dai territori e che, in ogni caso, trovano di fronte a sé personale dotato di un insufficiente margine di autonomia decisionale e assoggettato a procedure rigidissime. Per questo dobbiamo stare in guardia contro una deriva efficientistica della trasformazione digitale delle banche finalizzata al taglio dei costi».