Banca Monte dei Paschi di Siena ha bisogno di tempo per completare il suo rilancio. Tempo e nuovo capitale, che va impiegato per aumentare il credito e quindi i ricavi. Al timone, dopo il fallimento della trattativa tra Unicredit ed il Ministero dell’Economia e delle Finanze, è bene che resti lo Stato: non per sempre, perché la privatizzazione dovrà esserci, ma appunto per il tempo necessario a garantire che l’investimento pubblico venga recuperato. Il segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani, in un’intervista concessa a 50 Canale, è tornato sulla situazione di Rocca Salimbeni ed ha esposto le sue idee sul futuro del gruppo:
“L’operazione con Unicredit avrebbe comportato lo spezzatino, dal momento che la banca guidata da Andrea Orcel chiedeva di acquisire solo un perimetro selezionato. Vi sarebbero state conseguenze sia per la clientela che per i lavoratori, esposti alla mobilità territoriale e professionale, o al passaggio in Mediocredito Centrale per quanti fossero rimasti fuori dal perimetro. Insomma Mps – ha sottolineato Colombani – avrebbe perso la sua integrità e l’avrebbe persa proprio nel momento in cui il risanamento è avvenuto, come dimostra l’utile di 388 milioni di euro realizzato nei primi nove mesi dell’anno. Certo, serve in tempi brevi un aumento di capitale, ma del resto anche l’ad Guido Bastianini lo ha detto di recente in audizione alla Commissione bicamerale d’inchiesta sulle banche”.
“L’aumento di capitale è fondamentale per rilanciare la banca e aumentare il credito. E il credito – ha proseguito – è vitale per l’economia dei territori. Siamo in una fase di riprese per la nostra economia, che crescerà del 6% quest’anno e del 5% nel 2022. Queste condizioni consentono a Mps, se ricapitalizzata, di fare più ricavi e guardare al futuro con fiducia. È necessario però che la banca resti pubblica per il tempo necessario affinché lo Stato recuperi il suo investimento. La proroga di un anno di cui si parla è insufficiente. Poi, una volta che il rilancio sarà concluso, Mps potrà essere privatizzata. Anche l’ad di Intesa Sanpaolo Carlo Messina – ha messo in evidenza il segretario generale di First Cisl – ha sostenuto che solo in Italia il fatto che una banca sia controllata per un certo tempo dalla Stato rappresenta un problema”.
Nella vicenda del Monte dei Paschi l’Europa riveste un ruolo di primo piano. “Dobbiamo essere chiari: diciamo no ai rimedi compensativi e a nuovi sacrifici salariali per le lavoratrici e i lavoratori, che hanno pagato in questi anni un prezzo pesante e ciò nonostante abbiano consentito alla banca di stare sul mercato – ha ribadito Colombani – Il governo ha l’autorevolezza per negoziare con le istituzioni comunitarie tempi e condizioni che consentano alla banca di sviluppare il suo potenziale. Non vanno ripetuti gli errori del passato. Nel 2016 il piano d’impresa tagliò drasticamente i costi ma così facendo affossò anche i ricavi. Un’altra stagione di lacrime e sangue non farebbe che replicare questo copione”.
La sorte del Monte è collegata anche al tema della desertificazione bancaria. La ritirata delle banche dai territori è un problema che tocca tutto il Paese, anche se colpisce in modo più duro il Mezzogiorno, e che ha ricadute rilevanti sul tessuto sociale. “La Toscana è stata meno colpita rispetto ad altre aree ma, in generale, la chiusura delle filiali determina ovunque emarginazione sociale – ha argomentato Colombani – Il basso livello di competenze digitali, certificato dall’indice Desi elaborato dalla Commissione Ue, è un ostacolo oggettivo. Siamo anche il Paese più anziano, e non a caso la fascia d’età che utilizza meno i servizi bancari digitali è quella tra i 65 e i 74 anni. Tutto ciò concorre a creare una condizione di isolamento per le persone più anziane, che tra l’altro sono quelle che detengono la parte maggiore del risparmio privato. La debancarizzazione è un freno anche per gli investimenti, che in questo momento sono fondamentali per rilanciare l’economia”.
A soffrire sono anche le imprese, ha spiegato Colombani: “Le più piccole hanno subito una rarefazione del credito rispetto a dieci anni fa. Solo negli ultimi 18 mesi, grazie ai prestiti assistiti da garanzia statale, si è registrata un’inversione di tendenza. Abbiamo bisogno della presenza fisica delle banche perché le piccole imprese non possono fare a meno di un interlocutore in grado di comprendere le loro necessità. Un argine a questa deriva – ha ricordato il numero uno dei bancari della Cisl – è rappresentato dagli istituti di credito cooperativo i quali, però, con la riforma del 2016 concretizzata nel 2019, hanno in parte smarrito il loro carattere di mutualità senza fini di speculazione privata. È quindi auspicabile che la riforma sia modificata: le Bcc non possono essere considerate significant ai fini della vigilanza come le grandi banche. Il principio guida deve essere quello di proporzionalità”.
Durante la fase più dura della pandemia il sistema bancario è stato al centro delle politiche messe in campo per evitare il tracollo dell’economia. Questa centralità resta un tratto anche della fase di ripartenza, che poggia sul Pnrr e sulla sua attuazione. Attuazione, ha osservato Colombani, che non dipende solo dalle banche private. Un impulso notevole può venire infatti anche dalle banche pubbliche: “La gestione delle garanzie pubbliche sui prestiti ha messo in evidenza il ruolo di Mediocredito Centrale. Anche l’Istituto per il Credito Sportivo, che mette insieme sport e cultura, svolge una missione importante per la società. Nell’attuazione del Pnrr queste realtà vanno valorizzate e potenziate, attribuendo loro nuove funzioni. Non c’è bisogno di avere più banche pubbliche, c’è bisogno invece – ha concluso – di banche pubbliche che siano in grado di dare un contributo significativo nell’ambito di un sistema bancario incentrato sul principio di biodiversità”.