Banche, ripartiamo da Draghi

Nel suo intervento sul Financial Times Mario Draghi tratteggia quello che con ogni probabilità sarà “il mondo nuovo”. Difficile pensare infatti che le misure proposte dall’ex governatore della Bce, cui si deve il salvataggio dell’euro con il celebre “whatever it takes” del 2012, non aprano, se adottate, un’era nuova. Superata l’emergenza coronavirus, è difatti improbabile che non venga ribaltato il consensus neoliberista che ha ispirato le politiche dei governi occidentali negli ultimi quarant’anni.

Draghi rompe definitivamente il tabù che circonda la parola “debito”, ricordando a tutti noi che l’intervento dello Stato attraverso la leva di bilancio costituisce nei frangenti di crisi l’unico ancoraggio sicuro. Il ricorso ad un indebitamento praticamente illimitato è il nuovo bazooka. Un bazooka che – ma questo Draghi non può dirlo per non attirarsi l’immediata scomunica dei falchi del rigore appollaiati a Berlino e in altre capitali nordeuropee – può funzionare solo se spara insieme a quello della Bce, la cui trasformazione in prestatore di ultima istanza, già abbozzata nelle misure varate nei giorni scorsi, appare a questo punto una necessità ineludibile.

Il sistema bancario gioca in questo disegno un ruolo centrale. Qui Draghi abbandona la cautela e sostiene apertamente che le banche devono divenire “strumenti di politica pubblica” per adempiere alla loro nuova missione, che sarà quella di fornire liquidità a costo zero alle imprese “disposte a evitare i licenziamenti”, in ciò aiutate dal governo, cui spetterà garantire tutto il capitale necessario tramite garanzie statali.
È un approccio che ci è familiare, fin nel linguaggio. Non abbiamo forse sempre affermato in questi anni che le banche devono liberarsi del dogma della massimizzazione del profitto e tornare alla loro funzione sociale?

A dire il vero non bisognava attendere una pandemia per rendersi conto che la trama del vecchio ordine era logora. La grande crisi finanziaria del 2007/2008 aveva già evidenziato i rischi insiti nella finanziarizzazione estrema dell’economia. Ad essa si è aggiunta poi la crisi del debito sovrano del 2011, che per l’Italia ha significato una seconda caduta, una seconda recessione dalla quale non ci siamo mai veramente ripresi. Le banche si sono trovate zavorrate di crediti inesigibili, hanno bruciato miliardi di euro in aumenti di capitale, alcune sono fallite, seminando perdite tra i risparmiatori e panico nella società. Ma nessuno ha imparato la lezione.

Eppure proprio le crisi bancarie che si sono susseguite negli ultimi anni hanno dimostrato che il sistema non può essere considerato una costellazione di aziende in competizione tra loro perché la sua natura è piuttosto “olistica”. Nel manifesto AdessoBanca! abbiamo proposto di inserire un rappresentante del Mef nei consigli di amministrazione, in modo da garantire maggiore equilibrio tra le esigenze degli azionisti e quelle della collettività, che ha un interesse legittimo, sancito dalla Costituzione, a che il risparmio sia tutelato.

Nessuno culla il sogno di un impossibile ritorno al passato. Non noi, perlomeno. Non è necessario che le banche passino sotto la mano pubblica, che si rimetta l’orologio indietro di trent’anni, a prima della legge Amato del 1990, che ha sancito la loro trasformazione da istituti di diritto pubblico a società per azioni. Ma è necessario che cambi il paradigma che ne ha plasmato l’azione – e quella dei manager che le hanno guidate, salvo poche eccezioni – dall’inizio degli anni ’90 in avanti. E una delle armi più appuntite che abbiamo per indurre il cambiamento è la riforma della governance.

Ovviamente ciò non è sufficiente, servono anche altre misure. Così, sia per ragioni di giustizia sociale che per l’impossibilità di vincere nel breve periodo “la battaglia per i cuori e le menti”, vale a dire di modificare in profondità la cultura dominante e rimuovere i suoi sedimenti, è sul diritto penale che bisogna agire introducendo il reato di disastro bancario. Si tratta di una figura “riassuntiva”, in grado di riordinare le troppe fattispecie di matrice economico-finanziaria presenti oggi nella nostra legislazione e di rendere i Cda responsabili anche per comportamenti di natura colposa in caso di crisi bancaria. Comportamenti che – minando la “fede pubblica” in beni ritenuti fondamentali come la stabilità del sistema finanziario, la certezza dei rapporti giuridici, il risparmio, l’occupazione – determinino sanzioni proporzionate alla loro gravità, ben diverse da quelle attualmente previste (che peraltro in non pochi casi si sono dimostrate del tutto teoriche).

Da troppo tempo le banche rappresentano un problema, e non solo in Italia. Basta guardare quanti e quali scontri si sono consumati attorno al loro ruolo a livello europeo negli ultimi anni. Ora si sta aprendo una finestra di opportunità, vedremo quanto larga, per rimetterle al centro di un disegno di progresso economico e civile. E già solo per questo è giusto ringraziare Draghi.

Riccardo Colombani, segretario generale First Cisl