Wob, nuova corsa all’oro per le banche centrali

Negli ultimi giorni diverse testate hanno parlato di come si stia verificando una nuova corsa all’oro da parte delle banche centrali di tutto il mondo e delle relative implicazioni.

Marco Sabella sul Corriere della Sera illustra come nel 2018 la domanda globale di oro abbia toccato le 4.345 tonnellate, di cui ben 651 acquistate dalle banche centrali. Si tratterebbe del massimo dal 1971 (anno della fine degli accordi di Bretton Woods) e del 74% in più rispetto al 2017, con una crescita delle quotazioni di oltre il 12% negli ultimi sei mesi. A favorire la corsa all’oro sarebbero state le incertezze geopolitiche, inclusa la Brexit, la volatilità finanziaria e lo stesso prezzo aureo, che ha superato quota 1.300 dollari l’oncia, aggiungendo alla sua appetibilità, oltre alla qualità di bene rifugio, anche quella di bene speculativo in rialzo.

Il giornalista Ettore Livini su la Repubblica riporta la classifica delle riserve auree: Banca d’Italia è quarta con 2.451 tonnellate dietro a Usa (8.133), Germania (3.369) e Fondo Monetario Internazionale (2.814). Alcune banche centrali avrebbero fatto da apripista in questa corsa: prime tra tutte quelle di Russia, Turchia, Kazakistan e Cina, riducendo così le dipendenze delle loro scorte valutarie dal dollaro.

Alessandra Caparello su Wall Street Italia fa notare come la banca centrale turca avrebbe acquistato 18,5 tonnellate d’oro in un anno e quella ungherese sarebbe passata da 3 a 31,5 tonnellate nel giro di poche settimane, sottolineando come tali operazioni siano spinte dalla debolezza del dollaro Usa e dagli effetti del rallentamento dell’economia cinese, determinato dalla guerra dei dazi innescata da Washington, tutti fattori che sembrerebbero annunciare l’avvicinarsi di una nuovo periodo di instabilità.

Qualche settimana fa il vicedirettore de Il Sole 24 ORE Alessandro Plateroti ricordava che delle 2.451 tonnellate di oro della Banca d’Italia, 300 tonnellate sarebbero depositate non sul territorio nazionale ma presso i caveau della Federal Reserve di New York, e altre 300 tonnellate verrebbero custodite dalla Bank of England a Londra. Tali quantità sarebbero state recuperate dagli Alleati dopo la guerra e da lì prese in custodia dalle rispettive banche centrali. Per il giornalista, la segretezza che circonda la gestione delle riserve auree straniere sarebbe talmente alta e protetta da aver creato forti sospetti su un loro utilizzo improprio per operazioni di mercato da parte delle due grandi banche centrali: lingotti di altre nazioni verrebbero dati in prestito (a loro insaputa) a banche ed hedge fund, o cartolarizzati in Gold Certificates, dietro l’impegno delle parti a non reclamare mai la proprietà dei lingotti alla scadenza dell’operazione, ma chiudendole in valuta.