Penalizzate nel corso della vita lavorativa e, poi, anche da pensionate, le donne sono a maggiore rischio povertà in qualunque fase della vita.
Il 16 luglio scorso è stato pubblicato il rapporto annuale INPS che, a riguardo, è implacabile.
Il XXIV Rapporto Annuale dell’INPS, infatti, evidenzia e conferma persistenti disuguaglianze con disparità significative in ambito lavorativo, retributivo, previdenziale e familiare:
- nel 2023, il divario tra il tasso di occupazione femminile e maschile in Italia è stato pari a 17,9 punti percentuali, con il 52,5% delle donne occupate rispetto al 70,4% degli uomini (ISTAT). Questo divario si mantiene stabile nel tempo, in parte perché le assunzioni femminili rappresentano solo il 42,3% del totale delle nuove assunzioni (Ministero del Lavoro). Inoltre, solo il 18% delle assunzioni femminili è a tempo indeterminato, contro il 22,6% di quelle maschili (INPS). Una quota significativa delle lavoratrici occupate lavora part-time (il 64,4% del totale), con il 15,6% che svolge un part-time involontario, a fronte del 5,1% registrato tra gli uomini (ISTAT, Eurostat);
- nel 2023, le donne in Italia hanno percepito stipendi inferiori di oltre 20 punti percentuali rispetto agli uomini. Tale divario salariale nelle attività finanziarie, assicurative e nei servizi alle imprese, raggiunge il 32,1% (Eurostat, INAPP). Inoltre, il fenomeno noto come “motherhood penalty” evidenzia un peggioramento retributivo progressivo con l’aumentare del numero di figli. Questo si accompagna a una significativa disparità nella probabilità di abbandono del mercato del lavoro in corrispondenza della nascita del primo figlio: nel settore privato, circa il 20% delle donne lascia il lavoro dopo la prima maternità (ISTAT, INPS);
- per quel che riguarda le pensioni: nel 2023, le donne risultano numericamente superiori tra i beneficiari, ma permangono significative differenze negli importi erogati: gli uomini percepiscono mediamente pensioni più alte del 34% (INPS, ISTAT).
Nel settore privato, gli importi medi delle pensioni di anzianità o anticipate e di invalidità per le donne sono rispettivamente inferiori del 25,5% e del 32% rispetto a quelli degli uomini (INAPP). Per quanto riguarda le pensioni di vecchiaia, il divario raggiunge il 44,1% (INPS).
Inoltre, le donne vanno in pensione più tardi rispetto agli uomini: l’età media effettiva di pensionamento delle donne è di circa un anno e cinque mesi superiore a quella degli uomini, che beneficiano più frequentemente di pensionamenti anticipati ottenuti con 42 anni e 10 mesi di contributi, indipendentemente dall’età anagrafica (ISTAT).
In pratica le donne non solo finché lavorano (quando lavorano) guadagnano meno ma, anche da pensionate, ci arrivano dopo e prendono meno.
Le cause sono da ricercarsi in un percorso lavorativo ad ostacoli che si riverbera anche sulle pensioni:
- percorsi lavorativi discontinui: Le donne spesso affrontano interruzioni e rallentamenti nella carriera per motivi familiari, come maternità o cura dei propri cari, che riducono la loro capacità di accumulare contributi pensionistici;
- Accesso limitato alle pensioni anticipate: Solo una percentuale ridotta di donne beneficia delle pensioni di anzianità/anticipata, a causa della difficoltà nel raggiungere gli alti requisiti contributivi richiesti;
- posizioni più basse e settori lavorativi meno retribuiti: Le donne sono sovrarappresentate in settori con salari più bassi ma anche nei settori dove le retribuzioni sono più alte, come i nostri, occupano posizioni più basse e guadagnano meno.
Questo rende le donne a maggior rischio povertà in qualunque fase della vita ma, a tendere, ancora di più al momento della pensione.
Chiaramente servirebbero, innanzitutto, interventi normativi strutturali e non bonus spot che mutano di anno in anno, non danno garanzie in prospettiva e che, anzi, talvolta, rischiano di danneggiare la posizione contributiva.
Il primo ambito di intervento dovrebbe riguardare un’equa distribuzione del lavoro di cura.
Lo sbilanciamento a discapito delle donne comporta una penalizzazione a danno delle stesse per un’attività che, comunque, anche solo per il suo valore sociale, non dovrebbe mai costituire elemento di discriminazione e penalizzazione. In questa direzione vanno sicuramente i congedi per i padri che, tuttavia, faticano a prendere piede sia per motivi culturali (il lavoro di cura è considerato ancora troppo spesso appannaggio femminile) che economici (dovendo rinunciare a parte della retribuzione, si tende a prediligere chi guadagna meno, ovvero le donne).
Uno strumento preziosissimo è sicuramente la pensione integrativa che permette di avere una rendita aggiuntiva rispetto all’importo erogato dall’INPS. Una maggiore presenza di donne all’interno dei fondi negoziali sicuramente porterebbe una prospettiva di genere che ad oggi risulta essere carente; per esempio sarebbe utile intervenire sulle tabelle di calcolo della rendita che, basandosi sulla metodologia attuariale, anche a parità di montante maturato (che per le donne è già più basso per quanto già detto), comporta rendite più basse per effetto di una maggiore aspettativa di vita.
Contrattualmente si potrebbe intervenire sui versamenti aggiuntivi sulle posizioni nei fondi pensione per i periodi di congedo e part-time in modo da compensare anche in parte i ridotti versamenti.
A tal proposito, può venire incontro la normativa sul welfare che consente, tra le altre cose, di effettuare versamenti individuali utilizzando gli eventuali importi in portafoglio.
Infine, si dovrebbe porre molta attenzione ai periodi di buchi contributivi e, ove possibile, integrarli.
Molto si può e si deve fare sin da subito, quando le donne sono ancora giovani lavoratrici.
Non siamo abituati a pensare in prospettiva futura soprattutto quando è molto lontana e tanto più se si fa già fatica a gestire la quotidianità.
Tuttavia, è necessario occuparsene per tempo, finché si lavora perché si possa garantire una vita dignitosa alle donne anche da pensionate.
Maddalena Acquaviti
Segretaria First Cisl Milano Metropoli
Allegato: Le donne penalizzate da pensionate oltre che da lavoratrici