Fintech: una nuova sfida per le banche e per i lavoratori del credito

Sono oramai diversi anni che il sistema bancario internazionale, e quindi anche quello italiano, deve confrontarsi con gravosi problemi come le sofferenze patrimoniali, gli scandali delle obbligazioni subordinate, gli aumenti di capitale, i processi di fusione e la volatilità delle azioni.

Se tutto ciò però non bastasse a complicare la vita di un settore già in difficoltà, come appunto quello bancario, si sono inserite anche le Fintech.

Con tale termine si identificano le aziende innovative che, usando le nuove tecnologie, offrono ogni tipo di servizio finanziario, in modo più economico e più snello rispetto al tradizionale modello di banca.

Un’interessante studio, realizzato dall’Osservatorio Digital Finance della School of Management del Politecnico di Milano, dal titolo “Digital rethinking nel banking e finance”, evidenzia come diverse centinaia di nuove aziende nate negli ultimissimi anni, a livello internazionale, hanno di fatto aperto la competizione con gli attori tradizionali, mettendo sul piatto oltre 26,5 miliardi di dollari di finanziamenti raccolti.

Alcune di queste Fintech sono dei veri e propri colossi della tecnologia come Google, Apple, Facebook e Amazon, che stanno cogliendo l’opportunità di far fruttare i consolidati rapporti di fiducia costruiti negli anni con la propria clientela (centinaia di milioni di persone che già utilizzano i servizi digitali da loro offerti).

Basta fare una breve panoramica del settore finanziario per rendersi conto del dinamismo con cui questi big del mondo digitale stanno approcciando al mercato del Credito.

Facebook ha da poco ottenuto in Irlanda una licenza per l’emissione di moneta elettronica e servizi di pagamenti, quindi potrebbe esportare in Europa il sistema di pagamenti tra utenti di Facebook già attivo negli Stati Uniti.

Paypal ottenne un’analoga licenza nel 2004 e, pochi anni dopo, ottenne una licenza bancaria in Inghilterra. L’abilitazione dalla banca centrale d’Irlanda potrà permettere, in prospettiva, a Facebook di chiedere l’estensione di questo servizio all’intera Unione europea.

Anche Alibaba, il colosso dell’e-commerce asiatico, sta viaggiando a ritmi vertiginosi. Al suo debutto a Wall Street ha raccolto quasi 22 miliardi di dollari. Il fondatore, Jack Ma, ora punta con decisione a rafforzarsi nel ramo finanziario, in quanto tale percorso è cruciale per Alibaba che, in questo modo, potrà avere un maggior controllo sui numerosi servizi offerti, compresi quelli relativi al risparmio gestito (come Yu’ebao, fondo di investimento sottoscritto da oltre 100 milioni di clienti per una raccolta complessiva di 74 miliardi di euro) e ai sistemi di pagamento online (Alipay).

Amazon ha, da tempo, una carta di credito, in partnership con Jp Morgan, riservata ai i suoi clienti “prime” con sconti del 5% su tutti prodotti acquistati sul sito di e-commerce, oltre ad altre agevolazioni.

Sempre Amazon, ha di recente inaugurato Amazon Lending, una piattaforma di erogazione di prestiti alle piccole e medie imprese presenti, in qualità di rivenditori, sulla propria piattaforma..

Il meccanismo funziona “su invito”, i prestiti sono a breve termine (durata massima 12 mesi) e vanno da un minimo di 1.000 dollari a un massimo di 750mila, con tassi di interesse che spaziano dal 6% al 17%. Nonostante il range nella fascia alta si avvicini all’usura, le aziende hanno finora risposto più che positivamente: nei giorni scorsi Amazon ha annunciato di aver toccato i 3 miliardi di dollari concessi in prestito dalla data di fondazione, di cui 1 miliardo solo nell’ultimo anno. Le aziende che ne hanno beneficiato sono oltre 20mila, e più della metà hanno fatto ricorso a un secondo prestito una volta estinto il primo.

Come se non bastasse, oltre ai nuovi competitor provenienti dal mondo delle Fintech, il tradizionale mondo bancario dovrà fare i conti anche con un nuovo rivale, fin qui troppo spesso derubricato con troppo facilità a “bolla” oppure a moda passeggera: i Bitcoin. Si tratta di una moneta digitale completamente distribuita e generata da una rete decentralizzata «peer to peer». Questo significa che non esiste alcuna banca o autorità centrale che stampa moneta e influenza il valore di un Bitcoin che è invece affidato solo alle leggi della domanda e dell’offerta. Il progetto risale al 2009. Lo status di moneta deriva dal fatto che più soggetti accettano di usarla come tale. I Bitcoin possono essere trasferiti con internet verso chiunque disponga di un “indirizzo Bitcoin”.

Più in generale il mercato delle criptovalute, le monete digitali scambiate in rete, ha già sfondato per la prima volta il tetto dei 100 miliardi di dollari di capitalizzazione e viaggia oggi oltre i 110 miliardi. Un’ascesa vertiginosa, se si considera che solo a gennaio 2017 il market cap complessivo non superava i 20 miliardi. La crescita più poderosa è proprio quella del bitcoin, pilastro che incide sul 40% del mercato con prezzo intorno ai 2.800 dollari a unità e una capitalizzazione sopra i 45 miliardi.

In questa immensa e inarrestabile rivoluzione digitale le banche italiane appaiano ancora in ritardo e ancora troppo legate ai fornitori esterni per l’erogazione dei nuovi servizi, con il concreto rischio di essere spazzate via dal mercato nel giro di pochi anni.

In particolare i settori in cui è sicuramente necessario intervenire con estrema celerità riguarda i filoni della dematerializzazione, i percorsi di automazione dei processi operativi, le iniziative di modernizzazione delle infrastrutture tecnologiche e le iniziative di Data Governance e Data Quality, nonché i processi di business intelligence. Vanno inoltre sicuramente potenziata la multicanalità i servizi di Internet Banking, mobile banking e identificazione da remoto del cliente. Nell’ambito della sicurezza, le iniziative progettuali di maggiore attenzione riguardano la sicurezza dei canali remoti lato clientela e la gestione e mitigazione del rischio cyber.

Ciò non vuol dire che le nostre banche dovranno abbandonare il concetto di “banca del territorio”, ma al contrario dovranno utilizzare le nuove tecnologie per poter meglio intercettare tutta quella clientela, in particolare quella più giovane, che già oggi non si rivolge alle banche tradizionale. I nuovi strumenti digitali possono inoltre essere fondamentali per fidelizzare la clientela già acquisita, poggiandosi su un modello di banca sia fisica che digitale.

In tal modo sarà possibile anche salvaguardare l’occupazione attuale del settore creditizio, ponendo al contempo anche le basi per poter sviluppare una nuova occupazione basate sulle numerose nuove professionalità necessarie. E’ da evidenziare che, a oggi, troppi Gruppi bancari hanno deciso di affidarsi all’esterno per poter erogare i nuovo servizi offerti da internet, ricorrendo a modelli di outsourcing o di external services. Questo sta comportando sia la perdita di skills interni, con una maggior difficoltà nel controllare i servizi acquistati, che un aumento dei costi complessivi di gestione (una volta avviati i nuovi servizi, i fornitori esterni hanno una grossa leva contrattuale per gestire a loro favore i contratti commerciali).

Assumere personale giovane e qualificato, valorizzando al contempo le importantissime professionalità ed esperienze già presenti nel settore del Credito è la chiave di volta per affrontare e vincere la sfida lanciata dalle Fintech.