Congresso First Cisl 2025, l’intervento del Segretario Cisl nazionale Andrea Cuccello a conclusione della prima giornata

La prima giornata del 3° Congresso First Cisl è stata chiusa dal Segretario Cisl nazionale Andrea Cuccello. Di seguito alcuni passaggi del suo intervento:

La First Cisl è una delle grandi federazioni della nostra Confederazione e questo congresso arriva in un momento preciso, in un punto critico della storia del nostro Paese e del settore, in cui c’è bisogno – più che mai – di voce e di direzione. E la relazione di Riccardo Colombani, a nome della segreteria, ci ha offerto entrambe. Una relazione densa, analitica, generosa. Una relazione che tiene insieme il presente e il futuro, che non si è limitata a leggere ciò che accade, ma chiama in causa una responsabilità: la responsabilità di cambiare rotta, di riavvicinare la finanza all’economia reale, di rimettere al centro ciò che conta davvero, lavoro, territori e persona.

Il lavoro al centro: non uno slogan, ma un modello
Ecco, questo è il punto: il lavoro al centro. L’architrave di un nuovo modello di sviluppo. Un modello in cui la finanza non si sostituisce all’economia, ma la accompagna ed in cui le banche non fuggono dai territori, ma li aiutano a rinascere. Un modello in cui chi lavora non è solo fattore produttivo, ma soggetto attivo della trasformazione. Persona, partecipante, non destinatario.

Una finanza che ricuce i territori
Perché, diciamolo con franchezza: il sistema finanziario oggi è chiamato a una nuova missione. Non può più essere neutro, non può più essere impersonale, non può essere digitale fino al punto da diventare inaccessibile rispetto alle esigenze delle persone e delle comunità. Deve essere strumento di coesione territoriale, di rigenerazione urbana, di giustizia sociale. Noi immaginiamo le banche come infrastrutture di comunità, non solo erogatori di prodotti, ma luoghi di relazione e fiducia. Presìdi civili, dove il credito diventa leva per la crescita, non trappola per il debito, ma motore per il riscatto. Quando si chiude una filiale, si spegne una luce sulla comunità. Si spengono rapporti umani speranze, imprese. E si allarga il vuoto. È in questo vuoto che crescono la sfiducia, la solitudine, la disuguaglianza.

Le banche e il futuro della coesione: casa, città, aree interne
Oggi l’Italia ha bisogno di una finanza che possa ricucire, che non separi. Che sappia leggere la geografia sociale del Paese: centri urbani che esplodono, aree interne che si svuotano, quartieri dormitorio, comunità abbandonate. E allora rilanciamo una proposta concreta: le banche siano protagoniste di un grande Piano Casa nazionale. Non solo finanziatori di mutui, ma co-investitori nella rigenerazione urbana. Non solo operatori di mercato, ma alleati nella redistribuzione delle opportunità. Un Piano Casa che non sia solo cemento, ma coesione sociale; che unisca credito, welfare di prossimità, servizi; che tenga insieme giovani e anziani, famiglie e imprese, abitare e lavorare; perché la questione abitativa è questione di dignità, di radicamento, di giustizia.

Il credito come leva per lo sviluppo umano
Tutto questo richiede però una trasformazione culturale. Serve un’altra idea di credito: un credito che sia riconoscimento di valore; che contemperi i margini di bilancio e alla funzione sociale di un’impresa; che non scarti chi ha difficoltà, ma accompagni chi ha bisogno. Oggi il credito è troppo spesso moneta selettiva: Le pmi faticano; il Sud è schiacciato dal paradosso del “credito negato”; ,molte famiglie restano escluse dal sistema bancario. Il credito deve tornare a essere bene comune, un diritto sociale, una infrastruttura dello sviluppo.

Un Paese che guarda con poca speranza e la responsabilità del credito
L’Italia guarda al futuro con poca speranza – non lo diciamo noi – lo dicono i numeri della denatalità che ogni anno ci raccontano un Paese che si svuota, che perde il senso del domani; i dati Istat riferiscono per il 2024 il numero di 370.000 nati. Un Paese in cui sempre meno giovani decidono di mettere radici perché non vedono stabilità, sicurezza, opportunità. La verità, tuttavia, è che le politiche pubbliche da sole non bastano, ma serve il concorso di chi ha leve e capitali. Serve anche il sistema finanziario: il credito può e deve essere uno strumento per invertire questa tendenza, può essere alleato della natalità, della crescita, dell’emancipazione, perché, se usato bene. Il credito non è solo leva economica, ma è leva sociale, educativa, generazionale; può aiutare i giovani a studiare, ad evitare la dispersione scolastica, a rimanere in Italia per costruire qui, e non altrove, il proprio futuro. Può finanziare i talenti per non farli scappare. Ogni volta che un ragazzo o una ragazza parte per studiare all’estero e poi resta fuori, non perdiamo solo una persona. Perdiamo una possibilità. Una visione. Un futuro.

E allora sì: un sistema del credito che sappia orientare i capitali verso l’inclusione giovanile, la formazione, l’abitare, l’impresa giovanile, è un sistema che partecipa alla ricostruzione del patto intergenerazionale. Un sistema che non guarda solo al rating, ma al destino del Paese.

Partecipazione e contrattazione: le chiavi della giustizia economica
Lasciatemelo dire con chiarezza: la partecipazione fa paura. Fa paura a chi ha perso il contatto con il lavoro vero; a chi si riempie la bocca di diritti, ma non vuole mai cedere un briciolo di potere; a chi considera la democrazia economica un fastidio, una minaccia, una parola da mettere tra virgolette.

In questi giorni ho sorriso quando qualcuno ci invitava a dire la nostra rispetto ai referendum. Proprio i partiti che hanno tentato di affossare la legge sulla partecipazione – la nostra legge, la cosiddetta “legge Luigi Sbarra” – si sono astenuti nella migliore delle ipotesi – ed hanno votato contro nella peggiore – hanno provato in tutti i modi a non dare a questo Paese un’opportunità in più, seria, concreta, realizzabile, ed oggi ci danno lezioni di Costituzione. E lo fanno mentendo: dicendo che il non voto consapevole ai referendum sarebbe stato un attentato alla democrazia, come se partecipare significasse sempre e comunque assecondare le loro scorciatoie. Noi la Costituzione l’abbiamo applicata, abbiamo fatto approvare una legge che dà voce ai lavoratori, che riconosce il diritto alla partecipazione, che apre le imprese, che innova la contrattazione – altro che attentato, altro che silenzio. Abbiamo parlato con i fatti, abbiamo agito mentre altri si agitavano, abbiamo costruito mentre altri cercavano voti.

Responsabilità, riformismo e l’inganno delle scorciatoie
Lo abbiamo visto in queste settimane – anche fuori dalle imprese, anche oltre le banche – il Paese ha mandato un segnale chiaro: i referendum sul lavoro sono stati un fallimento; rovinosa la partecipazione, inconsistenti i contenuti. A poche ore dalla chiusura dei seggi, mentre qualcuno tentava di santificare i terroristi oscurantisti di Hamas e demonizzare l’unico Stato democratico del Medio Oriente, un altro pezzo di politica si consegnava a una deriva ideologica inquietante, lontana dal lavoro, lontana dalla realtà. La verità è semplice: non si cambia il Paese agitando slogan o rispolverando copioni logori. Nel rapporto con i cittadini non esistono scorciatoie: gli italiani sanno distinguere il sacro dal profano, la sostanza dalla propaganda, e chi continua a cercare consenso aggrappandosi a referendum ideologici, finisce solo per danneggiare il Paese e umiliare la politica. La sinistra protagonista di questa forzatura ha perso il centro, non è più liberale, non è più cattolica, non è più socialista, ma è un aggregato di risentimenti, senza progetto e senza popolo.

E allora la vera sfida è nelle mani dei riformisti autentici, ovvero di chi, come noi, non crede nei comizi ma nella contrattazione. Non servono slogan: serve visione. Non serve agitare le braccia: serve rimboccarsi le maniche.

Conclusione – La bellezza della fiducia: il lavoro, la crescita, la comunità
Care amiche, cari amici, prima di chiudere questo intervento, lasciatemi dire una cosa che viene dal cuore. C’è una bellezza concreta e silenziosa in tutto ciò che fate. Una bellezza che non ha bisogno di clamori, ma che si esprime nei percorsi formativi promossi dalla vostra Scuola sindacale nazionale, nella qualità delle analisi prodotte dalla vostra Fondazione, nelle opportunità offerte a tante ragazze e ragazzi che trovano nella First Cisl una vera palestra di impegno, di conoscenza e di futuro. Una bellezza che si vede anche in ciò che non fa notizia, ma che fa la differenza: il lavoro quotidiano con Inas, con il Caf e con le altre realtà della nostra Confederazione. Un lavoro che si traduce in una crescita organizzativa straordinaria, che ha rafforzato la Cisl e consolidato First Cisl, e ha dato forma a una comunità che cammina insieme. E tutto questo non nasce per caso. Non accade da solo.

Accade perché ogni mese una lavoratrice, un lavoratore, sceglie… Sceglie di sottoscrivere la delega; sceglie di affidare il proprio contributo; sceglie di fidarsi. Quella firma è un atto di fiducia, un riconoscimento. È un investimento. Ecco perché un Congresso, una Scuola di formazione, un piano di sviluppo, una grande iniziativa sindacale… non vengono dal nulla. Vengono da lì, da quella fiducia, dal lavoro serio, quotidiano, credibile di ognuno di voi; un lavoro che si chiama empatia.

E se oggi possiamo dire che questa Federazione ha saputo crescere, innovare, guardare avanti, è anche perché ha saputo rinnovarsi nella continuità, senza rinnegare nulla del suo passato. Perché ha saputo costruire una nuova classe dirigente in ascolto dei giovani, inserendo nuove energie e nuovi sguardi, senza perdere la rotta.

Riccardo Colombani è un dirigente competente, rigoroso, appassionato.
Un uomo che ha messo la sua intelligenza e la sua cultura al servizio della comprensione profonda del mondo bancario. Un uomo che studia le traiettorie, legge i cambiamenti, progetta futuro. La Cisl ha oggi una guida come Daniela Fumarola: appassionata, innovativa, visionaria. Così come deve essere una guida vera: forte, certa, sicura. Una leadership complementare, come due vele su uno stesso vascello. Riccardo e Daniela, First e Cisl: due sponde di uno stesso ponte. Un ponte che porta il sindacato nel futuro.

E allora sì, ora le parole di Ezio Tarantelli assumono tutto il loro peso: “La gente capisce sempre”.  Sì, la gente capisce… Capisce quando un’organizzazione è vera, quando le parole sono seguite dai fatti, quando dietro il logo c’è una comunità, quando dietro ogni scelta c’è una visione, un’anima, una speranza. E noi, questo lo sappiamo dare e lo sappiamo testimoniare, perché siamo First e perché siamo Cisl.

Buon Congresso a tutte e a tutti! E grazie, davvero, per ciò che fate ogni giorno.


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