LA RIFORMA DEL MES (Meccanismo Europeo di Stabilità)

(Articolo scritto da Gianpaolo La Porta, dirigente sindacale First Cisl Parma Piacenza)

L’argomento è tra i più trattati di questi ultimi mesi, dai telegiornali ai blog più disparati sulla rete si perde il conto dei pareri, più politici che tecnici, attorno a una riforma che si prefigura come una delle più importanti all’interno dell’Unione Europea dall’entrata in vigore della moneta unica, se non dai tempi di Maastricht.

Il tema si può ramificare sotto innumerevoli aspetti, nonostante ciò vedremo di affrontarlo in maniera semplice e analitica per rendere un quadro avulso da qualsiasi retorica ma anzi contestualizzandolo a pieno nella realtà economica e sociale in cui viviamo.

Partiamo con la cosa più semplice: MES – di cosa stiamo parlando e come funziona?

Il MES (Meccanismo europeo di stabilità) è un’istituzione finanziaria intergovernativa, operante per i Paesi all’interno dell’Unione Europea adottanti l’euro, istituita nel 2012 attraverso apposita modifica all’art. 136 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Ue).

Il suo controllo è affidato a due organi principali: il consiglio dei Governatori e il consiglio degli Amministratori, ciascuno composto da un rappresentante di ogni Paese membro, i quali lavorano collegialmente e costantemente con tensione al principale obiettivo: la stabilità finanziaria.

Difatti il trattato recita: “… mobilizzare risorse finanziarie e fornire sostegno alla stabilità, secondo condizioni rigorose commisurate allo strumento di assistenza finanziaria scelto, a beneficio dei membri del MES…”, ovvero prevede interventi di sostegno a favore di Paesi all’interno dell’Unione (che ne facciano richiesta) in caso di crisi finanziarie.

Questi interventi possono avvenire per il tramite di fondi che si raccolgono attraverso una ripartizione di contributi tra gli stati membri sulla base della partecipazione degli stessi al capitale versato della BCE e ulteriori fondi raccolti sui mercati.

L’entità contributiva del nostro Paese ci colloca al terzo posto di questa specifica “classifica” dietro a Germania e Francia.

Ogni stato adottante l’euro all’interno dell’Ue può avanzare richiesta di assistenza finanziaria al MES in caso di difficoltà finanziarie che potrebbero ripercuotersi negativamente sulla stabilità dell’eurozona; come detto sopra la richiesta viene accolta sulla base di rigorose condizionalità di politica macro economica oltre che approfondite analisi sulla sostenibilità del debito pubblico (queste ultime effettuate di concerto da Commissione Europea, FMI e BCE).

Deduciamo da ciò che la sua funzione non è poi così lontana da quella dell’FMI ( Fondo Monetario Internazionale), anche se nel caso del MES il compito esplicito è quello di preservare la stabilità di una specifica area economica, ovvero l’Eurozona. Possiamo quindi asserire che il MES è il più elaborato strumento creato contro una possibile dissoluzione della moneta unica.

VENIAMO AL DUNQUE, LA PARTI SALIENTI DELLA RIFORMA

Entro il primo trimestre 2020 o al più tardi entro il mese di giugno (solo il tempo ci darà piena conferma) dovrebbe essere stretto l’accordo finale sulla riforma del Meccanismo Europeo di stabilità.

In questo ultimo mese di dicembre i leader europei si sono incontrati discutendo ultimi dettagli e conclusioni sui punti più focali di questa riforma già approvata in Italia da Senato e Camera dei Deputati nonostante le forti discussioni che hanno animato e coinvolto parti politiche e sociali del Paese.

Anche se ad oggi non si dispone di un testo definitivo possiamo già farci un’idea, a livello macro, di quello che sarà l’impatto della riforma sull’Italia e il resto dei paesi membri.

Il “nuovo” MES, in primis, prevede un importante ampliamento del budget previsto per le crisi bancarie, ovvero il  FRBE (Fondi di Risoluzione Bancario Europeo) e non è difficile capire il perché:

con particolare riferimento alla crisi del 2008 abbiamo visto soffrire il sistema bancario mondiale, sia a causa di persistenti politiche di gestione errata, sia per le forti ondate speculative che si sono create attorno ad esso.

In particolare nel nord Europa il sistema bancario ha subito, a seguito delle suddette, ricapitalizzazioni statali per diverse centinaia di miliardi di euro (basti pensare alla sola Germania che ha immesso nelle casse del proprio sistema bancario oltre 500mld di euro dal 2008 – fonte Sole24ore, e per i prossimi anni attendiamoci la bolla dei derivati – fonte dello scrivente) mentre in Italia abbiamo assistito a varie vicende, da MPS, le Venete e per ultima in ordine cronologico la Banca Popolare di Bari.

Non esiste una singola e precisa causa che lega i misfatti sopra riportati e non approfondiamo i singoli episodi per non disperderci (volentieri in un successivo articolo) ma sicuramente tutto ciò ci attenziona sull’esigenza di intraprendere una serie di riforme che porti a prevenire anziché curare (compito di cui vuole farsi carico il MES) simili situazioni, che ricadono su risparmiatori e conti pubblici, con l’abilità di individuare le reali cause alla fonte.

In secondo luogo (non per importanza) si intende riformare l’architettura che si applica alla contribuzione e alla concessione delle linee di credito dedicate ai conti pubblici dei Paesi membri (perennemente sotto il controllo e il giudizio dei mercati, per via della particolare architettura della moneta unica), da una parte rendendo più potente e pronta la risposta del MES in caso di improvvise e urgenti richieste, dall’altra come naturale conseguenza, rendendo più impegnativo per i conti pubblici dei Paesi (e più difficoltoso per quelli ad elevato rapporto debito/pil) la contribuzione stessa.

Per quanto riguarda la contribuzione viene infatti riportato nel testo della riforma: “i membri del MES si impegnano a pagare irrevocabilmente e incondizionatamente a semplice richiesta qualsiasi somma a loro demandata dal Managing Director (l’attuale direttore è Klaus Regling) entro sette giorni dalla ricezione della richiesta stessa

Alla luce di quanto sopra si sono espressi i primi indirizzi critici sulle conseguenze che possano portare richieste di una certa entità sulle casse di Paesi come l’Italia (ovvero Paesi con alto rapporto debito/pil all’interno dell’Unione). Infatti il nostro Paese (prendiamo l’Italia per esemplificare un’ipotesi ma in realtà parliamo dell’avverarsi di una determinata situazione su un determinato Paese X con determinati parametri di finanza pubblica), come da Trattato, può essere chiamato a contribuire nello specifico fino a un ammontare pari a 125 miliardi di Euro.

Quali le conseguenze per una tale o simile impegno? Un immediato sbalzo del denominatore del rapporto sopra incriminato (debito/pil) con conseguente, diciamolo subito, preoccupazione dei mercati e criticità nel collocamento di titoli pubblici.

Proprio il Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco e il Presidente dell’Abi, Antonio Patuelli sono stati i primi a suonare l’allarme sulle conseguenze suddette sui già precari equilibri di finanza pubblica italiani (dichiarazioni a seguire).

Oltre che sul tema della contribuzione, abbiamo detto prima, verrà diversificata anche la modalità di accesso al fondo attraverso la creazione di due linee di credito, che di seguito chiameremo A e B.

Le linea di credito A, che viene concessa senza alcuna condizionalità se non i tempi di rimborso, sarà riservata ai Paesi che soddisfano determinati parametri di finanza pubblica, essenzialmente riferiti a quelli contenuti nel Trattato di Maastricht, Patto di Stabilità e Crescita e Fiscal Compact (allegato 3 del testo della riforma; esempio rapporto deficit/pil entro il 3% nei due anni precedenti la richiesta, rapporto debito/pil inferiore al 60% o in ultima analisi riduzione negli ultimi due anni di un ventesimo all’anno della differenza con il 60%).

Per i Paesi che non soddisfano questi criteri viene riservata invece la linea di credito B (ovvero dove attualmente rientrerebbe l’Italia), alla quale diversamente dalla linea A, vengono applicate rigorose condizionalità di accesso non contrattabili, ovvero la ristrutturazione del debito (all’interno della riforma è prevista per l’appunto anche una modifica al regolamento sulle CAC per agevolare/velocizzare eventuali autorizzazioni alla ristrutturazione stessa).

Se il nostro Paese o altri rientranti negli stessi parametri avanzassero richiesta di aiuto al MES potrebbero accedere alla suddetta linea di credito “rafforzata” dietro questa preventiva azione oltre che la necessità di firmare un Memorandum dove vengono prescritte al Paese beneficiario degli aiuti le politiche di bilancio e le riforme da effettuare successivamente all’erogazione degli aiuti.

Il testo della riforma, come detto all’inizio dell’articolo, ha suscitato diversi e contrastanti pareri.

Il nostro Paese al momento non avrebbe alcun bisogno di chiedere accesso al fondo (dichiarazione ministro Gualtieri) e non graverebbe su di noi quindi alcun rischio conseguente a una ristrutturazione del debito sulla quale si è esposto in maniera inequivocabile il governatore della Banca d’Italia:

I piccoli e incerti benefici di una ristrutturazione del debito devono essere bilanciati con il rischio enorme che il semplice annuncio della sua introduzione possa innescare una spirale perversa di aspettative di default, le quali potrebbero rivelarsi auto-avverantesi”. Gov. Bankitalia Ignazio Visco.

Da un punto di vista puramente tecnico quindi al momento non ci sarebbero ragioni dirette di allarme anche se invece da un punto di vista finanziario l’esistenza di una struttura che cataloga preventivamente i Paesi membri nelle due diverse linee di credito sopra descritte potrebbe condizionare i mercati finanziari dove gli operatori dovranno per forza di cose, anzi si potrebbe proprio dire per deontologia professionale, tenere maggiormente conto della classificazione dei singoli Paesi.

In definitiva possiamo dire che solo alla pubblicazione del testo definitivo e alla sua entrata in vigore si potrà esprimere un giudizio più preciso su questa riforma che sicuramente ha però già mostrato lati sia positivi che negativi e per i quali auspichiamo si riesca, alla fine, a trovare un buon punto d’incontro tra gli interessi di stabilità finanziaria e le ripercussioni sull’economia reale in cui si muove già zoppicando il nostro mondo del lavoro.

Ulteriori punti interessanti ma poco discussi sono gli articoli 32, 34, 35 e 36 della riforma, di cui vi rilascio brevi pillole:

Art.32 Immunità dei rappresentanti del MES davanti a tutti gli organi di giustizia degli Stati membri, immunità dei documenti dei rappresentati del MES; immunità sui beni del MES da ogni forma giurisdizionale (no perquisizioni, sequestro, confisca, esproprio, pignoramenti); locali e documenti del MES inviolabili (segreto d’ufficio).

Art.34 I membri del MES devono tenere le informazioni protette dal segreto professionale anche dopo la cessazione dei propri incarichi (possibili conseguenze sulla trasparenza con i governi e parlamenti nazionali)

Art. 35 Immunità dei membri del MES per gli atti da loro compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni. La suddetta immunità può essere revocata solamente dal Direttore Generale.

Art. 36 Esenzione da qualsiasi imposta diretta dei beni, delle entrate e degli attivi del Mes.