Banche sempre più ricche sulla pelle dei bancari, Colombani a Zero Zero News

Bancari addio l’inarrestabile sequenza di esuberi” è il titolo della lunga intervista del web magazine Zero Zero News, diretto da Gianfranco D’Anna, al segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani, che parte dalla recente analisi dell’ufficio studi di First Cisl per illustrare come il digitale c’entri poco nella riduzione dei 66.500 posti di lavoro tra i bancari negli ultimi dieci anni, a cui si aggiunge il crollo degli sportelli.

“In Francia – spiega Colombani – dove l’internet banking viene utilizzato dal 63% della popolazione l’occupazione ha retto (- 3,7%) così come gli sportelli (- 6,8%). È chiaro che si tratta di una scelta precisa”.

“Eppure – scrive il direttore di Zero Zero News Gianfranco D’Anna – secondo l’analisi del sindacato dei bancari della Cisl riguardante le prime cinque banche italiane, Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banco Bpm, Mps e Ubi, in un anno gli utili sono schizzati a più 9 miliardi. Una cifra di guadagni che paradossalmente corrisponde, in negativo, ai 9 mila posti di lavoro in meno dello stesso anno”.

Di seguito il testo integrale dell’intervista al segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani:

Colombani, nel 2020 si arresterà la falcidia dei bancari e degli sportelli?

Nel 2020 andranno smaltiti gli effetti dei piani presentati negli anni precedenti. E’ bene però ricordare che il settore bancario si è dotato di uno strumento, il Fondo di solidarietà, che consente di gestire in modo socialmente responsabile gli esuberi di personale: nessuno viene licenziato e le uscite avvengono solo sul base volontaria. Il problema principale è che le banche hanno deciso di puntare tutto sulla riduzione dei costi anziché sulla ricerca di nuove fonti di ricavo. Il piano industriale di Unicredit è la rappresentazione plastica di questo orientamento: 8 mila esuberi in Europa (circa 6000 in Italia) e chiusura di 500 sportelli; agli azionisti invece andranno 8 miliardi tra dividendi e riacquisto di azioni. E poi si parla di sostenibilità sociale. Dietro questo modo di agire si scorge una cultura ben definita, quella che io chiamo ossessione della trimestrale. In altri termini, i banchieri guardano solo ai risultati di breve periodo, alla massimizzazione del profitto per gli azionisti. Del resto l’ad Jean Pierre Mustier lo ha rivendicato esplicitamente.

Nonostante i risparmi derivanti dal taglio del personale gli istituti di credito non rischiano in prospettiva di perdere depositi e clienti a favore delle cosiddette finanziarie e delle piccole banche locali?

La fuga verso il Fintech è un’ipotesi tutta da verificare. Di sicuro una parte della clientela può esserne attratta. Mi riferisco ad una clientela mediamente giovane, con un buon livello d’istruzione, in grado di accedere facilmente alla tecnologia digitale e di farne un uso altrettanto facile. Ma questo segmento non rappresenta l’insieme del Paese, ne costituisce anzi una minoranza. Lo dimostra chiaramente lo studio sul digital banking che abbiamo presentato da poco. Uno studio che dimostra come in Italia l’accesso ai servizi bancari via internet sia circoscritto ad appena il 34% della popolazione. E che l’ipotesi “più digitale, meno bancari”, alla quale molti credono come a un dogma di fede, è in realtà piuttosto fantasiosa. Basta un rapido confronto con i Paesi più evoluti da questo punto di vista per rendersi conto che lo sviluppo del digitale non comporta necessariamente una contrazione dell’occupazione e degli sportelli. Quanto alle piccole banche, non mi sembrano nella condizione di fare campagna acquisti.

Come si concilia lo sforzo per ridurre i contanti e il fatto che ci sono intere provincie senza sportelli bancari?

Il fenomeno della debancarizzazione si è spinto ormai alla soglia dell’allarme sociale. Sono centinaia i comuni nei quali è impossibile trovare uno sportello. È ovvio che tutto ciò genera disagi per intere comunità, a cominciare dalle persone più deboli, quelle che hanno meno possibilità di muoversi e meno dimestichezza con l’internet banking. Anziani perlopiù, ma non solo, visto che i dati ci dicono che il digitale rappresenta uno scoglio insormontabile anche per tante persone di mezza età con livelli medio – bassi di istruzione. In questi casi le restrizioni all’uso del contante possono comportare disagi. Ma dobbiamo anche tenere conto che, in un paese in cui l’evasione fiscale viaggia sopra i 100 miliardi di euro,  l’utilizzo del contante è spesso la spia dell’illegalità.

Come risponderà la First Cisl agli esuberi e ai tagli selvaggi degli istituti di credito?

Abbiamo detto subito che contro il piano di Unicredit faremo una battaglia durissima: tutte le opzioni sono sul tavolo. Inoltre, e questo vale non solo per Unicredit ma per tutto il sistema bancario, non accetteremo di sederci al tavolo a negoziare sugli esuberi se non saranno previste delle assunzioni. Sul tema occupazione va però fatto un ragionamento più ampio. È evidente che è più facile liberarsi del personale piuttosto che investire in formazione promuovendone la riqualificazione professionale.

Il caso UniCredit rischia di ripercuotersi sulla trattativa per il contratto nazionale?

Se la banca alzerà un muro contro le nostre richieste non si può escludere nulla. Stiamo cercando di portare avanti la trattativa insieme all’Abi con il massimo del senso di responsabilità e spero che dai prossimi incontri il negoziato entri nel vivo. Ci sono stati dei passi avanti, ma restano ancora distanze significative da colmare. Sul salario, prima di tutto: abbiamo chiesto 200 euro di aumento, l’Abi ne ha proposti 135. Per First Cisl è poi di fondamentale importanza che si registri un avanzamento sul fronte delle tutele. In questi anni i lavoratori bancari sono stati esposti a una valanga di procedimenti disciplinari per decisioni che venivano in realtà prese dal top management. Così non si può più andare avanti.