Trent’anni fa la strage di Capaci. A Palermo il presidente Mattarella ricorda il sacrificio del giudice Falcone

A trent’anni dalla strage di Capaci, Palermo non dimentica Giovanni Falcone. Nell’attentato, oltre al giudice, persero la vita la moglie Francesca Morvillo e i tre agenti della scorta Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Il Foro Italico di Palermo ha fatto da sfondo alla solenne commemorazione, organizzata dalla Fondazione Falcone. Hanno partecipato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il Presidente del Consiglio Mario Draghi, la presidente della Fondazione Falcone Maria Falcone, i ministri dell’Interno Luciana Lamorgese, della Giustizia Marta Cartabia, dell’Università e della Ricerca Maria Cristina Messa, degli Esteri Luigi Di Maio e il capo della Polizia Lamberto Giannini, oltre al procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, al procuratore di Roma Francesco Lo Voi ed al segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra.

«Sono trascorsi trent’anni da quel terribile 23 maggio – ha detto il capo dello Stato Sergio Mattarella – allorché la storia della nostra Repubblica sembrò fermarsi come annientata dal dolore e dalla paura. Il silenzio assordante dopo l’inaudito boato rappresenta in maniera efficace il disorientamento che provò il paese di fronte a quell’agguato senza precedenti, in cui persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani. Del tutto al contrario di quanto avevano immaginato gli autori del vile attentato, allo smarrimento iniziale seguì l’immediata reazione delle Istituzioni democratiche. Il dolore e lo sgomento di quei giorni divennero la drammatica occasione per reagire al violento attacco sferrato dalla mafia; a quella ferocia la nostra democrazia si oppose con la forza degli strumenti propri dello Stato di diritto».

«Nel 1992 Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – ha ricordato ancora Sergio Mattarella – furono colpiti perché, con la loro professionalità e determinazione, avevano inferto colpi durissimi alla mafia, con prospettive di ulteriori seguiti di grande efficacia, attraverso una rigorosa strategia investigativa capace di portarne allo scoperto l’organizzazione. La mafia li temeva per questo: perché avevano dimostrato che essa non era imbattibile e che lo Stato era in grado di sconfiggerla attraverso la forza del diritto. Onorare oggi la memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vuol dire rinnovare quell’impegno, riproponendone il coraggio e la determinazione. L’impegno contro la criminalità non consente pause né distrazioni».

«Altrettanto significativa – ha rimarcato il Presidente della Repubblica – fu la risposta della società civile, che non accettò di subire in silenzio quella umiliazione e incoraggiò il lavoro degli investigatori contribuendo alla stagione di rinnovamento. Neanche questo la mafia aveva preventivato. Come non aveva previsto il movimento culturale che, a partire da quei giorni, ha animato il Paese, trasformando questa dolorosa ricorrenza in un’occasione di continua crescita per promuovere nuove forme di cittadinanza attiva. Per questo vorrei ringraziare, in particolare, Maria Falcone, che – con la fondazione da lei presieduta – si adopera affinché la memoria di Giovanni Falcone e del suo sacrificio non sollecitino soltanto un ricordo ma contribuiscano ad alimentare l’impegno per l’affermazione dello Stato di diritto anzitutto nella società civile».

Per il Presidente del Consiglio Mario Draghi «grazie al coraggio, alla professionalità, alla determinazione di Falcone, l’Italia è diventato un Paese più libero e più giusto. Falcone e i suoi colleghi del pool antimafia di Palermo non hanno soltanto inferto colpi decisivi alla mafia. Il loro eroismo ha radicato i valori dell’antimafia nella società, nelle nuove generazioni, nelle istituzioni repubblicane”. “Oggi – ha aggiunto Draghi – dobbiamo continuare a far rivivere il senso più profondo dell’eredità di Falcone, nella lotta senza quartiere alla criminalità organizzata e nella ricerca della verità. Lo dobbiamo ai loro cari e ai cari di tutte le vittime dello stragismo mafioso».

Sulla commemorazione, che nel tempo ed anche quest’anno ha visto fortemente impegnata First Social Life, è intervenuto il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra che, ringraziando la Fondazione Falcone «per aver organizzato questa giornata di memoria e militanza che ci fa essere grati agli eroi che hanno dato la vita per la legalità e la democrazia: Falcone, Borsellino e tanti altri martiri della mafia» ha aggiunto: «Sono passati trent’anni ma non possiamo abbassare la guardia. Rilanciamo una grande alleanza tra istituzioni e società civile. La ferita resta sempre aperta e tanti sono gli interrogativi ed i misteri irrisolti di quella pagina tragica nella storia del Paese».

Per il leader della Cisl l’attentato «fu un colpo durissimo per il Paese, smarrimento, rabbia, paura erano i sentimenti comuni tra la gente. Ma come era già accaduto negli anni del terrorismo, fu il mondo del lavoro a scendere in campo per sollecitare una risposta unitaria ed attiva, senza distinzioni, di fronte all’attacco mafioso portato al cuore delle istituzioni democratiche. Il 27 giugno di quell’anno centomila lavoratori giunsero in Sicilia, a Palermo da ogni parte d’Italia dietro le bandiere del sindacato per chiedere giustizia, legalità, sviluppo. Ci fu una grande manifestazione unitaria la più imponente nella storia del Mezzogiorno che costituì una svolta per la nascita di un sentimento collettivo di ‘rivolta delle coscienze’ nei confronti del ricatto criminale». Sbarra ha ribadito che «la mafia si combatte affrancando le persone dalla paura e dal bisogno, con lavoro, investimenti, riforme, innovazione, con patti territoriali per la legalità e lo sviluppo, ben raccordati a una visione nazionale. Questo bisogna fare», perché «è il lavoro che contribuisce ad innalzare le difese immunitarie della legalità ed è la “buona istruzione” il modo migliore per tagliare l’erba sotto i piedi della cultura mafiosa».

 

Qui l’intervento integrale del segretario generale della Cisl Luigi Sbarra