L’anno dei bancari: un contratto storico nel segno della partecipazione

Le novità del contratto nazionale, la battaglia contro la desertificazione bancaria, il futuro di Mps e le voci di nuove aggregazioni. Per il settore bancario il 2023 è stato un anno denso di cambiamenti. Conquiste del lavoro prova a tracciarne un bilancio con il segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani in questa intervista a cura di Carlo D’Onofrio:

Segretario, di recente è stato firmato il rinnovo del contratto nazionale dei bancari. Quali sono le caratteristiche che lo rendono innovativo e di svolta?
L’accordo raggiunto con l’Abi può essere considerato storico. Abbiamo introdotto un nuovo paradigma retributivo, che oltre alla tutela del potere d’acquisto prevede la redistribuzione della produttività, alla quale è legata una quota significativa del totale dell’aumento. È stato anche potenziato il ruolo della Cabina di regia per assicurare un confronto dinamico al fine di governare i grandi cambiamenti in atto che coinvolgono l’industria bancaria e finanziaria. Ma soprattutto si registrano novità importanti sul versante della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese e sull’orario di lavoro.

In cosa consistono queste novità?
Per la prima volta dall’entrata in vigore della Costituzione viene inserito in un contratto nazionale un articolo che demanda alla contrattazione collettiva l’attuazione di forme di partecipazione tagliate su misura delle banche e dei gruppi bancari che le adotteranno. Si tratta della stessa logica sottesa alla proposta di legge di iniziativa popolare presentata dalla Cisl. Ora abbiamo davanti un compito difficile: far sì che la partecipazione non resti solo un principio, ma sia attuata concretamente incalzando le aziende sui tavoli di trattativa. Quanto all’orario di lavoro, dal 1° luglio 2024 è prevista una diminuzione di 30 minuti settimanali a parità di retribuzione.

Il fenomeno della desertificazione bancaria sta assumendo connotati di allarme sociale. Con il vostro Osservatorio conducete un monitoraggio costante. A che punto siamo?
La desertificazione bancaria è divenuta ormai una seria minaccia alla coesione sociale. È un fenomeno che si scarica sui più fragili e sui più anziani, che non hanno le competenze digitali necessarie ad utilizzare l’internet banking, la cui diffusione peraltro è in Italia ancora relativamente modesta (nel 2023 il 51,5% della popolazione rispetto al 63,8% della media Ue). Ciò significa che non c’è nesso causale tra digitalizzazione e desertificazione bancaria.

Quali sono allora le vere cause?
Da un lato, la volontà delle banche di tagliare i costi e l’ossessione dei top manager per i risultati a breve. Dall’altro, il processo di concentrazione che ha investito il sistema bancario, con una forte accelerazione dalla crisi di Lehman Brothers del 2007. In generale la quota dei primi cinque gruppi italiani sul totale degli attivi supera ormai il 50%, contro il 46,4% della Francia e il 35% della Germania, con una crescita di 24,9 punti dal 1999 al 2022. La concentrazione è in parte anche il risultato dell’attività delle autorità europee, che in anni difficili per le banche hanno cercato giustamente di puntellarne la stabilità, con l’effetto però di indebolire il loro legame con i territori. Per questo siamo contrari ad un’ulteriore concentrazione del sistema bancario.

Si continua però a parlare di nuove aggregazioni e tra i candidati, in prima fila, c’è Mps. Come vede il futuro della banca, anche alla luce delle sentenze che hanno alleggerito il peso del contenzioso sui conti?
A questo punto una fusione non ha senso. La banca è stata rilanciata, soprattutto grazie ai sacrifici dei lavoratori, e chiuderà il 2023 con oltre un miliardo di euro di utili. I conti andranno molto bene anche nel 2024. Non ci sono ragioni perché il Mef torni sul mercato per vendere a blocchi la quota che ancora detiene dopo l’operazione lampo con cui ha ceduto il 25% delle azioni, scendendo al 39,2% del capitale. Un’ulteriore riduzione della sua presenza avrebbe senso solo per dar vita ad una nuova governance pubblica-privata. Al centro di questo progetto dovrebbero esserci, come investitori stabili, le fondazioni di origine bancaria che, con un patrimonio investito in attività finanziarie complessivamente superiore a 20 miliardi di euro, hanno le spalle abbastanza larghe per sostenere l’operazione.