All’Europa la depressione correlata al lavoro costa complessivamente 617 miliardi di euro l’anno. Lo si apprende dal progetto realizzato da Matrix nel 2013 per l’Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro Eu-Osha. L’ingente cifra è costituita dall’insieme dei costi per i datori di lavoro derivanti da assenteismo e presentismo (272 miliardi di euro), dalla perdita di produttività (242 miliardi), dai costi sanitari (63 miliardi) e dai costi di assistenza sociale rappresentato da pagamenti di prestazioni di invalidità (39 miliardi). Inoltre, secondo le stime 2015 di Eurofound, il divario occupazionale di genere costa 325 miliardi di euro per l’Unione Europea (2,5% del pil dell’Ue), con un costo individuale di esclusione durante tutta la vita lavorativa delle donne stimato in oltre 1 milione di euro.
“Oggi, il lavoro, a causa della crisi e della ricerca della produttività a tutti i costi, generata anche alla diffusione delle nuove tecnologie – spiega Pier Luigi Ledda, segretario nazionale di First Cisl e project manager del progetto di studio europeo di formazione di sindacalisti esperti in materia di work-life balance, impone ritmi serrati, orari di lavoro pervasivi e invade la privacy delle persone mettendo a rischio la salute psicofisica, la famiglia e gli equilibri sociali. La gestione di questo equilibrio investe almeno due aspetti: la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori contro i rischi psicosociali e lo stress sul posto di lavoro e la promozione delle pari opportunità e della piena partecipazione al mercato del lavoro da parte delle donne”. Come si è visto dai dati europei, si tratta di aspetti che impattano entrambi sui costi sociali e sui mancati ricavi delle aziende con immediati riflessi sul pil degli Stati.