“L’ipotesi di fissare un limite ai compensi dei manager e degli amministratori delle banche interessate dall’intervento pubblico va nella direzione giusta, ma una leva simile dovrebbe essere utilizzata anche a scopo di prevenzione nelle condizioni ordinarie”: è il commento di Giulio Romani, segretario generale di First Cisl, primo sindacato del settore finanziario italiano, alla notizia del via libera della Commissione Finanze del Senato all’emendamento al decreto salva-risparmio, che consente al Tesoro di intervenire sul tetto retributivo dei vertici delle banche che ricevano aiuti pubblici.
“Nei compensi dei manager – aggiunge Romani – si deve distinguere tra quota fissa, che oggi è assolutamente preponderante, ma che dovrebbe invece essere limitata a cifre più basse, e quota variabile, che andrebbe agganciata a dei fattori di produzione di reddito sociale, come la qualità del credito, la sua prevalente distribuzione alle famiglie e alle piccole e medie imprese, la stabilità dei prodotti finanziari, l’assenza di pratiche commerciali scorrette e non da ultimi la qualità dei rapporti intrattenuti con il personale e la capacità di creare occupazione”.
“La nostra ipotesi di lavoro – continua Romani – è che il salario dei manager sia composto per un terzo da una cifra fissa e per la parte restante da due quote variabili correlate rispettivamente alla produttività e ai benefici sociali prodotti dalla banca. Come far rispettare questi vincoli? Con una legge che ne preveda l’obbligo per l’emissione di prodotti finanziari, per la quotazione in Borsa o ancora più radicalmente per mantenere la licenza bancaria. L’auspicio è che il legislatore consideri l’urgenza di un intervento legislativo in tal senso, del resto già sollecitato dalla nostra proposta di legge del 2013, sottoscritta da 120 mila cittadini italiani e tuttora non esaminata dalla Commissione Finanze”.