PopBari, piano industriale miope complica confronto tra commissari e sindacati

Non c’è pace per la Banca Popolare di Bari. Il piano industriale non piace ai sindacati e i giornali a tiratura regionale ne rilanciano la presa di posizione. La Gazzetta del Mezzogiorno titola “Sindacati della Banca Popolare di Bari: solo tagli ora basta dialogo, dai commissari nessuna risposta”. Più esplicito Il Quotidiano del Sud: “Piano scellerato più che industriale”.  Il Quotidiano di Bari si sofferma sui numeri della riorganizzazione titolando “Piano industriale in cinque anni, tagli per 109 milioni di euro”. Guardano alle ricadute della revisione predisposta dai commissari straordinari l’edizione abruzzese de Il Messaggero e Le Cronache Lucane che rispettivamente titolano “Popolare di Bari, dalle ceneri può nascere una nuova Tercas” e “Sedi lucane, nessun numero per non turbare i mercati ma la BpB non è quotata in borsa”.

“Prevede una riduzione dei costi per 109 milioni di euro, in cinque anni, il piano industriale presentato ai sindacati dalla Banca popolare di Bari con tagli su sedi, contratti, fornitori e soprattutto personale. Nel documento «linee guida Piano industriale 2020-2024»”. Questo si legge su vari quotidiani che riportano i dettagli del piano industriale di Banca Popolare di Bari. Le cifre della riorganizzazione ipotizzano “un risparmio di 39 milioni di euro (dagli attuali 122 a 83), tagliando spese per consulenze, dotazioni aziendali, affitti delle filiali oggetto di chiusura (94 su 291) e alienazione di immobili di proprietà non strategici”. Efficientamento è un termine ricorrente della riorganizzazione: “efficientamento delle spese per il personale con riduzione del costo del lavoro, attraverso prepensionamenti, quota 100, esodi incentivati, coerenti con la razionalizzazione della rete attraverso la chiusura o il ridisegno delle filiali meno redditizie e lo snellimento delle strutture centrali anche attraverso l’esternalizzazione di attività”.

I giornali fanno il conto degli esuberi: quelli “ipotizzati sono 900 (da 2642 a 1742) e consentirebbero un risparmio di circa 70 milioni di euro, il 40% del costo attuale, passando da 181 a 112 milioni annui”. Freddi numeri che gelano il confronto con le organizzazioni sindacali: «Abbiamo comunicato ai commissari che non ci sono i presupposti per continuare finché non ci saranno risposte chiare e precise (…) su di un piano credibile dei ricavi, sui dati economici di fine anno e sulle conseguenze dell’emergenza Covid”. Fondamentale anche «l’elenco delle filiali in chiusura e la logica che ha portato alla loro scelta». Lo hanno affermato  le segreterie nazionali di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca Uil, e Unisin, precisando che «non siamo disponibili a firmare accordi al buio».

I sindacati rimarcano come il piano industriale dia l’idea di  «una visione miope più da liquidatori che da commissari aventi l’obiettivo del risanamento dell’azienda. Un piano, se così vogliamo chiamarlo, pieno di contraddizioni e con un approccio basato esclusivamente sul risparmio dei costi, soprattutto quelli del personale».

«Ma ciò che appare di una gravità estrema è il non esserci nessuna prospettiva per il rilancio ed il riposizionamento della Banca, in particolare sul fronte dei ricavi indispensabili per la sopravvivenza della stessa». Sullo sfondo di una trattativa difficile, i sindacati sottolineano l’esigenza di «capire anche quale sarà il destino delle direzioni generali, soprattutto di quelle distaccate». Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca Uil, e Unisin ribadiscono la necessità di guardare avanti e di volere «un futuro per questa banca, un futuro per il territorio, un futuro per le famiglie che ci lavorano».