L’Avvenire intervista il segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani

La proposta di una “soluzione di sistema” per Carige lanciata da Riccardo Colombani al Consiglio generale del sindacato riunito a Roma viene rilanciata dal quotidiano “Avvenire” con un’intervista dal titolo “Il fondo dei bancari può aiutare Carige”. Pietro Saccò evidenzia come “Riccardo Colombani si è presentato con una proposta sorprendente che conferma la vocazione del sindacato: essere un’organizzazione che non pensa solo ad alzare gli stipendi, ma lavora attivamente per recuperare la funzione sociale delle banche italiane”.

Di seguito l’intervista-

Quel fondo è nato per iniziative di sostegno all’occupazione nel settore del credito. Come può intervenire in una banca?

“È un dato di fatto: il Foc, ideato nel 2012 per incentivare nuova occupazione e alimentato dai dipendenti bancari con una giornata di lavoro annua, è sottoutilizzato anche dopo avergli affidato l’ulteriore compito di finanziare la riconversione e la riqualificazione professionale. Abbiamo accumulato 165 milioni, che restano inutilizzati. Noi diciamo: usiamoli per salvaguardare l’occupazione in Carige. Sarebbe un bellissimo caso di solidarietà dei lavoratori di tutto il settore verso i colleghi, attuativo dello spirito del Foc. In più la clientela sarebbe incentivata a sviluppare i rapporti con la banca, perché anche altri dimostrano di crederci”.

Tecnicamente la ricapitalizzazione di Carige come potrebbe funzionare?

“Dopo la bocciatura negli stress test, Carige ha ottenuto un finanziamento-ponte dallo Schema volontario del Fondo interbancario di tutela dei depositi, che ha sottoscritto 320 milioni di un’obbligazione subordinata da 400 milioni che doveva essere rimborsata con l’aumento di capitale che l’assemblea degli azionisti non ha invece deliberato. La nostra proposta funziona così: il Foc potrebbe, tramite un trust, sottoscrivere gli 80 milioni mancanti, offrendosi anche di metterne a disposizione altri 80 milioni in futuro. Il tasso del bond però deve essere drasticamente ridotto, altrimenti la banca muore, e poi bisogna cambiare prospettiva, perché il rilancio commerciale è possibile solo aumentando le persone che lavorano per la banca. Carige ha una produttività pro capite in linea con le altre banche a vocazione territoriale, ma ha un numero molto più basso di addetti in filiale. Morale: la banca fa meno intermediazione e meno ricavi. È necessario invertire la tendenza: il capitale apportato dai lavoratori del settore deve avere questa finalità”.

Perché un fondo nato per incentivare la nuova occupazione dovrebbe intervenire in una banca?

“Nello strumento per l’occupazione giacciono inutilizzati 165 milioni di euro, che potrebbero contribuire al rilancio dell’istituto ligure «Vogliamo migliorare il sistema bancario a beneficio delle persone e della collettività» La soluzione più ovvia, la ricapitalizzazione di Stato, porterebbe con sé i rigidi vincoli europei, che frenano le opportunità di crescita. Dobbiamo evitarlo. Se ad esempio Carige fosse costretta a vendere i crediti deteriorati a prezzi troppo bassi, ci perderà la banca e ci perderemo tutti, perché a coprire le perdite sarebbero i soldi dei cittadini e i nuovi tagli di personale, in più le aziende debitrici dovrebbero fare i conti con fondi speculativi non interessati alla salute delle imprese e di chi ci lavora. Invece è necessario rilanciare commercialmente Carige investendo sulle sue persone”.

Sarebbe un’operazione rischiosa e servirà il via libera degli altri sindacati e dell’Abi. Si è già confrontato con i colleghi?

“Abbiamo incominciato a pensare alla proposta dopo l’incontro con i commissari di Carige dell’ 8 gennaio e ora la mettiamo a disposizione delle altre organizzazioni sindacali e dell’Abi. Il rischio non è enorme: Carige può essere rimessa in sesto e le garanzie reali coprono una quota elevatissima dei crediti. La ricapitalizzazione precauzionale ci sarà solo se non si procedesse all’aumento di capitale entro fine estate, ma gli obbligazionisti subordinati non subirebbero conseguenze nefaste: le obbligazioni non verrebbero azzerate come nel caso di risoluzione della banca, ma sarebbero convertite in azioni. Qualcuno potrebbe non vedere di buon occhio che il sindacato usi gli strumenti del capitalismo per assicurare l’autonomia e la sostenibilità della banca, di chi ci lavora, delle imprese in difficoltà e della collettività. Noi siamo certi che porterebbe beneficio per tutti”.

Mettere i soldi nelle banche. È questo ciò che deve fare oggi un sindacato?

“Non sarebbe un’operazione da fare a cuor leggero, ma renderebbe i lavoratori bancari protagonisti del proprio futuro e di quello della comunità in cui vivono. E quello su cui come First e come Cisl lavoriamo da anni: migliorare il sistema bancario a beneficio delle persone e della collettività”.

Tra i suoi primi impegni da segretario della First Cisl c’è la trattativa sul rinnovo del contratto nazionale. Quali obiettivi vi date?

“Ci sono due elementi che sarebbe importante introdurre. Il primo è l’applicazione del contratto a tutti i soggetti vigilati dalla Banca d’Italia e dalla Consob: l’omogeneità contrattuale è coerente con l’esigenza della Banca d’Italia di disciplinare i sistemi di remunerazione e della Consob di evitare che questi impediscano di agire nel miglior interesse dei clienti e farebbe emergere tutti i fenomeni di dumping dovuti ai contratti delle società non vigilate che esercitano parte delle attività bancarie. L’altro è l’adeguamento delle tutele legali per i lavoratori, perché spesso la rabbia dei risparmiatori che hanno perso denaro si rivolge immotivatamente verso gli addetti agli sportelli, anziché verso chi ha gestito male la banca. Dobbiamo responsabilizzare le banche per umanizzare il lavoro”.