Il nuovo corso dell’economia italiana non può che partire dagli investimenti pubblici. Investimenti che da soli non basteranno però a curare il malato. Le risorse stanziate con il Recovery Fund da qui al 2026 saranno senz’altro fondamentali e la composizione del nuovo governo sembra garantire, sotto quest’aspetto, una guida sicura.
Tuttavia le dimensioni della voragine scavata dalla pandemia sono tali da scoraggiare facili ottimismi. Nel 2020 il Pil ha registrato una caduta dell’8,9%. Per quest’anno le stime della Commissione Ue parlano di una ripresa blanda (+ 3,4%) e differenziata tra regioni, più lenta al Sud rispetto al Nord. Va detto che numeri simili si registrano nelle principali economie europee, ma a differenza dei nostri partner l’Italia ha alle spalle una lunga stagione – circa vent’anni – di mancata crescita. Questa stagnazione prolungata ha avuto come effetto l’accrescersi delle disuguaglianze, che ora l’emergenza Covid-19 rischia di far esplodere.
È per impedire un decorso drammatico della crisi che First Cisl ha messo in campo una proposta articolata per destinare parte del risparmio privato all’investimento nell’economia reale, nella consapevolezza che la ripresa di cui il Paese ha bisogno è una ripresa forte determinata da uno shock da investimenti. Primo obiettivo è appunto contrastare le disuguaglianze combattendone la causa principale, vale a dire – come ha spiegato Thomas Piketty – la crescita costantemente superiore del tasso di rendimento del capitale rispetto al tasso di crescita dell’economia. In altri termini, è necessario interrompere il dominio della rendita finanziaria sulla crescita economia e l’occupazione.
Le idee lanciate da First Cisl in occasione dell’iniziativa che si è svolta il 15 dicembre scorso (“Il risparmio degli italiani per l’economia del Paese – un nuovo modello di consulenza”) hanno dato il là ad un dibattito che si è allargato nelle ultime settimane ai principali quotidiani nazionali, con interventi di importanti osservatori e attori qualificati del sistema finanziario.
Punto di partenza è la rapida crescita (+ 11% nel 2020 secondo Bankitalia) delle somme depositate sui conti correnti bancari e postali, una massa di 1.100 miliardi che può fare la differenza se indirizzata, almeno in parte, verso l’economia reale ed in particolare alla ricapitalizzazione delle Pmi. Per raggiungere questo obiettivo secondo First Cisl è necessaria la protezione degli investimenti mediante garanzie statali e incentivi fiscali alle banche. In questo modo si supererebbe la tradizionale avversione al rischio dei risparmiatori italiani e le banche avrebbero un ruolo centrale nella politica economica.
Di un approccio di questo tipo reca traccia evidente l’articolo che, a metà febbraio, Ferruccio De Bortoli ha dedicato al tema su L’Economia, settimanale economico del Corriere della Sera. Si tratta di un’ampia rassegna di opinioni raccolte tra esperti, dalla quale emerge proprio l’esigenza segnalata a più riprese da First Cisl, ovvero quella di indirizzare il risparmio verso il mondo produttivo allargando il numero degli strumenti finanziari mirati a tal fine e garantendo in varie forme adeguata protezione agli investimenti.
Sempre su L’Economia, nell’ultimo numero, è Maurizio Ferrera, editorialista di lungo corso del Corriere, a dare respiro al ragionamento, dando carattere maggiormente sistemico all’utilizzo del risparmio e spingendosi ad immaginare la creazione di una partnership pubblico – privato mirata all’investimento in settori strategici.
Si tratta evidentemente di una proposta che nell’ispirazione di fondo ricalca quella avanzata dal segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani, che ha auspicato la nascita di un “Fondo deputato ad investire nell’economia reale” coordinato dallo Stato. Lo Stato assumerebbe in questo modo il ruolo di regista, magari affidandosi ad una realtà pubblica con già acquisite competenze e con il coinvolgimento dei diversi attori privati (banche, sgr, ecc.) oltre ai corpi intermedi come i sindacati, che a loro volta potrebbero svolgere, attraverso un osservatorio permanente ad hoc, un reale ruolo di controllo e stimolo”.
Si chiede infatti Ferrera: “Perché non pensare a una iniziativa in grande stile, orchestrata da una partnership di attori pubblici e privati, che attragga quote consistenti di risparmi da impiegare sui territori per la transizione verde e quella digitale? Molte banche hanno già accumulato esperienza in questo settore, grazie all’uso dei criteri ESG+H (sostenibilità ambientale, sodale, di governance e sanitaria). Ciò che serve ora è un cambio di scala: un ampio e ambizioso progetto. Accompagnato da una vigorosa campagna di comunicazione e sensibilizzazione pubblica”.
Riflessioni di questo tipo rendono evidente che il dibattito sul risparmio privato al servizio dell’economia sta giungendo a maturazione. È importante notare, a questo riguardo, che anche l’Abi ha affrontato il tema a più riprese, sia chiedendo il rilancio dei Pir, con il direttore generale Giovani Sabatini, sia sottolineando, con il presidente Antonio Patuelli, la necessità di immettere queste risorse in un “circolo virtuoso” tra famiglie e imprese.
Quel che manca in queste prese di posizione è una disamina approfondita delle ragioni che rendono gli italiani diffidenti ad investire i propri risparmi e delle soluzioni in grado di invertire questa tendenza. Al centro di tutto, per First Cisl, sta il modello di consulenza, che nella forma attualmente prevalente, quella su base dipendente, si è rivelato non funzionale agli obiettivi.
È su questo punto che bisogna agire innovando in profondità. Il che significa dare impulso al modello di consulenza su base indipendente, l’unico in grado per sua natura di reimpostare in modo più trasparente il rapporto tra banche e clienti, vincendo la ritrosia di questi ultimi verso gli investimenti finanziari.
La consulenza su base indipendente è “un’innovazione contenuta nella Mifid 2, grazie alla quale gli intermediari finanziari in tutta Europa devono dichiarare se la consulenza viene svolta su base indipendente o non indipendente – ha spiegato Colombani in un articolo uscito sull’ultimo numero di Investire – Oggi la stragrande maggioranza degli intermediari finanziari italiani non adotta il nuovo modello di consulenza”. Colombani ha ricordato che la prima implicazione positiva di questo modello consiste “nell’ampia gamma di strumenti finanziari, per recepire il principio cardine della Mifid, quello che prescrive agli intermediari di servire al meglio l’interesse della clientela. Non è una norma di buone intenzioni, può essere concretamente praticata attraverso un investimento in capitale umano, nelle persone che lavorano in banca, con una formazione profonda e autentica, che vada oltre l’addestramento alla vendita dei prodotti emessi dal distributore del servizio di consulenza o emessi da partner commerciali dello stesso”.