Giovani, in pensione a 69 anni e 9 mesi

Nel corso dell’audizione in Commissioni Affari costituzionali della Camera dello scorso 5 luglio, il presidente dell’Istat Giorgio Alleva ha sottolineato come “l’occupazione atipica al primo lavoro è diffusa anche per titoli di studio secondari superiori o universitari e cresce all’aumentare del titolo di studio, essendo pari al 21,2% per chi ha concluso la scuola dell’obbligo e al 35,4% per chi ha conseguito un titolo di studio universitario».

In pratica i nostri giovani studiano per non essere impiegati nel campo a loro forse più congeniale e comunque sempre in maniera precaria. Situazione che di per sé potrebbe anche non apparire così drammatica se non fosse che, iniziando a lavorare tardi con stipendi ridotti, comporta un ricalcolo pensionistico ai limite dell’indecenza.

“Il basso tasso di occupazione dei 25-34enni (60,3% nella media del 2016) – continua Alleva – costituisce una grande debolezza per il presente e il futuro di queste generazioni  che rischiano di non avere una storia contributiva adeguata. Ciò si rifletterà su importi pensionistici proporzionalmente più bassi rispetto a carriere lavorative regolari, cioè con salari adeguati e continuità nel versamento dei contributi”.

Il presidente ha inoltre evidenziato come “lo scarso impiego di queste fasce di età indica, poi, una grave situazione di sottoutilizzo di un segmento di popolazione ad elevato impatto potenziale sullo sviluppo economico del Paese».
Se consideriamo poi le ultime previsioni Istat, che determinano come dal 2051 queste nuove generazioni  potranno godere della pensione alla “giovane” età di 69 anni e 9 mesi, diventa indispensabile rivedere parametri, progetti e prospettive.

Ognuno deve fare la propria parte: politica, imprenditori e sindacati. Noi siamo pronti.

Comunicazione First Cisl Lombardia