Colombani, il governo sbaglia, le agenzie delle banche vanno chiuse al pubblico

Anche nel nuovo provvedimento anticoronavirus tra i servizi garantiti figurano quelli bancari, assicurativi e finanziari. Negli ultimi due casi si tratta di un’evidente assurdità, cui va posto rimedio nel più breve tempo possibile. Non si vede perché, in un momento come questo, agenzie assicurative e società di servicing o credito al consumo possano essere considerati di interesse vitale per la popolazione. Peraltro, alle associazioni Sna e Anapa abbiamo già chiesto di disporre la chiusura delle agenzie.

Ma anche riguardo alle banche la confusione regna sovrana. Quel che il governo mostra di non comprendere, così come l’Abi e Federcasse, è che garantire i servizi bancari non significa automaticamente tenere le banche aperte. In realtà la legge 146 del 1990 , su cui l’esecutivo fonda le sue decisioni, restringe molto la nozione di “servizio pubblico essenziale” in riferimento agli istituti di credito, limitandola al solo pagamento di stipendi e pensioni. E ciò perché stipendi e pensioni sono necessari “al soddisfacimento delle necessità della vita attinenti a diritti della persona costituzionalmente garantiti”. Persona, diritti, Costituzione: questa è la bussola. È evidente che esiste una gerarchia di valori e che al vertice di questa gerarchia c’è la persona umana con i suoi diritti, diritti riconosciuti dalla Carta fondamentale.

Ora c’è da chiedersi: quale diritto è più importante del diritto alla vita? Perché è di questo che si tratta. Oggi in tutto il Paese le banche riaprono. E forse torneremo a vedere le code che abbiamo visto nei giorni scorsi davanti alle filiali. È giusto sensibilizzare la clientela, come abbiamo fatto anche noi, a recarsi in banca solo per compiere poche, indispensabili operazioni che non possono essere svolte né attraverso l’internet banking né via telefono. È giusto, ma non possiamo nasconderci che qui si palesa un cortocircuito comunicativo. Detto in modo molto semplice: chiunque apra la sua saracinesca sulla strada fa al pubblico un invito esplicito ad entrare. Così è avvenuto finora per le banche e così temiamo che continuerà ad accadere, nonostante tutti gli appelli alla cautela, persino nelle zone più colpite. Nel comune di Fondi, per esempio, dove sussiste un focolaio preoccupante, l’amministrazione comunale ha comunicato ai cittadini che da oggi potranno presentarsi agli sportelli. In alcune province del Nord, a quanto ci risulta, sono addirittura i prefetti a pretendere l’apertura di filiali che le banche avevano deciso di chiudere autonomamente.

È proprio questa deriva che intendiamo evitare chiedendo di chiuderle per almeno due settimane. Lo abbiamo chiesto all’Abi e Federcasse, prima, e al Presidente del Consiglio, poi. Ma non siamo stati ascoltati. Eppure continuiamo a ritenere questa proposta fondamentale per garantire le misure di sicurezza necessarie a tutelare la salute dei lavoratori e ad impedire la diffusione del contagio. Grazie alle tecnologie digitali e all’utilizzo delle carte bancomat, ormai universalmente diffuse, i servizi effettivamente indispensabili sarebbero comunque assicurati. È questo il criterio guida dell’Ordinanza dell’Emilia Romagna che dispone ulteriori misure restrittive che riguardano anche le banche, che sono tenute a garantire il funzionamento degli Atm e i servizi indifferibili a persone impossibilitate ad operare con il bancomat, attraverso aperture temporanee e straordinarie, utilizzando il personale strettamente necessario.

Di più: con le opportune modifiche delle procedure interne le banche sarebbero in grado, per la durata dell’emergenza sanitaria, di fornire sostegno al credito per le famiglie e le imprese. Si tratta indubbiamente di misure eccezionali ma è la straordinarietà della situazione a suggerirle.

Altro discorso è se, dietro le rassicurazioni e le belle parole, si pensasse di proseguire come se niente fosse, magari chiedendo ai lavoratori di rispettare obiettivi commerciali che a questo punto apparirebbero fuori dal tempo e dalla logica. Business as usual, insomma. Segnali in questo senso, purtroppo, non sono mancati, ma deve essere chiaro che noi non ci stiamo e non ci staremo.

Il diniego dell’Abi e di Federcasse è un errore, specie se pensiamo a quel che sta accadendo in Lombardia e nelle altre regioni del Nord. Il protocollo che abbiamo siglato conserva tutta la sua validità, ma rappresenta solo un primo passo, non certo l’atto conclusivo di un percorso che punta a tutelare non solo i lavoratori, ma l’intera società. Da parte sua il governo non può pensare di lasciare le banche libere di autoregolamentarsi, senza discernere tra i servizi indispensabili, che possono essere sostanzialmente garantiti a distanza, e quelli che non lo sono. L’esecutivo avrebbe già dovuto, vista la diffusione del contagio, procedere senza indugi. Deve prevalere la responsabilità: il governo deve ritornare sulle sue decisioni di ieri. Il tempo non scorre senza conseguenze, mai, e chi ha la responsabilità di guidare il Paese dovrebbe saperlo meglio di chiunque altro.

La tutela della vita e della salute pubblica deve essere in questa emergenza il primo obiettivo di tutti.