Le donne contano: Ruth Handler

Ruth Handler nasce a Denver il 4 novembre 1916 da una famiglia di immigrati ebrei polacchi ed è cadetta di 10 figli. Sin da bambina, dimostra di avere una particolare predisposizione per gli affari, pur non avendo la possibilità di seguire studi specifici.
Nel 1938 sposa Elliot Handler e i due fondano, negli anni, diverse aziende di produzione e commercializzazione di oggetti di design. Finché, nel 1945, fondano la società Mattel insieme al socio Harold Matson, che li abbandonerà però già nel 1947. Cominciano a produrre case in legno per le bambole, per passare poi alla plastica con una piccola chitarra musicale.
Gli ordinativi crescono, così come le loro idee innovative tanto che nel 1951 Mattel dà lavoro a circa 600 dipendenti. Anche la gestione del personale è all’avanguardia: a differenza di quanto succede nelle altre grandi aziende americane negli anni ’50, presso gli uffici e gli stabilimenti di Mattel collaborano dipendenti bianchi, afro-americani e latino-americani.
Precorrendo i tempi, i coniugi Handler adottano inoltre la prassi di effettuare sui giocattoli che producono dei test che ne certifichino la sicurezza.
Ruth Handler è a tutti gli effetti parte dell’azienda e del suo consiglio di amministrazione, prendendo parte ad ogni decisione esattamente come il marito. Proprio la sua presenza nel board costringerà gli altri membri della dirigenza a mettere in discussione alcune regole di comportamento date fino ad allora per scontate, come ad esempio la scelta dei luoghi in cui tenere i loro incontri, spesso organizzati in esclusivi club maschili preclusi alle donne.
La storia del successo di Mattel prosegue negli anni anche grazie al magistrale utilizzo del marketing e della pubblicità televisiva. Il vero successo mondiale arriva però con la commercializzazione della bambola Barbie, ideata proprio da Ruth Handler, nel 1959.
L’ispirazione le viene durante un viaggio in Europa, quando vede in una vetrina una bambola con fattezze da donna adulta. Acquista i diritti, apporta alcune modifiche al modello originale e sviluppa la sua idea di creare un giocattolo nel quale le bambine possano proiettare i loro sogni di vita futura.
Barbie viene da subito lanciata sul mercato insieme ad una serie di abiti e outfit, come diremmo oggi, che permettono alle bimbe di calarsi di volta in volta in ruoli e situazioni differenti, da reginetta del ballo, a pescatrice, a signora elegante. Ci troviamo tra gli anni ’50 e gli anni ’60 e i modelli risentono chiaramente di una cultura di massa in cui i ruoli femminili non sono illimitati, ma si tratta di un cambiamento enorme rispetto ad un passato in cui le bambole rappresentavano dei bebé e in cui le bambine potevano identificarsi unicamente in future mamme e custodi del focolare domestico.
L’avvio della commercializzazione di Barbie non è tuttavia privo di intoppi: da subito foriera di molteplici simboli contrastanti, dapprima viene osteggiata perché non sembra opportuno produrre un giocattolo con forme femminili così evidenti. E’ inoltre accusata di essere un giocattolo razzista e classista. Le femministe non mancano poi di considerarla un simbolo inaccettabile della cultura maschilista più bieca. Nonostante tutto questo, Barbie ottiene un enorme successo, diventando presto un oggetto iconico che a distanza di decenni non ha ancora perso la propria identità e la propria attrattiva.
A cosa si deve questo enorme e duraturo successo? Indubbiamente alla capacità di reinventarsi continuamente, interpretando di volta in volta con lungimiranza il contesto sociale nel quale si trova ad esistere. Barbie è riuscita a trasformarsi da casalinga perfetta, bianca, bionda ed elegante degli anni ’50 a icona di pari opportunità.
Le nuove linee di Barbie si concentrano sulla diversità e sull’inclusione, rappresentando una vasta gamma di corpi, etnie, mestieri e interessi.
Curiosamente, un giocattolo che tanti dubbi aveva sollevato diventa ora strumento educativo, trasmettendo alle future ragazze e ai futuri ragazzi il concetto che esistono infiniti modi per sviluppare la propria personalità, che non esiste un unico modello di corpo “perfetto”, che è possibile scegliere autonomamente quale ruolo avere nella società. Che un ingegnere può essere indifferentemente uomo o donna, così come un medico, un infermiere, un cuoco o un astronauta.
Guardando in prospettiva, possiamo affermare che il giocattolo Barbie insegna che ciascuna persona ha il diritto e la possibilità di indossare l’abito nel quale meglio si riconosce, senza curarsi degli stereotipi e delle aspettative altrui.
Ruth Handler aveva immaginato tutto questo? Aveva previsto che il suo giocattolo potesse diventare uno strumento per favorire l’avanzamento della società? Possiamo solo prendere atto della genialità della sua intuizione di creare un oggetto estremamente trasformista nel quale molte generazioni hanno e avranno modo di riconoscersi.
Dopo la creazione di Barbie, la società Mattel raggiunge dimensioni sempre più ragguardevoli: nel 1968 raggiunge una cifra d’affari superiore ai 100 milioni di dollari, diventando la più importante azienda del settore nel mondo. Con la quotazione in borsa negli anni ’70 gli Handler cercano di diversificare i propri investimenti, perdendo però presto il controllo della società tanto da arrivare, nel 1978, ad una condanna per falso in bilancio e truffa.
Ruth Handler continuerà nonostante tutto la sua attività di ricerca e innovazione in diversi campi.
Muore il 27 aprile 2002 a Century City, in California, all’età di 85 anni.

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