Il Sole 24 Ore, Ccnl banche, Colombani, contratto a tutti i soggetti vigilati

“Il Sole 24 Ore” dedica un ampio servizio alla presentazione delle proposte avanzate dai sindacati del settore del credito per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro. Cristina Casadei firma un articolato servizio dal titolo “Contratto, i bancari: pronti anche alla piazza” evidenziando i punti qualificanti della piattaforma rivendicativa elaborata da Fabi, First-Cisl, Fisac-Cgil, Uilca-Uil e Unisin.

A breve il documento contenente le richieste dei sindacati sarà sottoposto al vaglio dei lavoratori chiamati ad esprimersi al termine di una capillare azione di assemblee che coinvolgerà il territorio nazionale. Poi il confronto si sposterà in Abi entro il 31 maggio.

La piattaforma presentata ai sindacati prevede l’ampliamento dell’area contrattuale, la tutela del posto di lavoro tramite la conferma del Foc (Fondo per l’occupazione), una cabina di regia sui processi di digitalizzazione, un aumento di 200 euro medi mensili (+6,5%) per ogni lavoratore, l’abolizione del salario di ingresso per i giovani, il diritto alla disconnessione, la nonchè la reintegra in caso di licenziamento illegittimo, in deroga alle modifiche apportate dal Jobs Act”.

Sul “Sole 24 Ore” interviene il segretario generale di First Cisl Riccardo Colombani: “Il contratto dei bancari – dice – deve essere applicato a tutti i soggetti vigilati, non solo per fare l’interesse dei lavoratori, ma anche dell’intera economia nazionale”. Il riferimento è all’area contrattuale che, in passato, ha avuto il merito di aver ancorato la categoria al contratto nazionale. “È necessario – prosegue Colombani – rafforzare e ampliare l’ambito di applicazione del contratto e tenere all’interno la gestione degli Npl, per le banche, i bancari, l’economia e il paese. Lo dicono i risultati. Nel 2017 43 miliardi di sofferenze bancarie sono state gestite in house e questo ha consentito di recuperare il 44% delle sofferenze. 33 miliardi di Npl sono invece stati ceduti, con un tasso di recupero del 26%. I numeri dimostrano che la gestione in house frutta molto di più e non ha gli stessi effetti sul territorio e sull’economia”.