Colombani su Avvenire, la digitalizzazione in banca non la paghino le persone

“La digitalizzazione in banca non la paghino le persone”: con questo titolo il quotidiano Avvenire pubblica una lunga intervista di Maurizio Carucci al segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani, al termine della prima fase di incontri tra sindacati e Abi per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro dei bancari.

“La digitalizzazione viene agitata come uno spauracchio, ma a mio avviso non deve spaventarci”, spiega al giornalista Riccardo Colombani, osservando che “la domanda di nuove tecnologie​ del mercato retail​ italiano è modesta a confronto di quella degli altri Paesi europei. Inoltre buona parte del risparmio è detenuta dalla popolazione anziana, che guarda con sospetto alla tecnologia e preferisce affidarsi a persone di fiducia”. Avvenire riporta come in Italia i bancari siano “oltre 273mila dipendenti distribuiti in 505 banche e 25mila sportelli. Senza contare i circa 32mila promotori”.

Di seguito il testo integrale dell’intervista al segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani:

La digitalizzazione può avere conseguenze sull’occupazione?

Dobbiamo guardare in un’altra direzione, all’impiego del digitale nei processi interni alle banche, organizzati in modo ormai arcaico. Le nuove tecnologie da questo punto di vista possono rappresentare un’opportunità. Ma c’è anche l’altra faccia della medaglia. L’utilizzo di sistemi di rating interno per valutare il rating di credito, ad esempio,​ è tra le cause principali del fenomeno degli Npl. Ciò non sarebbe successo se fosse stato lasciato un margine di discrezionalità ai lavoratori. Insomma, l’utilizzo delle nuove tecnologie non può essere indiscriminato, ma deve​ avvenire sulla base di un discernimento delle reali esigenze, senza svilire l’intelligenza e la dignità delle persone. La riduzione del perimetro occupazionale cui abbiamo assistito dipende più che altro dalla logica di breve periodo, dall’ossessione della “trimestrale” da cui sono afflitti i banchieri. È chiaro che noi non possiamo essere spettatori passivi di questa deriva. Ed è per questo che nella trattativa con l’Abi per il rinnovo del contratto nazionale abbiamo chiesto di istituire una cabina di regia che definisca le linee di indirizzo cui le banche dovranno attenersi per governare la transizione tecnologica.

Gli esuberi, però, esistono…​

Negli ultimi dieci anni il settore ha perso 60mila posti di lavoro: non si può continuare così. Nell’era dei tassi a zero o negativi l’unica strategia che le banche sembrano conoscere per ovviare ai bassi ricavi è il taglio dei costi, in primis quello del lavoro. Ma è una strategia miope, come abbiamo detto a Jean Pierre Mustier, l’ad di Unicredit che si appresta, stando a indiscrezioni non smentite dal gruppo,​ a varare il taglio di 10mila dipendenti. Se gli esuberi fossero localizzati tutti in Italia si tratterebbe del 24%: un’enormità che contrasteremo in tutti i modi. Devo dire che la sua lettera ai dipendenti mi è sembrata ambigua, al punto da aver aumentato i nostri timori anziché dissiparli. La nostra ricetta comunque è un’altra: investimenti sul capitale umano e remunerazione adeguata​ alla qualità dei servizi prestati alla clientela.​ Solo puntando sulle persone si possono risollevare i ricavi. La debancarizzazione, invece, è un pessimo affare per tutti.

Quali soluzioni per Carige e banche in difficoltà?

Seguiamo con grandissima attenzione il caso Carige. Le ultime notizie hanno in parte diradato le nubi in cui è avvolta la banca ligure. L’operazione di sistema che vede come pivot il Fitd e Ccb, la holding delle Bcc trentine, nelle vesti di partner industriale, ha avuto una genesi laboriosa, ma resta la migliore tra le alternative possibili. La risoluzione sarebbe un disastro per il sistema bancario, per le imprese e le famiglie​. La nazionalizzazione non è percorribile iper gli ostacoli che incontrerebbe in sede europea. Il piano di salvataggio che si delinea conferma inoltre che abbiamo visto giusto nel proporre la partecipazione del Foc, il Fondo per l’occupazione, al fianco di investitori di lungo periodo nel capitale di Carige.

Come vede la riforma delle Bcc?

La riforma delle Bcc risponde all’esigenza di eliminare una certa opacità di gestione, conseguenza diretta di logiche clientelari che troppo spesso ne hanno contraddetto in passato l’ispirazione solidale, emersa nei casi, purtroppo non infrequenti, di liquidazione coatta amministrativa. Un’esigenza giusta che ha però comportato la compressione della loro autonomia. In questo quadro l’approdo ad un sistema incardinato su due gruppi – e non su uno solo, com’era nel disegno iniziale – può essere considerato positivamente.​ Anche se​ il modo in cui si e prodotto non è immune dal vizio del campanilismo. Il fatto che Cassa centrale banca sia candidata a divenire l’azionista di riferimento di Carige rappresenta un banco di prova interessante. Se Ccb sarà in grado di proporsi come un investitore di lungo periodo attento alle sue responsabilità sociali, il modello cooperativo segnerà un punto importante. Ma se si comporterà come le altre banche, impoverendo il territorio con tagli al personale, muovendosi solo in un’ottica speculativa, non gli faremo sconti.