Stop a Unicredit in Banca Monte dei Paschi. Colombani sui giornali, futuro Mps con meno obblighi e più capitale

Le ventilate nozze tra Unicredit e Banca Monte dei Paschi di Siena registrano una forte frenata. Nella sua edizione toscana on-line Il Sole 24 Ore titola “Mps-Unicredit, il negoziato è vicino alla rottura”. Sulla stessa linea l’impostazione de La Stampa che va oltre evidenziando il motivo dello stop. “Unicredit-Tesoro, rottura su Montepaschi. Il governo: no alla maxi dote di 7 miliardi”. Nel suo sommario, il quotidiano torinese, richiama anche il tema degli esuberi, stimati in 8mila da ricollocare, e i problemi connessi al rafforzamento del capitale. Nel titolo de Il Messaggero traspare tutta la preoccupazione che si vive nella comunità senese: “Allarme a Siena, settemila posti a rischio. Senza interventi banca in forti difficoltà”.

“La trattativa fra il ministero dell’Economia e Unicredit per rilevare parte delle attività di Banca Mps sembra vicina alla rottura. Secondo quanto ha riferito l’agenzia Reuters – riporta Il Sole 24 Ore – le parti non si sarebbero avvicinate: permangono divergenze sul perimetro delle attività da acquisire, e sull’entità dell’iniezione di capitale nel Monte per facilitare l’operazione, che Unicredit vorrebbe superiore ai 7 miliardi di euro, mentre il Mef non vorrebbe superare i 5 miliardi”.

“I sette miliardi – scrive il giornalista Gianluca Paolucci su La Stampa – sono quelli che secondo Unicredit servono per rispettare i paletti fissati a luglio, quando venne annunciata la trattativa in esclusiva con l’istituto di piazza Gae Aulenti: neutralità del capitale e accrescimento dell’utile per azione, sterilizzazione dei rischi legali, dei crediti problematici e del personale. Il conto fatto da Unicredit al termine della due diligence non viene però condiviso dal Mef che, partito da una ricapitalizzazione da 2,5 miliardi, era disposto a valutare un’operazione fino a 5 miliardi compresi i benefici fiscali (2,3 miliardi) e la separazione dei rischi legali ma non intende andare oltre”.

“Questione di soldi” evidenziano su Il Sole 24 Ore i giornalisti Luca Davi e Marco Ferrando “che per il Tesoro diventa anche di opportunità politica. «Non si tratterà della svendita di proprietà statale, UniCredit è la soluzione strategicamente superiore per interesse paese», aveva spiegato il ministro Daniele Franco a inizio agosto davanti alle Commissioni Finanze di Camera e Senato, aggiungendo però che «non chiuderemo a ogni costo». In queste parole, a distanza di quasi tre mesi, vanno probabilmente trovate le ragioni di una rottura che i consulenti coinvolti nell’operazione quantificano in circa 3 miliardi: tra crediti fiscali, iniezione di capitale e altre misure su addetti e rischi legali…”.

Fra i primi a intervenire sulla vicenda il segretario generale di First Cisl, Riccardo Colombani, che a La Stampa ha dichiarato: «È chiaro che per continuare a operare la banca va ripatrimonializzata e liberata dagli obblighi che in questi anni hanno finito per comprimere i ricavi e innescato un circolo vizioso con i tagli all’occupazione».

Il leader dei bancari della Cisl ha aggiunto sul Messaggero che questa «è una logica dalla quale bisogna uscire per assicurare un futuro alla banca» concludendo in modo netto su Il Sole 24 Ore: «Se non andrà in porto l’operazione bisogna tornare al piano industriale che prevede la ricapitalizzazione da parte dello Stato».