“La nostra storia ci dovrebbe insegnare che la democrazia è un bene delicato, fragile, deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, attraverso la responsabilità di tutto un popolo”. Come si legge nel sito della Cisl, il segretario generale della Cisl Luigi Sbarra cita Tina Anselmi nel suo discorso dal palco della manifestazione “Mai più fascismi” indetta da Cgil Cisl Uil che si è si volta oggi pomeriggio in una gremitissima Piazza San Giovanni, a Roma.
“È per questo – prosegue Sbarra – che la guardia non l’abbassiamo e che abbiamo voluto chiamare in piazza il popolo del lavoro. Perché da qui oggi, e da domani nelle fabbriche, nei campi, in ogni luogo di lavoro, nelle scuole e nelle università, parte un messaggio che è l’esatto contrario, e molto più potente, di quello che prova a lanciare chi professa odio ed egoismo, discriminazione e violenza: la democrazia sarà sempre più forte dei sui nemici”.
Oltre al leader della Cisl dal palco si sono alternati gli interventi di una pensionata della Uil, di una lavoratrice della sanità delegata Cgil, del segretario generale della Uil Pierpaolo Bombardieri, di una lavoratrice del commercio delegata Cisl, del segretario generale della Ces Luca Visentini e infine del segretario generale della Cgil Maurizio Landini per le conclusioni. Una manifestazione imponente quella che ha animato oggi le strade della capitale per poi confluire nella storica piazza delle mobilitazioni dei lavoratori. Tantissime le lavoratrici e i lavoratori, le pensionate e i pensionati e tanti i cittadini che hanno risposto all’appello delle tre organizzazioni confederali per ribadire con forza ‘Mai più fascismi: per il lavoro, la partecipazione, la democrazia’. Circa 800 i pullman arrivati da tutta Italia, 10 i treni speciali partiti da ogni angolo del paese.
“Tante volte le nostre bandiere, le bandiere di Cgil, Cisl e Uil, si sono ritrovate a sventolare insieme a Piazza San Giovanni”, ha proseguito Sbarra ricordando alcuni “momenti difficili” della storia del nostro Paese”: “È successo in momenti difficili e drammatici della nostra storia. Come quel terribile 16 marzo del 1978, il giorno del rapimento di Aldo Moro e dell’uccisione della sua scorta da parte delle Brigate Rosse. Quando il Sindacato si pose immediatamente come insormontabile baluardo di fronte all’attacco del terrorismo al cuore delle istituzioni democratiche. Quel tempo buio, gli anni di piombo e quelli della tensione, sono lontani e per fortuna ogni paragone sarebbe improprio. Ma questo non vuol certo dire che la guardia possa essere abbassata. Quel che è accaduto sabato scorso, l’attacco di stampo squadristico alla sede della Cgil, il fatto che il ritorno pianificato e cercato della violenza abbia voluto colpire proprio il sindacato e il mondo del lavoro, imponeva una sola scelta. Essere qui, uniti, contro tutti i fascismi. Qui, insieme, con le nostre idee e le nostre proposte.
Spiace per chi dissente, ce ne faremo una ragione. Perché il sindacato confederale è questo: valori e progetto. Perché difesa della democrazia, lavoro e crescita sono facce della stessa medaglia. Siamo qui per questo, per respingere con fermezza ogni tentativo di intimidazione e incalzare Governo e imprese su proposte concrete. Per togliere qualsiasi illusione a chi ha in mente disegni di natura eversiva, strumentalizzare e incendiare le paure. Questo stanno cercando di fare movimenti di chiaro stampo neofascista, Che hanno come loro bersaglio ideologico e politico la democrazia, né più né meno: la democrazia liberale, “occidentale” ed “europea”. Con i suoi valori di apertura e tolleranza, di solidarietà, inclusione, integrazione multiculturale. Valori intollerabili per chi professa l’incultura dei totalitarismi, dell’autocrazia, della xenofobia.
E fa poi riferimento agli attacchi vergognosi di ieri a Liliana Segre nel corso di una manifestazione a Bologna: “Solo ieri gli ultimi attacchi vergognosi a Liliana Segre. Oggi, qui, nel giorno in cui ricorre la ferita inguaribile del rastrellamento del ghetto di Roma, inviamo alla senatrice la più forte e profonda vicinanza e solidarietà. Sono forze eversive, che si pongono al di fuori del consesso democratico, della Costituzione e della legge. Il segno è passato nel momento in cui, nel modo più eclatante e vergognoso, come è successo sabato scorso, la violenza è stata eretta a metodo politico. È per questo che noi ribadiamo la nostra richiesta: le istituzioni, il Governo, intervengano. Si proceda al loro scioglimento. L’arco parlamentare e costituzionale sia unito in questo. Un passo doveroso, anche se sappiamo che potrà non essere definitivo.
Altri continueranno e cercheranno di portare avanti idee e posizioni simili. E però sappiano, loro e tutti gli estremisti e i professionisti della destabilizzazione, che andranno a sbattere contro un muro, quello del sindacato: quello delle milioni di lavoratrici e di lavoratori, di pensionate e di pensionati, che il sindacato rappresenta. È l’unico muro che ci piace, perché serve ad unire e non a separare, perché è presidio di democrazia e di libertà. La libertà vera, che non significa poter fare ciò che si vuole, senza curarsi degli altri. Che si accompagna invece al principio di responsabilità e permette di realizzarsi come persona all’interno della comunità in cui si vive e si lavora, attraverso la partecipazione e la solidarietà.
Questa è la libertà per cui ci siamo sempre battuti, sindacato e lavoratori. Questa è la libertà che ci hanno lasciato in eredita i nostri anziani, e oggi vaccinarsi è un atto di riconoscenza, per salvaguardare le vite soprattutto di chi è nato quando la libertà non c’era e ci ha consegnato un Paese in cui la libertà c’è, perfino quella di non vaccinarsi. Questa è la libertà contro cui già gli ‘antenati’ degli squadristi di oggi, che all’inizio degli anni venti del secolo scorso assaltavano sedi sindacali, circoli operai e leghe contadine, prima che il regime completasse l’opera, togliendo la libertà agli italiani. Allora sì che tutto era deciso e imposto dall’alto, dalla dittatura: a quale partito aderire, quali sindacati potessero esistere, quali giornali e quali libri si potessero stampare e leggere.
Ma deve essere chiaro: i conti con il fascismo sono stati chiusi, una volta per tutte, il 25 aprile del 1945. La Resistenza e le tante anime dell’antifascismo sono un valore, un patrimonio irrinunciabile, etico ed “esistenziale” per la Repubblica: sono il luogo e il momento in cui le nostre istituzioni, la nostra unità nazionale, affondano le loro radici. La democrazia sarà sempre più forte dei suoi nemici. Ha pilastri formidabili che nessun estremismo riuscirà a scalfire: libertà, diritti, pluralismo, libera informazione e lavoro, soprattutto lavoro. Perché il lavoro è partecipazione, Il lavoro è emancipazione, è coscienza di sé, è cittadinanza. Il lavoro, in questo lunghissimo e difficile anno e mezzo, per l’Italia ha rappresentato la cura, ha alleviato il male.
Ora, e nell’immediato futuro, il lavoro può e deve significare la guarigione. L’Italia ripartirà solo così, solo con il lavoro. Tornerà a crescere solo seguendo un modello di sviluppo nuovo, solo mettendo al centro la persona e creando lavoro dignitoso e di qualità. È in questo modo che si potrà spezzare la pericolosa saldatura tra il disagio sociale e l’eversione che lo strumentalizza. Perché disagio e malessere ci sono, guai a dimenticarlo. E vanno ascoltati, non ignorati o strumentalizzati. Covano sotto la cenere del 6% di Pil atteso, del ‘rimbalzo’ e di una ripartenza che però, se tutto andrà bene, ci farà tornare alla situazione pre-crisi solo alla fine del 2022.
Non sarà una corrente impetuosa a riportarci in acque più tranquille. Servirà invece un’azione tenace e determinata, serviranno riforme e investimenti concertati. Un campo largo di responsabilità che produca risultati concreti e prosciughi gli stagni in cui si abbeverano le “bestie” degli estremismi. Se minacciano i sindacalisti, e si attaccano i luoghi e le case del lavoro è perché sanno di colpire il motore fondamentale del dialogo sociale, è perché sanno che il sindacato costruisce cultura della partecipazione, è perché hanno capito che la via d’uscita dalla crisi passa dal mondo del lavoro, dalla sua capacità di costruire ogni giorno coesione e pace sociale. Non ci facciamo intimidire. Non indietreggeremo di un metro. Se lo pensano, sbagliano di grosso. Continueremo con decisione nel cammino che abbiamo percorso in questi mesi. Continueremo a cucire gli strappi, a rinsaldare il clima di cooperazione, a promuovere e praticare il ‘coraggio della responsabilità’.
Avanti, allora, allargando in modo capillare la campagna di vaccinazione, che ci porterà fuori dal tunnel. Cosa si aspetta a mettere in campo un provvedimento che estenda a tutti il dovere di immunizzarsi? Grave che Governo e Parlamento non l’abbiano ancora fatto per mera convenienza politica. Per nascondere evidenti contraddizioni nella maggioranza. Grave che per non affrontare queste contraddizioni si siano scaricate per intero tensioni, conflitti, divisioni sul mondo del lavoro. Così si rischia di trasformare i luoghi di lavoro in trincee. Serve un sussulto di responsabilità da parte del potere pubblico. Quella responsabilità che il mondo del lavoro ha espresso ogni giorno. Lo abbiamo visto ancora ieri, nella prima giornata del green pass esteso nei luoghi di lavoro: più di qualcuno ha cercato di soffiare sul fuoco. Lavoratrici e lavoratori hanno risposto dando l’ennesima prova di senso civico. Il vaccino è un atto civile e morale. È ora che diventi anche un dovere legale, come è stato tante volte in passato, come prevede la nostra Costituzione.
La salute pubblica è la base da cui rilanceremo il benessere economico e sociale del Paese. Possiamo e dobbiamo farlo costruendo una governance partecipata del Pnrr, con l’avvio del confronto sulla prossima manovra. Dando agli investimenti forti condizionalità sociali e occupazionali, per creare lavoro di qualità, ben formato, retribuito e contrattualizzato, specie giovanile e femminile. Definendo una rete di tutele che protegga tutti e quindi ammortizzatori universali, mutualistici, solidali e inclusivi. Contrastando delocalizzazioni selvagge e precariato, lavoro nero e ogni forma di illegalità e sfruttamento. Ponendo fine alla drammatica sequenza delle morti sul lavoro. Più di 1.500 le morti nel 2020, il 30% in più rispetto all’anno prima, in mesi in cui si è lavorato pochissimo. Servono sanzioni più severe, più ispezioni, più coordinamento, applicazione piena dei contratti. Ieri, con l’approvazione del Decreto Fiscale, un primo passo, ma il cammino è ancora lungo.
E poi ancora dobbiamo combattere le disparità di genere, sociali e territoriali, riscattare allo sviluppo il Mezzogiorno, rilanciare le politiche sociali, quelle per la famiglia e per la non autosufficienza, redistribuire il carico fiscale alleggerendo i più deboli, non penalizzare sempre i ‘soliti noti’, lavoratori dipendenti e i pensionati. Combattendo lo scandalo di un evasione fiscale che ogni anno costa al Paese metà del Pnrr, ne impedisce la crescita, ne sacrifica i servizi e diffonde sfiducia, scoramento, diffidenza: più di 100 miliardi ogni anno, non possiamo più consentirlo.
Investire su sanità e scuola, su formazione e riqualificazione, su un grande piano nazionale per le competenze. Sbloccare le risorse in innovazione e ricerca, infrastrutture materiali, digitali e sociali. Transizione ecologica e green economy. Dare alla previdenza un volto più sostenibile, garantendo un’anzianità dignitosa e il turnover nei luoghi di lavoro. Tutto questo sapendo che ogni passo in avanti che faremo, ogni riforma che andrà in porto, anche a questo servirà: a ricacciare nella soffitta della storia idee e metodi che non possono trovare spazio nel futuro di un Paese democratico.
Per uscire dalla crisi manca ancora un tratto di strada, il più difficile, il più importante, quello in cui non sono permessi errori. Riusciremo se lo percorreremo insieme, caro Governo: insieme! Senza fasi alterne, senza stop and go. Con un nuovo metodo, autenticamente partecipativo, con un dialogo sociale strutturato,che non si limiti a incontri puramente informativi. Con investimenti e progetti qualificati da vera e responsabile concertazione sociale. Con una politica industriale forte, non solo difensiva, che rilanci i nostri settori strategici, risponda alle tante crisi aziendali, salvaguardi e rilanci produzioni e occupazione. Con nuove reti integrate di tutela che non lascino nessuno senza reddito e formazione. Assicurando una prospettiva ai giovani e una terza età dignitosa a chi ha dato il proprio contributo al mondo del lavoro. Insieme! Lo diciamo con forza anche al mondo delle imprese.
Dobbiamo costruire nuovi e forti affidamenti sociali, rimettere al centro le relazioni industriali, rinnovare tutti i contratti pubblici e privati, innalzare i salari, costruire nuovi diritti e una nuova organizzazione del lavoro, spingere sul pedale della partecipazione. Quella partecipazione che è oggi la vera sfida del nostro tempo. È arrivato il momento di dare vita a una grande riforma che dia spessore e prospettiva alla democrazia economica nel nostro Paese. È il tempo di una svolta che dia attuazione all’articolo 46 della costituzione e protagonismo alle lavoratrici e ai lavoratori nelle scelte delle aziende pubbliche e private. Un nuovo modello, sì, che faccia scorrere la linfa vitale della società e del lavoro nelle strategie economiche del Paese.
Investimenti, lavoro, coesione, partecipazione. Se non ora, quando? Questo è il momento. Qui sta il Patto che vogliamo: un grande accordo tra sindacato, istituzioni e impresa. Il ritrovarsi in un campo di concordia che sappia riallacciare i fili della coesione, portare avanti innovazioni, realizzare gli investimenti dando al processo di cambiamento equità e stabilità. Proprio nel momento in cui la barbarie e l’estremismo mostrano in modo plateale il loro volto intollerante, dobbiamo lanciare un messaggio di fiducia nella forza e nella solidità della nostra società civile. Governo e imprese raccolgano questa sfida, senza tentennamenti e tatticismi. Diano una scossa positiva al domani e costruiscano con noi un orizzonte nuovo di crescita condivisa. È così che si coltiva il futuro. Procediamo, dunque, senza paura, avendo a cuore, su tutto, il bene comune del Paese: verso un nuovo Patto sociale inclusivo e sostenibile che restituisca sguardo lungo alla speranza. Viva Cgil Cisl e Uil. Viva il sindacato italiano!