Cuoreeconomico intervista Colombani su inflazione, tassi d’interesse, risiko bancario e regole europee

La Fed alza i tassi negli Stati uniti alimentando il dibattito su cosa farà la Bce; Cuoreeconomico si occupa del tema intervistando il segretario di First Cisl, Riccardo Colombani.

Il giornalista Luigi Benelli apre la conversazione con la seguente domanda: Segretario, i tassi di interesse stanno aumentando: qual è lo scenario? C’è un rischio liquidità per le imprese?

«È vero – risponde Colombani – sul mercato i tassi di interesse stanno salendo, anche se in modo limitato e graduale. Dobbiamo distinguere in base agli effetti per dimensione d’impresa. Le grandi, già favorite da uno standing creditizio più elevato, beneficiano in modo maggiore della politica monetaria espansiva della Bce, che almeno fino al terzo trimestre di quest’anno prevede tra i vari strumenti anche l’acquisto di obbligazioni societarie: difficile immaginare che una risalita dei tassi le espongano nell’immediato a problemi di liquidità. Diverso è il discorso per quanto riguarda le piccole e piccolissime imprese poiché, avendo rating di credito più bassi, un aumento dei tassi da parte della Bce si rifletterebbe su di esse in modo maggiore, facendo peggiorare, con l’aumento degli oneri finanziari, i loro conti economici. Per un Paese come l’Italia, nel quale le imprese minori, quelle con meno di 20 dipendenti, impiegano circa 8 milioni di persone, una stretta della politica monetaria comporterebbe quindi difficoltà notevoli. Non servirebbe nemmeno a ridurre l’inflazione, se non in misura contenuta, dal momento che il rialzo dei prezzi non è dovuto alla politica monetaria accomodante, ma ad altri fattori».

Quali? chiede il giornalista. «Alle strozzature lungo le catene di fornitura globali ed al rincaro delle materie prime energetiche, fenomeni entrambi prodotti dalla pandemia e, specie nel secondo caso, aggravati dalla guerra. Si tratta insomma di un problema di offerta, non di surriscaldamento della domanda, che rischia invece di essere stroncata, con conseguenze drammatiche su crescita e occupazione, da una politica monetaria restrittiva».

Le moratorie sui finanziamenti hanno fatto respirare il sistema imprenditoriale ma ora sono alla fine. Cuoreeconomico pone l’accento sulle conseguenze chiedendo di conoscere quali siano in merito le proposte di First Cisl. «Il problema effettivamente esiste. A fine 2021, quando è scaduto il provvedimento varato con il decreto Cura Italia – osserva il leader dei bancari e degli assicurativi della Cisl – le moratorie in essere per le imprese assommavano a circa 36 miliardi. Una cifra senz’altro rilevante, anche se lontana dal volume di 270 miliardi complessivamente accordato da marzo 2020. C’è la possibilità concreta che una parte di questi crediti venga classificata come Npl (Non performing loans, crediti deteriorati) e provochi danni seri al tessuto imprenditoriale ed ai bilanci delle banche. Sembra tuttavia improbabile – anche Bankitalia ha rassicurato in tal senso – che la crescita delle insolvenze raggiunga livelli allarmanti, com’è invece avvenuto negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2008».

L’analisi di Riccardo Colombani prosegue tirando in ballo il quadro regolatorio europeo che «non aiuta. Con la fine delle moratorie il tema più urgente è quello delle ristrutturazioni, che rischiano di essere un’arma spuntata: l’Eba impone infatti di classificare come Npl i prestiti che presentano un costo di ristrutturazione superiore all’1% del valore iniziale. Serve più flessibilità, quindi».

Altro tema d’attualità l’interesse delle banche estere per gli istituti italiani. Il giornalista Luigi Benelli evidenzia: Crédit Agricole ha comprato il 9,18% di Bpm, c’è un tema dell’Italia in vendita? Quali rischi?

«Tutti i media – spiega Colombani – si interessano della ripartenza del risiko bancario, ma a mio avviso non è questo il punto dirimente. Non credo nemmeno che la questione vada inquadrata solo sotto l’angolazione della difesa dell’interesse nazionale: il problema in realtà è più ampio. L’operazione di Crédit Agricole Italia ha portato alla luce l’estrema frammentazione del capitale di Banco Bpm, direi la sua polverizzazione. I francesi ne sono oggi i primi azionisti con una quota pari appena al 9,2%. Ciò deve spingerci a riflettere sulla necessità di rafforzare la compagine azionaria delle banche italiane con la presenza di anchor investor, investitori di lungo periodo in grado di garantire stabilità. Per la stessa ragione sarebbe opportuno che il governo promuovesse questo processo in tutto il settore attraverso incentivi mirati. Non è invece opportuna una nuova ondata di fusioni che concentri ulteriormente il sistema, favorita da provvedimenti come quello delle Dta, che non andrebbe rinnovato. Negli ultimi anni il consolidamento del sistema bancario italiano è stato talmente accelerato da renderlo oggi più concentrato rispetto a quelli francese e tedesco. Sappiamo quali sono state le conseguenze: l’abbandono dei territori e le difficoltà di accesso al credito per le imprese minori e le famiglie. La desertificazione bancaria produce esclusione sociale, ci porta quindi in una direzione opposta rispetto al Pnrr, che annovera tra i suoi obiettivi l’inclusione sociale».

Luigi Benelli chiude l’intervista chiedendo a Riccardo Colombani quali saranno per la vostra categoria i riflessi sui salari dell’aumento dell’inflazione?

«Il rialzo dell’inflazione, come abbiamo visto, non è dovuto ai salari e le rivendicazioni contenute nelle varie piattaforme per i rinnovi dei contratti verranno perciò portate avanti con la necessaria determinazione, tenendo conto che i contratti sono scaduti da tempo. Le nostre richieste sono ampiamente giustificate dalla difesa del potere d’acquisto pregresso e dalla produttività consolidatasi grazie al contributo di lavoratrici e lavoratori. D’altra parte banche e assicurazioni non hanno cambiato le politiche di remunerazione dei soci e la mancanza di nuove raccomandazioni restrittive da parte delle Autorità di vigilanza ha consentito agli azionisti una vera e propria scorpacciata di dividendi. Per i lavoratori di banche e assicurazioni salari più alti, in linea con la produttività, sono indispensabili».