Mps, Colombani, subito l’aumento di capitale, il governo dica no a nuovi tagli

Gli utili di Mps continuano a crescere, la banca è in anticipo sugli obiettivi del piano strategico. Migliora la situazione dei rischi legali e la qualità del credito. Gli stress test sono già in soffitta. Colombani: “Bruxelles non chieda rimedi compensativi. Per il futuro servono investitori pazienti”

Nel 2021 Banca Monte dei Paschi di Siena tornerà in utile, in anticipo di un anno rispetto a quanto previsto dal piano strategico presentato a fine 2020, che per quest’anno prevedeva una perdita e per il 2022 un sostanziale pareggio di bilancio. Ma il risultato al 30 settembre, che vede l’utile a 388 milioni, mostra chiaramente che il quadro di riferimento è cambiato. Potrebbe venire raggiunto anche il target per il 2024, che è di 454 milioni. La crescita dell’utile è dovuta all’aumento dei ricavi, alla riduzione dei costi avvenuta negli anni precedenti e all’abbattimento delle perdite sui crediti a seguito del deciso miglioramento della qualità del portafoglio crediti. Tutti elementi “ordinari” e ricorrenti, su cui cioè si può fare affidamento anche per i prossimi esercizi, tanto più in uno scenario macroeconomico decisamente favorevole.

Non sono state considerate adeguatamente le potenzialità della banca, anche in relazione alla necessità di recuperare una grossa quota di mercato sui crediti alla clientela per un vero rilancio produttivo e reddituale della banca.

Stress test già nel dimenticatoio

Negli ultimi mesi la banca ha dovuto fronteggiare l’impatto negativo degli stress test pubblicati il 30 luglio. Occorre quindi inquadrare le distanze tra queste previsioni e le risultanze economico-patrimoniali al 30 settembre. È opportuno concentrare l’analisi sullo scenario base e trascurare quello avverso, ormai del tutto superato dai fatti.

Lo stress test indicava in soli 28 mln l’utile a fine 2021, sottovalutando la capacità di Mps di generare e di incrementare i ricavi operativi. Il livello di patrimonializzazione era previsto in peggioramento: il Cet1 ratio transitional sarebbe dovuto scendere dal 12,13% all’11,23% mentre invece si è mosso nella direzione opposta aumentando al 12,8% al 30 settembre 2021.

Va inoltre rilevato l’incremento di ulteriori 9 punti base del Cet1 ratio per effetto della vendita delle azioni proprie, intervenuta il 4 ottobre 2021. L’aspetto più improbabile evidenziato dagli stress test scenario base riguarda tuttavia gli esercizi futuri: nel 2024 è previsto infatti il ritorno in perdita di esercizio e una discesa del Cet1 ratio fino al 9,3%. Infatti nella determinazione degli stress test non è stata considerata la tendenza positiva in atto già da due trimestri, testimoniata dall’incremento dei ricavi operativi, minor peso delle svalutazioni dei crediti e utili di esercizio significativi.

Rischi legali in riduzione

La questione dei rischi legali è stata presentata come un macigno insostenibile per il riequilibrio patrimoniale di Mps. Poi a fine luglio è intervenuta l’intesa con la Fondazione Mps, che potrebbe condurre a una riduzione da 10 a 6 miliardi del volume del contenzioso legale e delle richieste risarcitorie stragiudiziali. Nella documentazione pubblicata sui risultati del terzo trimestre viene evidenziato che la parte del contenzioso legale classificata come “rischio probabile”, con un petitum pari a 2,2 mld, trova una copertura da accantonamenti effettuati pari al 45% e che complessivamente la banca ha consolidato una “copertura del rischio legale ai massimi livelli tra le principali banche italiane”.

A riscontro di questa migliorata condizione si registra un abbattimento degli accantonamenti al fondo rischi ed oneri nei primi 9 mesi di quest’anno: 66 mln contro i 768 del corrispondente periodo dello scorso anno, proprio per i minori accantonamenti per i rischi legali. Questo abbattimento del flusso di accantonamenti al fondo rischi ed oneri indica una valutazione di adeguatezza del presidio contabile dei rischi legali, che quindi non appaiono costituire un fattore capace di minacciare la stabilità patrimoniale del gruppo.

È vero che i rischi operativi, costituiti per larga parte dai rischi legali, incidono sulle attività ponderate per il rischio in modo significativo e superiore a quanto si registra per gli altri principali gruppi. Al 30 settembre 2021 il rischio operativo quantificato in 11,3 mld incide per 23,5% del totale delle Rwa. Ma da quanto riportato nel resoconto intermedio si evince che questi 11,3 mld non sono stati ancora ridotti dell’impatto dell’accordo transattivo con la Fondazione Mps, perfezionato il 19 ottobre 2021, con la rinuncia alla richiesta risarcitoria stragiudiziale di 3,8 mld.

Ricapitalizzazione necessaria per rilanciare il credito

L’aumento dei ricavi al 30 settembre 2021 è caratterizzato dal forte incremento delle commissioni da servizi (+ 6%), che lo stress test prevedeva invece stabili rispetto al 2020. Nei primi nove mesi del 2021 le commissioni superano 1,1 mld: un dato che, tendenzialmente, fa ritenere probabile che a fine 2021 venga oltrepassato l’obiettivo di 1,5 mld fissato nel piano strategico per il 2022. Queste commissioni provengono soprattutto dall’attività di consulenza sugli investimenti finanziari della clientela attraverso il collocamento di prodotti di risparmio gestito. Per l’attività di gestione del risparmio l’incremento delle commissioni è stato pari al 19,5%. Le commissioni derivanti da nuovi collocamenti sono aumentate del 37,6%. Il volume di risparmio gestito è aumentato del 6,7% ,cioè di circa 4 mld. Di questi 2,7 mld provengono da nuovi collocamenti. Il volume del risparmio gestito al 30 settembre è arrivato a 64,4 mld, piuttosto vicino al target di piano fissato per il 2022 (65 mld). Considerata la competizione che caratterizza questo ambito operativo i risultati che si stanno consolidando dimostrano che la banca esprime una forza attrattiva nei confronti della clientela, un valore sul quale investire per ottenere ulteriori aumenti dei ricavi.

Sul fronte degli interessi netti permane il segno meno, però non mancano segnali positivi: al 30 settembre 2021 la riduzione del margine di interesse praticamente si azzera se si neutralizzano gli effetti della cessione dei crediti deteriorati avvenuta a fine 2020. Negli ultimi due trimestri si è verificata un’inversione di tendenza (+ 9% nel secondo e + 2% nel terzo), nonostante la ricomposizione del portafoglio crediti con un maggiore peso della componente a medio-lungo termine, che comprende anche i crediti assistiti da garanzia pubblica. La riduzione del costo della raccolta e il contributo positivo riveniente dall’accesso alle aste Tltro3 potranno consentire ulteriori incrementi. Anche il piano per l’internalizzazione del credito al consumo costituisce un’opportunità concreta per contributi addizionali al margine di interesse. Un impatto favorevole è atteso inoltre dal graduale rialzo dei tassi di interesse su cui ci sono aspettative concrete per i prossimi anni.

Tuttavia per recuperare ricavi per interessi comparabili a quelli delle altre banche Mps dovrà essere messa nelle condizioni di sviluppare i crediti alla clientela. Infatti restano rilevanti, rispetto ai competitor, le differenze sull’incidenza del margine di interesse rispetto al totale dell’attivo.

Alla base del gap negativo sui finanziamenti alla clientela per dipendente va evidenziata la riduzione dei finanziamenti netti a clientela subita da Mps nel periodo 2016-2020, pari a oltre 24 mld ovvero il 22,5% del volume dei crediti netti detenuti nel 2016. Su questo fronte occorrono piani e programmi convincenti e sostenibili. Per ipotizzare gli effetti di un recupero della quota di mercato dei crediti alla clientela consideriamo che un incremento di 20 mld di crediti alla clientela, tenendo conto dell’ultimo spread sulle operazioni con clientela pubblicato nella presentazione dei risultati al 30 settembre, potrebbe generare un flusso aggiuntivo di interessi netti superiore ai 300 mln. Con questo incremento del volume dei crediti il valore dei crediti per dipendente raggiungerebbe 4,75 mln, un livello intermedio tra quelli attuali di Banco Bpm e di Bper.

La qualità del credito non è più un punto di debolezza

Per anni l’incidenza dei crediti deteriorati netti ha superato il 10% del totale dei crediti. Nel 2019 era ancora al 6,8%, quindi ancora molto al di sopra di quella dei concorrenti. Al 30 settembre è scesa invece al 2,8%, sebbene in leggero aumento rispetto a fine 2020 a causa essenzialmente dell’impatto di fattori regolamentari (Nuova definizione di default). Nella presentazione agli analisti viene riportato un Npl ratio netto al 2,3%, riferito al 1 ottobre 2021, data in cui è avvenuta la riclassificazione da inadempienza probabile a performing di un’importante esposizione. È utile porre l’attenzione sui seguenti dettagli:

  • il flusso dei nuovi crediti deteriorati nel 2021 incide solo per lo 0,8% sul totale dei crediti vivi (default rate), misura inferiore ai dati di sistema;
  • i crediti vivi classificati come stage 2 nei 9 mesi del 2021 si sono ridotti del 22% e adesso rappresentano il 14,8% del valore netto dei crediti non deteriorati, sostanzialmente allineandosi all’incidenza media calcolata sull’aggregato dei primi cinque gruppi (14,3%), tra i quali solo Banco Bpm registra un valore significativamente migliore (10,9%);
  • le moratorie seguono un fisiologico percorso di rientro senza originare significativi flussi di crediti deteriorati: al 30 settembre sono solo il 3,9% dei crediti alla clientela (erano oltre il 14% a fine 2020) ed hanno registrato un “default rate” dell’1,7%; i dati sulle moratorie non si discostano da quelli degli altri maggiori gruppi bancari italiani;
  • le sofferenze nette, cioè la componente dei crediti deteriorati di più problematico recupero, al 30 settembre 2021 rappresentano un quarto dei crediti deteriorati, mentre al 30 settembre 2020 pesavano per il 60%.

Una riflessione, infine, va fatta sulla qualità dei crediti a maggior rischio. Nel Resoconto intermedio di gestione al 30 settembre 2021 viene specificato che nell’ultimo trimestre su alcune posizioni significative si è determinato, a seguito di favorevoli eventi societari, un miglioramento del profilo di rischio. Ciò ha comportato il recupero a conto economico di 130 mln per precedenti svalutazioni.

Sulla base di questa migliore qualità del credito è quindi difficile ipotizzare future perdite di bilancio.

Taglio dei costi, una strada senza uscita

Tra il 2016 e il 2020 è stato imposto un taglio dei costi molto più pesante rispetto a ciò che è avvenuto nelle altre banche. In questo periodo i costi operativi si sono ridotti di oltre il 15%: il numero delle filiali è calato del 30% e il personale è stato ridotto del 16% (oltre 4000 unità). Il totale di sistema del numero dei dipendenti registra una diminuzione percentuale della metà (- 8%). Nello stesso arco temporale interessato dal “Restructury plan” del 5 luglio 2017 i ricavi operativi hanno avuto un crollo del 32%, riducendosi in misura doppia rispetto ai costi operativi, e sono passati da 4,28 mld del 2016 a 2,92 mld del 2020. È evidente che chiusure di filiali e tagli occupazionali, spinti oltre il livello di sostenibilità, hanno contributo a determinare questo impatto. Adesso che la banca si è avviata su un percorso di ripresa e il quadro macroeconomico mostra concrete opportunità di sviluppo, appare quindi controproducente caratterizzare il piano di ricapitalizzazione con una strategia nuovamente fondata sul taglio dei costi.

I costi operativi nel corso dei primi 9 mesi del 2021 ammontano a 1.586 mln, con una ulteriore riduzione del 2% rispetto al corrispondente periodo del 2020. Ciò a fronte di un target di piano di 2.085 mln per il 2022 (praticamente un quarto in più del risultato dei nove mesi 2021).

“No ai rimedi compensativi, lo Stato resti nel capitale il tempo necessario al rilancio”

“Dopo il fallimento della trattativa tra Mef e Unicredit è fondamentale – sostiene il segretario generale di First Cisl, Riccardo Colombani – che lo Stato resti nel capitale il tempo necessario a rientrare del suo investimento. L’andamento dei conti mostra che Mps è una banca vitale, in grado di recuperare quote di mercato nel credito, condizione necessaria per divenire più competitiva e costruire le condizioni di una futura privatizzazione che non penalizzi l’occupazione e l’economia dei territori.

A tal fine – prosegue il leader dei bancari della Cisl – andrebbe studiata l’apertura a investitori di lungo periodo in grado di accompagnare la banca nel percorso di rilancio e crescita già intrapreso. Un percorso che non va compromesso da nuovi tagli, che finirebbero per annullare gli effetti positivi di un aumento di capitale che va effettuato nel più breve tempo possibile.

Per questo – conclude Colombani – i rimedi compensativi che la Commissione europea potrebbe chiedere per autorizzare il Tesoro a rimanere nel capitale rappresentano un pericolo che il governo deve scongiurare. L’obiettivo dell’Europa non può essere quello di sanzionare in modo burocratico, ma di favorire una crescita sostenibile e prolungata. L’ossessiva riduzione dei costi operativi rischia infatti di produrre gli stessi effetti già osservati tra il 2016 e il 2020”.

 

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