Abi e dintorni, l’intervista di Giulio Romani su Zero Zero News

Si intitola “Abi & dintorni” l’intervista del web magazine Zero Zero News, diretto da Gianfranco D’Anna, al segretario generale di First Cisl, Giulio Romani, a pochi giorni dall’Assemblea dell’associazione dei banchieri italiani.

L’evoluzione della situazione economica e politica italiana e internazionale – scrive Zero Zero News -, con riferimento al ruolo della Bce e all’assetto dell’Europa, rendono particolarmente rilevante l’ Assemblea annuale dell’Associazione Bancaria Italiana, in calendario il 10 luglio. Oltre allo snodo economico per il Paese, il Presidente Antonio Patuelli, che si avvia alla riconferma, traccerà la linea che i banchieri intendono assumere in vista del rinnovo dei contratti nazionali del settore. La gestione dei rapporti con il sindacato dovrebbe essere affidata a Salvatore Poloni, condirettore generale del Banco Bpm, che dovrebbe sostituire Eliano Omar Lodesani, espressione di Intesa Sanpaolo, nella guida del Comitato affari sindacali e lavoro dell’Abi. Le settimane scorse c’è stata fibrillazione a seguito della proposta che l’Abi, tramite Lodesani, ha rivolto ai cinque sindacati del settore, Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca eUnisin, di prorogare fino a dodici mesi la naturale scadenza dei contratti. Dopo che è stata invece concordata una proroga di sei mesi, dal 30 giugno al 31 dicembre, della scadenza dei termini entro i quali effettuare le disdette dei contratti, in modo da arrivare a presentare una piattaforma negoziale entro autunno, sembra essere tornata la calma. O quasi”.

Riportiamo di seguito il testo integrale dell’intervista a Giulio Romani.

“Sia chiaro che non c’è stata alcuna proroga dei contratti nazionali di lavoro – puntualizza il Segretario Generale di First Cisl, Giulio Romani – abbiamo solo agito sui termini per effettuare le eventuali disdette, procrastinandoli di sei mesi. Questa soluzione consente di allungare il tempo disponibile per avviare il confronto negoziale senza scaricare sullo stesso le tensioni che inevitabilmente si sarebbero generate con una disdetta unilaterale, come avvenne nel 2013, e allo stesso tempo evita di caricare di implicazioni politiche una proroga che sarebbe stata comunque solo tecnica. È la soluzione che ho proposto con un comunicato stampa quando mi sono reso conto che si stavano creando polemiche sull’offerta di proroga inviataci dall’Abi di Lodesani, inventando ad usum populi scenari in cui essa avrebbe pregiudicato gli aumenti contrattuali”.

Prospettive per i rinnovi contrattuali? La relativa quiete di questi giorni significa che il cambio di conduzione del Presidente del Comitato per gli affari sindacali e del lavoro (Casl) dell’Abi, non comporterà cambiamenti di relazioni nel settore?

L’ultimo atto del Comitato affari sindacali e lavoro dell’Abi, condotto da Lodesani, è stato quello di invitare le organizzazioni sindacali ad aprire una stagione di confronto sui cambiamenti del sistema bancario e del lavoro, offrendo un periodo di tregua per rendere possibile una discussione serena, alla quale agganciare le vertenze contrattuali. La reazione di alcuni addetti ai lavori, poi moderata dalla soluzione trovata, è stata, invece, quella di aizzare l’antagonismo. Contemporaneamente in Abi si va verso la sostituzione di chi aveva insistito per avviare un percorso di reciproca responsabilità. Non so se questo voglia dire che si tornerà a scannarsi sul costo del lavoro senza mettere in campo un minimo di progettualità e lasciando ruolo a falchi e populisti, oppure che si perseguirà la strada aperta dalla vecchia conduzione. Il mio non è un dubbio nei confronti di Poloni, candidato a sostituire Lodesani: è solo preoccupazione per le spinte conservatrici da sempre abbondantemente presenti sia nell’esecutivo dei banchieri, sia all’interno delle organizzazioni sindacali, che già si stanno facendo sentire. Confido tuttavia che già dalla relazione del Presidente Patuelli si potrà cogliere l’indirizzo dell’Abi per i prossimi anni.

Ciò che dice è significativo, ma che cosa ci sarebbe di strano se il sindacato si preoccupasse prima di tutto degli aumenti salariali nel rinnovo contrattuale e se, al contrario, le banche volessero invece risparmiare?

Anche qui è bene essere chiari. Io credo che la questione salariale debba essere messa al primo posto, quando si parla di lavoro, in tutto il Paese. L’economia italiana sta risentendo in modo non più sopportabile della contrazione progressiva dei salari e del poco lavoro. Non è più solo una questione di giustizia sociale; è da tempo una questione di sostenibilità economica. Ma pensare di risolvere la questione facendo ognuno per sé e restringendo l’orizzonte alla propria categoria, sarebbe demenziale, e non solo alla luce della nostra visione confederale del lavoro. E altrettanto pericoloso è legare la richiesta di aumenti agli utili delle banche: i banchieri nel loro esecutivo hanno già risposto a questa ipotesi proponendo la variabilità delle tabelle salariali nazionali: più alte per chi fa utili, più basse per chi non li fa. Una simile impostazione sarebbe la fine del contratto nazionale e sarebbe il colmo se venisse da un “suggerimento” sindacale.

Quindi?

Quindi, se si parla di questione salariale, si parla di lavoro, non solo di bancari! Non si può accettare che nel mondo del lavoro possano esistere ancora lavoratori, come irider, sfruttati e violati in ogni minimo diritto. Parafrasando una legge dell’economia riferita alla moneta, il lavoro cattivo scaccia quello buono. E allora, se noi vogliamo continuare a tutelare i bancari, dobbiamo innanzitutto affrontare il tema di come, anche attraverso l’attività bancaria, si possa contribuire a creare sviluppo economico equilibrato e socialmente sostenibile. L’indifferenza nei confronti di ciò che avviene intorno a noi ci rende prigionieri di ciò che intorno a noi si determina per altre vie. Per questo sono convinto che la visione confederale sia necessaria per operare le migliori scelte anche nei singoli comparti, a partire dal nostro. E per questo è necessario che le rivendicazioni salariali siano accompagnate da una riprogettazione dell’attività bancaria e degli effetti che essa, secondo i modelli che si scelgono, può produrre sull’economia e sulla società. È ovvio che il mercato del lavoro, in assenza di adeguato indirizzo politico, si comporta esattamente come tutti i mercati. Se l’offerta di un prodotto è inferiore alla sua domanda il prezzo scende. Oggi c’è tanta offerta di lavoratori e poca domanda. E così ci si può permettere, dove non c’è una regola che lo impedisca, di pagare il lavoro sempre meno. Creare nuovi posti di lavoro in un perimetro di qualità, o almeno presidiare il numero di quelli esistenti, è, dunque, per il sindacato bancario, il primo strumento per mantenere alta la tutela di tutti i lavoratori. Non basta più tutelare i nostri  accompagnandoli precocemente alla pensione. Se si vuole difendere il lavoro e con esso i salari e i diritti bisogna battersi per creare buona occupazione. Il nostro congresso nel 2017 si intitolò Ricostruiamo il lavoro: penso che la prima sfida   che il Sindacato Confederale e, insieme, quello di ogni categoria, dovranno affrontare nei prossimi anni sia proprio questa.

Ma a  che titolo vorreste chiedere aumenti, visto che l’inflazione continua ad essere bassa e i bancari hanno, tutto sommato, retribuzioni già più che dignitose?

Le motivazioni che potrebbero sostenere gli aumenti per la categoria sono almeno tre, tutte sostanziali. In primo luogo vi è certamente la necessità di restituire ai bancari ciò che hanno messo, con sacrifici enormi, sia in termini fatica che di solidarietà, nel risanamento complessivo del sistema bancario. Sacrifici senza i quali le banche, nel loro complesso e a prescindere dal loro stato di salute, non avrebbero potuto superare il tunnel della crisi. E poi va preso seriamente in considerazione il fatto che questi anni hanno dimostrato come leggi e contratti abbiano spostato il peso delle responsabilità dell’attività bancaria anche sulle figure un tempo solo esecutive e la responsabilità deve trovare un riconoscimento anche di natura economica. Anzi, dico di più: l’aumento delle responsabilità deve essere valutato come un fattore di produttività del sistema. Infine, vanno rimediate le storture che le banche hanno generato con l’utilizzo sempre più pesante della leva della discrezionalità per crearsi ad arte dei margini nella gestione del costo del lavoro: di fatto, hanno agito come se il loro problema non fosse tanto il costo del lavoro in sé, bensì il costo del salario contrattato. Ecco, io credo che una delle lezioni che ci dovrebbe aver insegnato la fase appena trascorsa è che i contratti devono ripristinare un rapporto più corretto tra salario contrattato e salario discrezionale, perché quando le cose vanno male è sul primo che si chiedono i sacrifici.

Come mettere sotto controllo le dinamiche discrezionali?

Intanto le risorse che le banche possono mettere a disposizione delle retribuzioni non sono infinite e, quindi, è automatico che far costare di più i contratti eroda le disponibilità per erogare premi e ad personam. Ma poi occorre rivedere complessivamente il sistema delle professionalità e degli inquadramenti per ricalibrare l’assegnazione del personale ai livelli retributivi. E infine bisogna istituire meccanismi di condivisione organizzativa che riguardino tanto le politiche commerciali, quanto quelle di remunerazione. La bilateralità, seriamente realizzata, in questo senso potrebbe aiutare a fare scelte molto più oculate ed efficienti di quelle fatte fino ad ora unilateralmente dalle aziende. Con Lodesani abbiamo sottoscritto un accordo storico in tal senso l’8 febbraio del 2017. Accordo la cui concreta applicazione è però osteggiata da molte banche. Uno dei banchi di prova del nuovo Comitato affari sindacali e del lavoro dell’Abi, per me, sarà proprio questo: si vorrà insistere per creare davvero relazioni fondate sulla collaborazione tra lavoratori e banche, come suggerisce l’articolo 46 della Costituzione, oppure si vorrà tornare indietro e rispolverare modelli antagonisti, veri o di maniera, con cui ci si minaccia  di cambiare tutto per non cambiare nulla?

Tutto questo che richiesta potrebbe produrre?

Cifre non ne faccio, ma quando ci troveremo al tavolo con le altre organizzazioni sindacali ognuna avrà certamente una traduzione numerica delle argomentazioni che saranno utilizzate a sostegno della vertenza.

Il progetto di unità confederale va avanti?

Certo, ed è un bene per tutti, anche per i sindacati autonomi con i quali, a meno che non siano loro a non volerlo, l’unità del tavolo sarà ancora più forte di prima. Gli amici dicono che io sia un buon cuoco: di sicuro ho imparato che in una buona zuppa ogni ingrediente ha bisogno della sua cottura, altrimenti non si distinguono più i sapori. L’unità del tavolo beneficerà della possibilità di avere ben distinte, seppur mescolate, le idee confederali e quelle autonome. Nelle zuppe in cui tutto viene cotto senza distinzione, finisce per prevalere il sapore dell’ingrediente più abbondante o dal sentore più acuto, che spesso è anche quello meno pregiato, e si perdono sapori che invece renderebbero la pietanza davvero gustosa. E a questo proposito è bene che non si abbondi neppure con il peperoncino: un po’ aggiunge gusto, troppo, oltre a coprire i sapori, lascia bruciori nella digestione…

Quali altre priorità vede nel prossimo contratto nazionale, oltre agli aumenti?

Una su tutte: la formazione. Ma si deve uscire dall’idea che la formazione sia un accessorio delle attività principali da svolgere. Se vogliamo essere pronti ai nuovi lavori ed alle nuove organizzazioni aziendali, dobbiamo mettere i lavoratori nella condizione di poter cambiare le proprie competenze e rivelare nuove attitudini. Altrimenti l’innovazione la farà qualcun altro.

Infatti molta innovazione la si sta facendo fuori dalle banche, sottraendo loro lavoro…

È ovvio che sia così, ma c’è qualcosa da dire: le banche nel loro complesso sono in ritardo non solo per la loro difficoltà a cambiare pelle, ma anche perché la possibilità di fare investimenti è limitata dalle regole sull’assorbimento del capitale a cui non sono sottoposti altri soggetti. Il dumping regolamentare di cui i concorrenti delle banche beneficiano si traduce poi in un dumping tariffario per le banche e contrattuale per i lavoratori. Anche questo è un motivo per cui una visione confederale del mondo del lavoro e dell’economia è necessaria a comprendere e contrastare le distorsioni di un mercato che più ancora che libero sembra essere selvaggio. In sede di rinnovo dei contratti dovremo lavorare sull’area contrattuale, ma contemporaneamente, insieme alle imprese, si deve chiedere,  ai regolatori ed alla politica, di far chiarezza sul perimetro della regolamentazione e della vigilanza, altrimenti il sistema bancario andrà incontro ad una destrutturazione e questo non sarà un bene per nessuno, a partire da imprese e clienti.

Il problema Npl, i crediti non esigibili, è finito?

No. Non è finito, né nel sistema bancario, perché il credito deteriorato è ancora troppo e le pressioni europee verso la svendita rischiano di continuare a far contabilizzare perdite che avrebbero potuto non esserci, né nel Paese, perché spostare i crediti dalle banche ad altri soggetti, peraltro non vigilati e raramente orientati a mantenere attenzione verso la sostenibilità della propria azione, ha come probabile conseguenza quello di peggiorare gli effetti sociali ed economici del problema. Ma anche per quanto riguarda il lavoro bancario il salto di qualità con il quale si sta passando da cessioni di crediti a cessioni di piattaforme per la gestione di crediti, dipendenti compresi, dimostra quanta ragione avevamo quando da soli, oltre due anni fa, cominciammo a parlare dei rischi connessi alla mancata costruzione di soluzioni interne al sistema bancario per la gestione dei crediti deteriorati. Oggi che quei rischi si stanno concretizzando e che perfino le società che facevano questa attività con licenza bancaria decidono di cambiare pelle e rinunciare a quella licenza, come accade con doBank, non abbiamo più molto tempo a disposizione per correggere il tiro e non sarà certo strillando contro l’Europa che troveremo le soluzioni per difendere i lavoratori e, perché no, i clienti e le banche stesse dal rischio di uno spostamento della gestione dei crediti, anche quelli ancora esigibili seppur con qualche difficoltà, al di fuori del sistema bancario. Anche questo dovrà essere argomento della discussione contrattuale.

Sassolini nelle scarpe?

Cammino direttamente sulla ghiaia a piedi nudi… Ma preferisco parlare solo di questioni sindacali: non sono più disposto a tollerare l’acquiescenza più o meno interessata di tanti ai soprusi e alle ingiustizie nel mondo del lavoro. Anche nel nostro settore esistono casi di brutalità e prepotenza che devono essere fermati. Ne cito uno su tutti: recentemente in Banca Popolare di Bari ci sono stati dei dirigenti che hanno diffuso dei file audio con i quali, oltre a rivelare che la loro banca sarebbe sull’orlo del tracollo – circostanza poi smentita dalla presidenza – minacciavano di procedere con licenziamenti e, figurativamente, con “punizioni corporali”, nei confronti di tutti i colleghi che non avessero raggiunto, a qualunque costo, gli obiettivi di vendita. In quei file audio si intimava esplicitamente di caricare sulla clientela i prodotti a più alta marginalità per la banca, senza alcuna analisi dei bisogni della clientela stessa. Alle proteste del sindacato il condirettore generale Gianluca Jacobini, manager di provate capacità filiali, evidentemente affetto dalla sindrome del padrone delle ferriere, ha affermato che i metodi utilizzati da questi dirigenti, per quanto poco urbani, hanno prodotto un’esplosione della produttività, difendendone così di fatto l’operato. Andando in questa direzione nelle banche si assumeranno, nei ruoli chiave, dei “caporali”, perché  è risaputo che il caporalato garantisce una  redditività  altissima. Senza contare che in questo caso la produttività consisterebbe nell’affibbiare indiscriminatamente ai clienti prodotti ad alta redditività per la banca. Non sono certo che questo corrisponderà alla soddisfazione della clientela nel tempo…

Assembla Abi in progress dunque…

Il presidente dell’Abi sarà confermato. Poloni costituirà la novità. Al Presidente Antonio Patuelli e a  Salvatore Poloni auguro di avere la forza e la determinazione per orientare l’Associazione verso scelte lungimiranti. L’augurio all’Abi nel suo complesso è invece quello di ritrovarsi unita nella voglia di governare il cambiamento di un sistema, non limitandosi a gestire un settore come mi pare la scelta di molte aziende l’abbia limitata a fare negli ultimi anni.