Colombani a MF Dow Jones su Generali, Mps, Crédit Agricole, Carige

MF Dow Jones pubblica una lunga intervista a cura della giornalista Valeria Santoro al segretario generale di First Cisl, Riccardo Colombani, titolando “Colombani (First Cisl); Donnet ha vinto, ma guerra continua in Mediobanca”. Partendo dal “Leone di Trieste”, il leader dei bancari e degli assicurativi di First Cisl tratteggia la situazione dei principali istituti bancari italiani per poi rimarcare la proposta di First Cisl per la ripresa del Paese indirizzando il risparmio degli italiani verso l’economia reale:

Segretario Colombani, la grande battaglia degli ultimi mesi per il controllo di Generali si è conclusa con la vittoria della lista presentata dal cda uscente. Ma la lista presentata da Francesco Gaetano Caltagirone ha ottenuto comunque un ottimo risultato. Donnet riuscirà a portare avanti il suo piano nonostante la minoranza di blocco?

Il ceo di Generali, Philippe Donnet, non potrà non tener conto di quello che è accaduto in questi mesi, ma il mercato lo ha premiato e quindi lavorerà per portare avanti il suo piano e raggiungere i risultati che ha promesso. La significativa presenza in assemblea degli investitori istituzionali ha determinato la vittoria. Donnet quindi ha vinto, ma la partita non può considerarsi chiusa.

Immagino lei si stia riferendo a Mediobanca. Dopo una settimana dall’assemblea Caltagirone ha reso noto di aver portato la sua partecipazione in piazzetta Cuccia al 5,499%. Come legge questa mossa?

Per sapere se Caltagirone potrà essere un elemento destabilizzante in Generali bisogna guardare cosa succede in Mediobanca. Non possiamo trascurare il fatto che Mediobanca sia il principale azionista del Leone. È probabile che le ambizioni di Caltagirone di incidere su Generali ci siano ancora. Adesso bisogna tenere l’attenzione sugli acquisti che Caltagirone farà al livello più alto della catena di comando. In Mediobanca si ripresenta il duo Caltagirone-Del Vecchio. L’obiettivo potrebbe essere quello di aumentare il proprio peso nel salotto buono della finanza, quindi in Piazzetta Cuccia. Anche qui il mercato potrà fare la differenza. Ma è importante che Generali sia messa in condizione di svolgere il suo ruolo fondamentale al servizio del Paese, partendo dall’occupazione diretta. 

Durante il congresso nazionale di First Cisl lei ha lanciato la proposta di un coinvolgimento di Generali in Banca Monte dei Paschi di Siena. Ci vuole spiegare meglio?

Generali è il primo azionista privato di Mps con circa il 4,3%. Abbiamo già un caso in cui il primo azionista di una banca è un’assicurazione. Unipol ha poco meno del 20% di Bper. Io ho invertito il sillogismo: da banca-assicurazione in assicurazione-banca. Considerato che Generali è già nel capitale di Mps e che il Mef vuole giustamente evitare lo spezzatino, possiamo guardare alle risorse interne per rilanciare Mps, che ha tutto il potenziale per essere rilanciata. Generali può essere il punto di riferimento della banca ricapitalizzata e privatizzata. Non vedo altre alternative per poterla mantenere intatta. 

C’è sempre l’ipotesi di un possibile interesse da parte di una banca straniera su cui il Mef ha recentemente aperto…

Un intervento da parte di un soggetto straniero su Mps mi sembrerebbe molto strano. Se il Copasir è intervenuto sulla cessione di un ramo d’azienda di Bnl, non si vede perché poi cedere Mps a un player straniero. Sembrerebbe un’ultima spiaggia, per questo dico di guardare alle risorse interne. A noi preme che la banca abbia un capitale stabile per preservare l’integrità.  Avere un investitore di lungo periodo, come potrebbe essere Generali, è premiante e potrebbe attrarre altri investitori. 

Come immagina l’operazione?

Generali potrebbe prendere una parte della quota del Mef che ha poco più del 64% del capitale. Basterebbe una quota di controllo relativo con la presenza, magari, di qualche Fondazione di origine bancaria. Il problema è che la politica dovrebbe riflettere sulla necessità di avere un capitale stabile nelle banche. Le banche hanno bisogno di azionisti stabili e le assicurazioni lo sono. 

Il rilancio di Mps deve passare attraverso la definizione del nuovo piano industriale e poi dall’aumento di capitale, al momento stimato intorno ai 2,5 miliardi. Il piano sarà presentato il 23 giugno, mentre il Mef ritiene che l’aumento sarà realizzato entro l’anno. Ce la farà il Monte a rispettare queste scadenze?

Sull’aumento, il Monte ce la farà entro l’anno perché c’è lo Stato dietro, ma è comunque tardi. L’aumento di capitale era già necessario dal luglio 2020 quando la banca fece l’operazione Hydra sui crediti deteriorati coinvolgendo Amco. Solo questa operazione ha determinato un deficit di capitale di 1 miliardo. L’aumento è un punto cruciale per il rilancio di Mps, ma siamo molto in ritardo. Il Monte è come un pugile che monta sul ring con un braccio legato dietro la schiena. Lo shortfall di capitale rende difficile competere con istituti di dimensioni simili: se manca il capitale, la banca non può fare prestiti e quindi non riesce a generare ricavi da interessi. Quanto al piano, al momento non sono previsti incontri ufficiali con Lovaglio. 

Dopo il piano e la ricapitalizzazione arriverà il momento dell’uscita del Mef dal capitale della banca. Ci riuscirà questo governo a chiudere il dossier considerato che si voterà nella primavera 2023? 

Ritegno improbabile che la privatizzazione avvenga con questo governo. Più si ritarda la ricapitalizzazione più si ritarda la valorizzazione della banca. Per la privatizzazione forse occorrerà attendere almeno la fine del 2023 o l’inizio del 2024. Sicuramente la Commissione darà una proroga lunga per l’uscita del capitale del Mef vista anche la situazione di incertezza legata alla guerra in Ucraina.  

Passiamo a un altro dossier. La mossa di Crédit Agricole Italia su Banco Bpm l’ha colta di sorpresa o se l’aspettava alla luce di qualche indiscrezione che riferiva di incontri tra i due ceo, Giuseppe Castagna e Giampiero Maioli?

In realtà l’acquisto di Crédit Agricole Italia ha colto di sorpresa tutti, anche il mercato. Non era un movimento atteso. È clamoroso che con il 9,18% Cai sia adesso l’azionista di maggioranza relativa, il secondo è al 5% circa. È un esempio di quello che vuol dire non avere un azionariato stabile. Qui siamo nel caso di una public company e queste incursioni possono capitare. Un azionariato stabile può consentire al management di lavorare senza l’affanno della trimestrale.

Si aspetta altre mosse da Crédit Agricole Italia?

L’attivismo di Cai per il momento non mi sembra che possa portare ad altro, vista anche la freddezza con cui è stata accolta questa acquisizione. Sembra una campagna di sfiducia nei confronti del socio francese. Credo che non ci saranno al momento altre azioni di Cai, che sta digerendo le acquisizioni già fatte come il Credito Valtellinese, ma non sono da escludere evoluzioni. Comunque, insisto: questa frammentazione del capitale crea molta turbolenza e non credo porti bene ai soci delle banche, al sistema bancario e a quello che il sistema bancario dovrebbe produrre per il Paese.

Le banche stanno rendendo note le prime trimestrali. Per alcuni istituti c’è la mina Russia. 

Le trimestrali stanno andando bene e andranno bene anche in futuro, anche in ragione degli aumenti dei tassi di interesse. C’è una rincorsa a curare l’interesse degli azionisti: è quasi un’ossessione per i buy back e la distribuzione dei dividendi. I conti delle banche stanno andando bene nonostante il quadro macro complesso.

Entro l’anno si concluderà l’acquisizione di Banca Carige da parte di Bper. Possiamo considerare la banca ligure fuori dal pericolo?

Carige è salva. Bper sta aspettando le autorizzazioni. C’erano delle marginali sovrapposizioni ma si sta lavorando per risolvere il problema. Carige ha avuto lo stesso problema di Mps perché l’Ue ha puntato esclusivamente a ridurre i costi. In 10 anni Carige ha ridotto le sue dimensioni alla metà perché senza capitale una banca non riesce a fare crediti. Adesso è una banca ripulita. L’acquisizione da parte di Bper è stata importante e di buon senso. Entro maggio si dovrebbe chiudere l’iter autorizzativo e la fusione si completerà probabilmente entro l’anno. Procede tutto secondo i piani.

Le fusioni bancarie e la politica di riduzione dei costi hanno portato alla chiusura di molti sportelli nei piccoli comuni. La desertificazione bancaria può rappresentare un vero problema per alcuni territori. Come si può intervenire?

La desertificazione bancaria è un problema economico e sociale. Non è un problema solo del Sud. Il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, ricorda sempre che le banche sono imprese. È vero, ma le banche esercitano una funzione sociale insostituibile. Serve un trade off: è indispensabile un intervento della politica perché è necessario avere banche sul territorio per sostenere le imprese, evitando i rischi connessi all’usura e alla criminalità organizzata. La presenza di banche sul territorio può inoltre aiutare la transizione digitale su cui punta il Pnrr. Nonostante la spinta arrivata dalla pandemia, l’Italia è al 25esimo posto per competenze digitali sui 27 stati membri. La digitalizzazione è un mezzo e non un fine. Bisogna gestite la trasformazione digitale del Paese.

A metà aprile è stato confermato segretario generale di First Cisl per altri 3 anni. Quali sono le priorità per questo nuovo mandato?

Il titolo del congresso era “La partecipazione genera valore”. Uno dei punti cardini del mio mandato sarà questo. A me preoccupa il tema del cost/income delle banche. Ad esempio nel primo trimestre dell’anno in Intesa Sanpaolo e Unicredit è calato sotto il 50%. Nel 1° trimestre il cost/income di Intesa era al 46,3%, quello di Unicredit è al 44,2% per la divisione italiana. Le due banche sono, tra i primi 12 gruppi Ue, quelle che hanno un cost/income inferiore rispetto alla media, che è del 58%. Noi vogliamo salari adeguati alla ricchezza che produciamo. Inoltre chiediamo di partecipare anche finanziariamente al capitale di rischio, in modo volontario, ovviamente. Questo è un tema identitario della Cisl; certo per la sua concreta applicazione è decisiva la condivisione degli altri sindacati. Sarebbe un salto importante per l’Italia, il paese non ho sperimentato finora, a differenza di Germania e Francia, forme partecipative dei lavoratori. Noi vorremmo mettere insieme il modello tedesco e francese: salari adeguati alla ricchezza che produciamo, partecipazione dei lavoratori sia finanziaria che decisionale.

Durante il congresso ha lanciato anche una proposta per mobilitare il risparmio degli italiani indirizzandolo verso l’economia reale. Ce ne può parlare?

Ho lanciato la proposta di un Fondo nazionale di investimento nell’economia reale gestita con un partenariato pubblico-privato. Un partenariato in cui le banche e le assicurazioni hanno un ruolo perché conoscono il territorio e hanno informazioni che possono essere determinanti nella scelta dei soggetti cui indirizzare le risorse. Per indirizzare soldi in questo Fondo è necessario incentivare i risparmiatori. Quindi bisogna proteggere integralmente il capitale con determinati limiti di ammontare e di tempo e, al contempo, incentivare le banche ad adottare modelli di servizio diversi rispetto agli attuali. I circa 1.200 miliardi delle famiglie depositati nelle banche sono una risorsa per rimettere in moto il Paese. 

È in discussione il rinnovo del contratto Ania. Come procede la trattativa? 

Siamo partiti da poco. Il contratto manca da molto tempo, ma è ragionevole attendersi uno sviluppo positivo prima dell’estate.