“Banche, l’Ai deve essere un’opportunità per il lavoro” è il titolo con cui il mensile Economy, nel suo ‘Dossier Transizioni’, pubblica un articolato intervento del segretario generale First Cisl, Riccardo Colombani. Di seguito il testo integrale:
Dal 2003 al 2023 il settore bancario italiano ha perso quasi 75mila posti di lavoro registrando una riduzione del 22,2% degli occupati, ben più del 18% rilevato nei sistemi bancari dell’area euro. Se la contrazione fosse stata in linea con quella degli altri Paesi, a dicembre 2023 avremmo avuto 14mila posti di lavoro in più rispetto ai 261.952 occupati conteggiati dalla Bce. Nel periodo considerato, in Francia l’occupazione nel settore bancario è addirittura salita del 2,3%.
Il quadro è tanto più preoccupante se si considera che circa 38mila assunzioni sono state incentivate grazie al Fondo per l’occupazione (Foc), interamente finanziato dalle lavoratrici e dai lavoratori. Nonostante il principio solidaristico alla base dello strumento di politica attiva, con lauti incentivi erogati alle banche, le assunzioni sono avvenute col contagocce. Tant’è che le disponibilità finanziarie del Foc si mantengono significative. Sulla base di tale consapevolezza, sottoscrivendo con Abi l’accordo di rinnovo del contratto nazionale il 23 novembre 2023, i sindacati hanno riaffermato l’obiettivo dello sviluppo dell’occupazione, ampliando le possibilità di utilizzo del Foc al fine di realizzare, ad esempio, la cosiddetta “staffetta generazionale”.
D’altra parte l’utilizzo del Fondo di solidarietà, strumento introdotto dalle parti sociali per gestire gli esuberi in base al principio di volontarietà incentivata, è stato molto importante nella stagione delle crisi bancarie. Ancora nel 2013 gli occupati nel settore erano, infatti, quasi 307mila.
Le crisi bancarie, fortunatamente, sono alle spalle. Il sistema è in gran spolvero sotto il profilo economico, finanziario e patrimoniale. La redditività del capitale è saldamente in doppia cifra e superiore a quella europea. Gli attivi sono di ottima qualità, dimostrata dal persistente basso tasso di deterioramento dei prestiti, nonostante un ciclo economico non scoppiettante. Ed è altissima l’efficienza raggiunta, attestata da un bassissimo rapporto tra costo del lavoro e proventi operativi. I risultati sono stati riconosciuti anche dai mercati, che hanno premiato le banche italiane facendone crescere molto la capitalizzazione. Non ci sono, quindi, fondate ragioni economiche per insistere sull’ulteriore riduzione dei livelli occupazionali.
La stagione della transizione digitale e dell’intelligenza artificiale non deve rappresentare un alibi per tagliare ancora i livelli occupazionali ed il numero delle filiali, giustificando tali scelte in ragione del minor utilizzo del contante o del maggior utilizzo di canali digitali da parte della clientela. Al contrario, il lavoro non deve essere considerato un costo di esercizio da comprimere, bensì una leva di sviluppo della redditività delle banche, impegnate ad assistere col credito ed i servizi le imprese nelle improcrastinabili trasformazioni dei sistemi produttivi, e le famiglie, interessate a proteggere e valorizzare i patrimoni, immobiliari e finanziari.
Insomma, ci sono le condizioni ideali per investire nelle persone, pianificando una continua e inclusiva attività di reskilling e upskilling, con il duplice obiettivo di adeguamento delle professionalità e di inclusione in modelli organizzativi che, altrimenti, rischiano di produrre fenomeni di alienazione e senso di inadeguatezza. Il rischio, se non la certezza, è che si stia riproponendo, in una sorta di equivoco efficientista, il modello della fabbrica di spilli di Adam Smith, trascurando cioè il significato più profondo della trasformazione digitale, che dovrebbe, al contrario, enfatizzare la capacità creativa e relazionale del lavoro umano. In apparenza tutto l’impianto è rivolto alla gestione delle esigenze del cliente a 360 gradi, ma in verità i modelli organizzativi determinano pressioni inaudite alla vendita di specifici prodotti scelti dalle banche, imputando le responsabilità, almeno “morali”, se non disciplinari, ai lavoratori in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi.
Si spiega così la vera e propria fuga dal lavoro di coloro che accedono alle prestazioni straordinarie del Fondo di solidarietà, sino a 5 anni prima del pensionamento, rinunciando a fette significative di retribuzione. I pochi giovani che entrano a lavorare in banca, non di rado, si dimettono. L’obiettivo comune delle parti sociali deve essere il benessere lavorativo, come condizione di attrattività e di sviluppo delle lavoratrici e dei lavoratori, imprescindibile per cogliere le nuove frontiere di crescita rappresentate dalla transizione digitale e da quella ecologica. Ursula Von Der Leyen, nel discorso di insediamento del 18 luglio, ha enfatizzato la necessità che l’Europa diventi leader in nuove tecnologie, sviluppi sistemi di intelligenza artificiale con una visione antropocentrica e affronti con decisone la trasformazione ecologica.
Peraltro, le nuove tecnologie saranno determinanti per la transizione ambientale ed energetica, ma ancor più importanti saranno le competenze e l’aggiornamento continuo dei lavoratori. I passi in avanti in termini di digitalizzazione della nostra economia e della società, misurati dall’indice Desi elaborato della Commissione europea, sono stati compiuti anche grazie al Pnrr, ma il valore di sintesi è zavorrato dalle bassissime competenze digitali degli italiani. Le banche, per mezzo delle persone che vi lavorano, adeguatamente preparate, formate ed incentivate, potrebbero approntare percorsi di educazione digitale, finalizzati a ridurre, meglio ancora risolvere, almeno in ambito bancario, il digital divide che colpisce soprattutto gli anziani. Oggi, nella fascia di età 65-74 anni, solo poco più del 29% degli italiani utilizza l’internet banking, contro il 44% degli abitanti dei Paesi dell’area dell’euro ed oltre il 55% dei francesi.
Per dare stabilità nel tempo ai grandi risultati economici e finanziari, le banche hanno bisogno di puntare sulla qualità dei modelli di servizio, sia dal lato del credito che del risparmio. Solo a titolo esemplificativo, sta emergendo la necessità di proteggere il patrimonio immobiliare delle famiglie, a fronte della frequenza e dell’estensione di catastrofi e calamità naturali. Il Governo ha già annunciato che questo obbligo di copertura assicurativa, previsto a partire da quest’anno per gli immobili di proprietà delle imprese, verrà esteso agli immobili di proprietà delle persone fisiche entro la fine della legislatura. Come naturale conseguenza, è ipotizzabile che la banca-assicurazione divenga sempre più un veicolo per la copertura di questi specifici rischi. Vista la grande eterogeneità di situazioni da valutare e gestire, territorio per territorio, si renderà indispensabile la combinazione di sistemi di intelligenza artificiale e servizi tailor-made: tutto ciò sarà possibile solo grazie alla consulenza personalizzata, cioè con un forte investimento sulle persone e sull’occupazione. Non è credibile, almeno in questo ambito, una standardizzazione dei processi, ma è invece realistico e auspicabile l’utilizzo di tecnologie in ausilio di lavoratrici e lavoratori.
Lo stesso si può affermare riguardo al processo di canalizzazione del risparmio verso l’economia reale. La possibile affermazione a livello europeo dell’unione dei risparmi e degli investimenti renderà sempre più necessario adottare un modello di consulenza aperto, non standardizzato, fondato sulla qualità del servizio e non riducibile all’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale.
In questa prospettiva, quindi, non spaventa affatto il cambiamento in sé. Anzi, può essere volano di sviluppo delle persone e motivo di inclusione e coesione sociale. La grande preoccupazione è rappresentata dal persistere dell’ossessione della trimestrale, cioè da un’impostazione comprensibile, ma sicuramente errata nel cambiamento d’epoca. Serve un salto culturale. La cabina di regia sul digitale, rafforzata col rinnovo del contratto nazionale, deve essere il luogo di contrattazione dinamica in grado di favorire il raggiungimento di intese che permettano l’evoluzione del settore ed al contempo assicurino a lavoratrici e lavoratori tutte le tutele necessarie.