Job Magazine, in banca c’è parità occupazionale ma non reddituale

Job Magazine, il mensile edito da Job Network Cisl Milano Metropoli, riprende – nel numero di gennaio – la ricerca sull’occupazione femminile nel settore bancario, realizzata dalla struttura nazionale Donne e Politiche di Parità e di Genere di First Cisl, i cui dati sono stati rielaborati dal Centro Studi First Cisl diretto da Riccardo Colombani.

L’indagine ha evidenziato come la parità occupazionale di genere sia ormai un dato di fatto. Se cinque anni fa le donne erano il 43% del personale, all’inizio del 2017, stando ai bilanci delle “big five” – Intesa Sanpaolo, UniCredit, Monte dei Paschi, Banco Bpm e Ubi – che rappresentano insieme più del 60% dell’occupazione bancaria, la percentuale femminile si approssimava al 47% (84.000 donne a fronte di 97.000 uomini). Rimane comunque un divario reddituale fra uomini e donne, calcolabile in circa 10 punti percentuali. Più elevata è la differenza di reddito tra gli occupati europei, che arriva fino al 25% per le figure femminili di staff in Polonia e Bulgaria e si colloca attorno ai 15 punti in Germania, Austria e Romania.

“La crescita dell’occupazione femminile – dichiara Sara Barberotti, segretaria nazionale First Cisl – non trova analogo trend nei profili reddituali e di carriera, frenati dalla necessità delle donne di ricorrere al part-time per sopperire alle carenze del welfare pubblico. Vogliamo che il confronto sul nuovo contratto nazionale diventi l’occasione per aprire in tutte le banche tavoli negoziali in grado di individuare soluzioni idonee a sconfiggere le disparità sociali che si riverberano sulla cultura del lavoro di questo paese”.

Una realtà che trova poco conforto nel contesto sociale e professionale all’interno del settore, come evidenzia Giulio Romani – segretario generale First Cisl – commentando la ricerca: “Nelle banche italiane le donne stanno per raggiungere la parità di occupazione con gli uomini, a mancare invece è un contesto culturale, sociale e legislativo che ne consenta lo sviluppo professionale, oggi limitato dal fatto che la cura della famiglia e delle fasce più deboli grava quasi tutta su di loro”.

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